Maggio 2008

C’è argento che scorre la pelleUnghia che carezza l’orecchio. Il fiato dirada l’impaccio C’è febbre che increspa la zuppaBriciole che squassano l’intero pasto La cupidigiaChe ho rubato alla noiaMi continua a saziareIn questo letto appiccicoso

E non mi dire che non l'hai vistaNon puoi dirloEra nel latte caldoNello sfavillare squillanteDelle mele caramellateNella mano piccola che sprofondaIn quella più grandeL'hai vista nel tradimentoNelle fugheNelle bugie senza le rugheChinaSi allacciava le scarpeCon una sola manoChina disegnava un

Eri un diavoloOra puoi dirmelo.Ora che lietoTi ho già graffiato in voltoE leccato due volte almenoLa stessa ferita.Eri unoChe alle parole dette preferiva le sentiteChe nel tono dei lividiTrovava l’aroma del fioreE l’arco dello strumento.Eri un Carnevale affollatoChe mi cadeva

Non eri tu che diceviChe ti spingeSolo la bellezzaLa curiositàE la sfida.Non eri quelloChe trattava i semiPer radiciE i fioriPer germogli?Non ti ho mai correttoNemmeno quandoAvevi ragione.Ci siamo tenuti i tortiCome pollineCome fantasiaSolo raramenteCome perdono.

Jere passade di pôc le miezegnot e un talpinâ ferbint e jemplave di sunôrs il scûr. Che sorte di besteute a coreve svelte e cence cjalâsi daûr, cu le panze che sfilave l’asfalt. A viodile straviersâ le strade, in machine,