“Lo straniero” di Albert Camus****
Okay… Dopo tanto, tanto tempo, ho letto un libro in un giorno. Ed era corto, ovvio, ma era anche bello. Ed era un classico. Ed era vecchio. E insomma… “Lo straniero” di Albert Camus era un sacco di cose e adesso so che è un sacco di cose. Mi ci voleva, un libro così … vacuo e denso, in contemporanea. E anche se avrei settordici cose da fare adesso ho deciso che non le faccio. Anzi, mi metto qua ad ascoltare Kanye e recuperare le idee su questa pietra miliare delle liste di libri dei prof vecchi dentro consigliati per le letture di studenti che nonn li leggeranno. O almeno, me lo ricordo, io, in quelle liste. Insomma… Forse “Lo straniero” è uno di quei titoli che poteva stare benissimo nella lista dei libri PSF, ma anche se non tra le prime posizioni potrebbe finire anche nella lista dei libri PEM
Vabbè. Quello che è. Ma torniamo all’inizio.
L’inizio è che era venerdì ed era, lo sapevo, il mio ultimo venerdì di fiume totale. Ovvero, in grava la mattina presto per piazzarsi dove mi va, ombrelloni e asciugamani a pioggia per non avere rompicoyote nei paraggi e poi leggere e bagni fino alle due, poi andare a prendere in stazione la gjate e poi tornare li a poltrire e leggere e bagnarsi fino a sera. Poi birre o altre cose simili e belle. Ecco. Ora, sapendo che era l’ultimo venerdì possibile volevo prendere un libro nuovo e un libro piccolo e un libro che non fosse uno dei 20 o 30 che sto lasciando a metà. Anche belli eh… ma ne volevo uno nuovo. Così mi sono messo a cercare nello scaffalone dei libri vecchi rubati che ho riordinato da poco. Il problema dei libri vecchi è proprio quello. Sono vecchi fuori e ti sembrano vecchi anche dentro. Cioè, non li maneggi con piacere. Le pagine ingiallite si leggono male e io ho sempre questa sensazione di impolveramento che mi infastidisce, E questo qua mi sembrava proprio uno di quei libri vecchi e barbosi, anche lunghi. Invece no. E’ un libro corto, e questa edizione Bompiani si allunga con le solite chiacchiere sulla storia ma la storia, alla fin fine, si riesce a leggerla in una giornata di sole.
Comunque sia, l’ho preso in mano, l’ho sfogliato, e quando ho visto che era solo 150 pagine mi son detto… eddai, curiamo un po’ di questa ignoranza. E se per caso siete nella mia stessa situazione, cioè, pensate a questo titolo come una cosa pallosa consigliata dai prof di letteratura, nonché famosissimo e consigliatissimo, ecco. Vi sbagliate. Certo, è un libro da livelli di lettura diversi, e parecchi, ma è un libro agile, che comincia in media res, che va a finire come non te lo aspetti ma te lo aspetti, che ha un’epifania improvvisa quanto scioccante e che ti regala un protagonista, Mearsault, che alla fine ti lascia nel limbo delle emozioni. Non sai se tifare per lui, se spaccargli la faccia, se fare entrambe le cose.
La trama, visto che è del 1942 e ci han fatto film e varie cose, o la sapete o vi consiglio di non perdere tempo a leggerla. Vi basti sapere che è un prima persona con un incipit fulminante dove un giovane francese che vive ad Algeri comincia con il funerale della madre e poi si lascia trasportare dagli eventi fino a uccidere un arabo, senza troppi motivi, finendo pure per infierire sul cadavere e ovviamente entrando nelle conseguenze.
Credo che le parole chiave siano due, forse tre. Magari anche quattro. Indolenza, circostanze, capitare, sincerità. Meursault è sincero, con se stesso e con gli altri. Alla proposta di matrimonio risponde più o meno con un “Fa lo stesso, vedi te, non mi cambia un caz“. Alla richiesta di scrivere una lettera per ingannare pensa semplicemente “Why not”. Un po’ come gli U2 durante lo Zooropa tour quando misero sul palco un limone gigantesco e quando gli chiesero il perché risposero “perché no?“. Insomma… lasciamoci trasportare dalle cose e se non appare nessun motivo per non fare una cosa, be’, facciamola. Sembra non esserci orgoglio e ambizione, in Meursalt, né sul lavoro, né sulla vita. Si lamenta ma non fa niente per cambiare, ma è palese – e sincero – nell’ammettere che non ci sono motivi per cambiare e che sta bene così.
Insomma… lo odi, ‘sto qua, perché vorresti essere lui. Vorresti proprio essere in grado di diventare fluido, senza attriti con il vivere, anche se questo può paradossalmente portarti a morire. Poi certo, nella seconda parte, quando il gioco si fa duro perché compaiono i duri (un pappone, un delinquentello, un avvocato, un giudice) ecco che vedi il lasciarsi trasportare di Meursault come una vendetta, una ribellione, anzi… un sabotaggio. Purtroppo destinato a fallire, ma c’è un lampo, una manciata di pagine, in cui il libro sembra diventare kafkiano, ovvero stai quasi per pensare che il sabotaggio possa riuscire. E non dico a salvare il protagonista, che è condannato a se stesso, ma a mettere in crisi il sistema.
E se c’è una cosa più fastidiosa dell’indolenza meursaltiana quella è il sistema precostituito dove è immerso. I momenti del: Ehi, ragazzo, non sai quanti anni ha tua madre, ovvio che non l’amavi. Ehi, ragazzo, non hai pianto nemmeno, chiaro che non stai soffrendo. Ecc. ecc.
Insomma… la faccio corta e la chiudo qua. Voglio fare una corsa, tagliarmi le unghie dei piedi, bere una birra, cominciare un racconto, sistemare questa stanza piena di tutto, disegnare una bestia colorata, scrivere un verso… insomma. Sono l’antitesi di Meursault. Lo siamo tutti. Viviamo, anzi, nella sua antitesi. Viviamo nel caos, nelle cose da fare, negli orari, nell’incapacità di provare indifferenza. Tanto lui è un dolcissimo e perfetto esempio del lasciarsi andare, senza opporre moralità, doveri, emozioni alle circostanze e allo scorrere del suo intorno, tanto noi sfigati siamo qua a cercare di modellare tutto ciò che vogliamo ci circondi. Lavoro. Persone. Cose. A pensarci, una via per diventare dei Meursault è quasi un percorso ascetico, pur in un ascetismo fatto di normalità. Voglio dire… lavora, gironzola, va al cinema, scopa… ma poteva anche non farlo. Quindi il punto non è nel non fare le cose, ma nel non provare nulla se capitasse di non farle. O perché no, di farle. Tutte le cose. Lo so… non è chiaro. Ma se per caso vi capita di leggere questo classicone, vi sarà chiaro. E anche voi odierete e amerete Meursault, e vorrete e non vorrete essere come lui. Del resto, è il bello del libro.