“Mèto – la casa” di Yves Grevet***(*)
Dunque… è martedì. Sono reduce da Milano, Marrageddon, Musei, Migliaia di passi e altre cose con la M e dovrei fare altre cose, più serie, anche se non con la M e anche se sono passate le dieci da un po’. Ma mi va di liquidare questo Méto – la casa, che mi sono letto in una giornata di Tagliamento, finendo le ultime pagine la sera come non succedeva da tanto. Perché? Perché è un libro che ti piglia come un crash e ti tira dentro come un loop… no, non proprio, ma abbastanza dai.
Più che altro è una bella edizione, di una casa editrice che si chiama Sonda e che gira nei miei scaffali da una decina d’anni (il libro, non la Sonda), credo, e che non so (o non sapevo) da dove cats è arrivata, anche se ora, mi pare, non so, forse, se non mi sono costruito una realtà alternativa, mi sembra che fu un regalo e mi arrivò per posta da Danilo Arona quando seppe che non avevo letto L’estate di Montebuio, e me lo regalò, e nel pacco c’erano altre cose. Sì, sì… mi pare proprio così. Quindi più di 10 anni, esticazzi. Anyway… non perdiamo tempo che poi non lo ritroviamo più. Dicevo, che lo trovai in ‘sto pacco e lo misi da parte. E sapete perché? Perché sono un coglione, tendenzialmente, e mi sono fatto fregare dalla copertina fumettistica, e pensavo, non so con quele diritto, che non fosse un romanzo, ma qualcos’altro. Invece è un romanzo! Anzi, è il primo tomo di una trilogia. Abbastanza autoconclusivo eh, ma sempre 1 di 3, quindi mettetelo in conto.
Allora… vi dico delle cose a caso e a sentimento. La prima cosa è che sono rimasto mezzo deluso, dal libro, ma poi, più ci penso, e meno trovo motivazioni per rimanere deluso. Anzi… alla fine è un romanzo breve con delle idee pregevoli. Tra l’altro l’edizione è ottimamente curata. Uno, percé la copertina è perfetta (Thomas Ehretsmann) e il dentro è pieno di cose buone: il font di ampia leggibilità e arioso, gli scherzi grafici sparsi a inizio capitolo e random a inizio paragrafo, la compattezza di carta e pagine… insomma, è esteticamente un bel libro.
Ma è dei contenuti, che vi devo dire. E c’è parecchio da dire. Tanto per cominciare, questo libro è molto, ma molto, Squid game, ed è inutile menarla. Se siete tra le poche persone al mondo a non aver visto la serie coreana, e magari siete lettori di cose strane di ambito kids, beh, ecco, valutate seriamente di NON guardare Squid e leggervi questo tomo o anche tutta la trilogia, (ma direi soprattutto questo tomo).
Perché? Perché il germe di quella serie è qua, anche se con motivazioni finali del tutto diverse. Abbiamo 64 ragazzi. Tutti maschi, divisi in 4 squadre a seconda dell’età. I rossi, dove c’è il nostro Metello, Mèto, sono i più grandi e se ne andranno dal mondo che è stato creato per loro, fatto di… Educazione. E regole. Regole. Regole. Allucinanti regole. Folli regole da rispettare. E i grandi aiutano a rispettarle. Perché ci sono i Cesari (Crasso, Tiberio, Cesare 1 e 2) che vigilano. E ci sono le spie. E bisogna cantare, e fare sport e studiare (ma non l’anatomia e il mondo esterno, ovvio). E per farli sfogare, ‘sti adolescenti privi di ormoni (sì, è un difetto) gli si lascia fare un gioco da bestie, di botte e dove si può restare anche ammazzati (ma non lo si saprebbe mai). E si piegano, più o meno tutti. Più o meno…
Insomma… Mèto è il nostro eroe. Il suo tempo sta per scadere e ha poco da perdere e orwellianamente parlando c’è una associazione segreta che gli dà gli strumenti per tentare di scoprire qualcosa, ribellarsi, fuggire, difendersi, sovvertire. Ecco… la parola giusta è sovvertire. E noi stiamo con Méto, eroe positivo, mentre i carcerieri sono cattivi, le spie sono stronze, per non parlare dei militari che controllano. Un mondo (è il titolo del tomo due, mi sembra) rinchiuso in una bolla, dove tutto è sotto controllo e dove è mistero su ciò che è prima e ciò che è dopo, delle loro vite.
E non si svela, in questo tomo, questo mistero, ma si lascia intuire molto e insomma… siamo nel giardino del Signore delle mosche, per capirci.
Insomma… tante idee, magari di per sé non innovative, ma mescolate in questo modo, ammetto, anche se ho dovuto metabolizzare per qualche giorno, hanno un loro impatto.
Però ci sono anche difetti. E secondo me più di uno. A parte questo bianco e nero iniziale che solo dopo la seconda metà diventa grigio, i personaggi, lo stesso Mèto, non sono proprio granché approfonditi. Nessuna descrizione fisica o quasi, e anche i caratteri, a parte quei due tre, sono trattati un po’ superficialmente e alla fine ti resta in testa una selva di nomi che non sai abbinare. (che poi, se usi come nomi Marco, Claudio, Romo, Ottavio, Spurio… boh, non mi pareva sta scelta vincente. Non so come fossero in francese, ma non mi rimanevano in testa e fino a un buon punto confondevo. Poi, è vero, la scrittura è rapida, e si è scelto di usare la prima persona, quella di Méto, ma per me è una scelta che ha rubato molto. Nel senso che Méto vede le cose dall’interno e dovrebbero esserci molte cose che non vede, non sa, non capisce e invece, per farle vedere al lettore, lui intuisce, immagina, progetta, e diventa quasi una voce esterna che perde in credibilità. Senza questa caduta della sospensione sarebbe un botto di romanzo, tocca ammetterlo, e in effetti ha vinto una paccata di premi letterari, in Francia. Che poi, è un libro per ragazzi, eh… non dico young adult (lo sarebbe stato se c’era qualche scopata o storia d’amore esplicita tra i ragazzi, che sarebbe naturalissima in 64 maschi in buona parte scoppiettanti d’ormoni chiusi in una sorta di collegio) ma forse anche sì, gli si può dare questa etichetta che piace tanto. E ci sta quindi la scelta della prima persona, perché non possiamo dare la colpa d’essere invecchiato male. Il mondo cambia e i temi della riconversione forzata delle persone, delle prigioni (fisiche e mentali) e della genetica come strumento e pericolo sono ormai pane quotitiano per le serie, i film, i romanzi e persino i complotti di facebook.
Insomma… alla fine lo promuovo. Ed essendo una piccola casa editrice, che manco so se esiste ancora, e che ha tradotto un autore francese che di certo non conosceva nessuno fino a quel momento, con un bel libro di fantascienza sociale che può scatenarvi parecchie riflessioni. (Alla fine, immagino, perché diciamo che alcune cose sono un po’ telefonate) Ecco… poco di più da chiedere e pace se magare il libro ha perso un po’ di mordente in traduzione o se gli il tempo gli ha camminato sopra con scarpe pesanti.
Poi? Boh… che la Sonda editrice è una gran figa, e non solo perché usa lo schwa e perché è attenta ai particolari, ma ha proprio una bella linea editoriale. Pensavo, sbirciando il suo sito, che sarebbe proprio una casa editrice perfetta per un libro come Zaraton, peccato che è in friulano. Vabbè… Gli proporrò DIA, quando e se lo scriverò.
Intanto vi dico un po’ di cazzi miei, che sennò lo so che i post non vi piacciono. E per esempio che mentre ero a City life, ieri, e c’era un botto, ma un botto oh, di carabinieri e police e guardie private, a difendere i ricchi e sai mai che un senza tetto o un borseggiatore o anche solo uno scalzo si azzardi a entrare nel quartiere, ecco, pensavo che non è mica poi così lontano da questo libro, quella cosa. Certo… in modo diametralmente opposto, con le regole dei ricchi, e i reclusi sono quelli che stanno fuori, e non quelli che stanno dentro, ed era una cosa curiosa. Comunque… a suo modo affascinante.
E poi, e stavolta non c’entra un cats col libro, pensavo al vino. Sto riordinando una collezione, da cantina a cantina, e c’è un po’ di tutto. E non so mica che farne, di tante cose. Cioè… un Bordeaux del ’56 con etichetta rovinata si beve, si vende, si butta o si conserva ancora? E un Barolo del 69? E i rosati, perché diamine li hanno inventati? Che senso hanno? Insomma… boh. E’ un grande mistero. Prima o poi, come Mèto, riuscirò a uscire da questa bolla di ignoranza e a mettere piede nel mondo esterno…
Ah… vedo che la serie dei Méto (la casa, il mondo, l’isola) è facilmente reperibile in epub. if vi interessa. Io dovrei tirare fuori dalla polvere l’ereader, forse boh.. grossa tegolina (why not).
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