Strappami il cuore di Chiara Palazzolo ***
Ve li ricordate il signor Pro e il signor Contro, quelli che hanno letto il primo episodio della trilogia Palazzoliana su Mirta/Luna e sui sopramorti? Ecco, è successo di nuovo, perché ora hanno letto la seconda puntata.Stranamente sia Mr. Pro,
Il pasto
C’è argento che scorre la pelleUnghia che carezza l’orecchio. Il fiato dirada l’impaccio C’è febbre che increspa la zuppaBriciole che squassano l’intero pasto La cupidigiaChe ho rubato alla noiaMi continua a saziareIn questo letto appiccicoso
Latitanza
Ti ho scelta ioSeme pescato da un mazzoDi soli petali e fragranza(uno scricchiolio, più che un profumo)Che dirada le foglie e le corolleQuando l’ho fattoScrutavo le bricioleChe cadevano dal
Cecità
Tagliami la codaDell'occhioScucimi la vistaE la cecitàSi affranca dal coloreE dalla parodia.
Scrosci di sole
Scrosci di solePapaveri intimiditiChinano il capo.
Magia
E non mi dire che non l'hai vistaNon puoi dirloEra nel latte caldoNello sfavillare squillanteDelle mele caramellateNella mano piccola che sprofondaIn quella più grandeL'hai vista nel tradimentoNelle fugheNelle bugie senza le rugheChinaSi allacciava le scarpeCon una sola manoChina disegnava un
Inferno
Il tuo graffio è un relitto viola che mi corre sulla schienaL'epidermide un carnevale di ghiaccio e feriteTu eri diavoloMa non inferno.
Eri un diavolo?
Eri un diavoloOra puoi dirmelo.Ora che lietoTi ho già graffiato in voltoE leccato due volte almenoLa stessa ferita.Eri unoChe alle parole dette preferiva le sentiteChe nel tono dei lividiTrovava l’aroma del fioreE l’arco dello strumento.Eri un Carnevale affollatoChe mi cadeva
Pollini
Non eri tu che diceviChe ti spingeSolo la bellezzaLa curiositàE la sfida.Non eri quelloChe trattava i semiPer radiciE i fioriPer germogli?Non ti ho mai correttoNemmeno quandoAvevi ragione.Ci siamo tenuti i tortiCome pollineCome fantasiaSolo raramenteCome perdono.
Sîs di sîs
Jere passade di pôc le miezegnot e un talpinâ ferbint e jemplave di sunôrs il scûr. Che sorte di besteute a coreve svelte e cence cjalâsi daûr, cu le panze che sfilave l’asfalt. A viodile straviersâ le strade, in machine,