
“Anni d’oro” di A. Camenisch****
Da quanto è che non aggiorno questo sito leggendo un libro? Da quanto è che non leggo un libro? Un libro intero, dall’inizio alla fine. Un libro senza le figure, per quanto corto. E quando vi parlavo di un libro, vi raccontavo un sacco di cazzi miei, prima e mentre ve ne parlavo. Ma adesso, e okay, ci posso anche provare, i cazzi miei sono talmente tanti che non riuscirei a farceli stare, in queste righe, in questo articolo. Mi rendo conto che le giornate dense, non percepite, sono talmente dense che a pensarci non ce la si fa a metterle insieme. Che ne so, stamane, tornando a casa, alle sette e qualcosa, ascoltando Indagini, tutto sembrava ancora gestibile. Mi sono fermato a casa, ho bevuto il mio yogurt del cazzo che mi piace bere, ho attaccato la spina per il rasoio (volevo farmi la barba, nella mia testa) e per l’acqua calda (volevo farmi la doccia con shampoo e balsamo, nella mia testa) e del resto, io credevo, oggi è giovedì. E io giovedì comincio scuola tardi, alle 10. E avanza del tempo. Ho comprato il giornale, il gratta e vinci per mio padre, ho giocato al enalotto, sempre per mio padre, fatto due chiacchiere col giornalaio e via, dalla vecchia, a bere il caffè, ma prima, a fare benzina per la 500, e anche per la motosega, e poi, vai, veloce, erano solo le otto e dieci, e ho pensato, faccio una corsa…. arrivo. E poi ho perso l’ora, il tempo, il senso delle cose. Ho perso un’ora. Un’ora esatta.
Cioè… voi non potete capire, credo. Ho sbagliato. Mi sono perso, correndo per i campi. Ho corso per i campi arati senza correre, perché le mie ginocchia dicevano no. Sono tornato seguendo un campanile, perché mi oriento così. Ho ascoltato musica dance per correre. E tecno inutile. E poi ho visto dei fiori. Prima i fiori dell’erba medica, poi altri, poi altri ancora.
Ho pensato e scritto uno haiku. E poi, mentre lo buttavo in una storia di IG, così per non perderlo (nazi, ne ho pensato un altro, sui rospi e le more, ma è sparito), ecco che ho guardato l’ora ed erano le 9.22. E mi sono reso conto in quel momento che NON erano le 8.22. Io al giovedì che vado a lavorare in 500 parto da casa alle 9 e 15, per essere tranquillo. E io alle 9 e 22 ero ancora nei campi, dietro casa dei miei… e pensavo agli haiku, ai fiori, alla doccia che dovevo farmi. E invece ero oltre ogni ritardo. Capite? La giornata era già oltre. Buttarsi sotto una doccia fredda-gelata, scegliere dei vestiti a cazzo e buttarli in macchina, partire in mutande, vestirsi per strada, con dei jeans di merda che avevo deciso di buttare ma insomma… quello c’era, dai miei. E volare sulla 500 mandando messaggi vocali del cazzo, che dovevo-volevo mandare. A Alis, a Giulia, a Noè, alla Sis… del resto lo dovevo fare prima, quando pensavo di avere tempo. E poi scendere al semaforo di non so quale via per mettermi la camicia, ché mettersi una camicia in 500 mentre guidi è cosa dura, e la police che si ferma dietro, e ti guarda male, e okay, ‘zzovolete, mi sto vestendo. Mica potevo vestirmi a scuola no? Ecco…la giornata era già così densa, così piena di cose, che sarebbe potuta finire e okay… era salva. Si potevano salvare millemila cose.
E invece no. Adesso sono qui. Mezzanotte giunse. Mangio patatine. Bevo un long island rubato a deni, Ho letto le poesie di Cappello, le solite, che rileggo, anche Parole povere, bellissima, che non muore mai. E settembre. E Inniò. E in mezzo c’è stato l’impossibile, di cose. dal sushi organizzato, le 64 barre del marra, giuli K, la nonna, il pranzo dei prof, la febbre di mio padre, la morte che va e viene, Borges letto nel letto coi peluche, l’immortalità, un po’ di bibbia letta, platone, i nutella buscuits, un disegno, una quasi poesia, le ragazze piramide, madame, aranciata una rosa rubata, un tramonto, una canzone, la chitarra accordata, un geco da scrivere e alla fine, questo libro di cui vi voglio parlare. Capite? Tutto in un giorno solo. Che non è ancora finito. E io vi devo parlare di Camenish. Di Anni d’oro.
E lo faccio. Adesso. Mentre ascolto Murubutu, mentre ho già finito il long island. E me ne farò un altro. Ma dopo. Mentre penso alle cose… tutte le cose. Camenish, dicevamo. Sono andato a vedere la presentazione del libro a Camino, no, non ricordo dove… comunque in una azienda agricola che fa le cose dei libri. Sono andato perché me lo ha detto Renzo, di andare, ché è amico e fan di Arno, ma anche se soprattutto perché Arno è figo. Cioè… intendo proprio bello, affascinante… figo. Ed è stato così (ed era strapieno di gente, alla presentazione, e molte donne, già.) Anzi, mi sono fatto pure la foto. Ve la metto, perché è bella.
Dicevamo? Che ho comprato il libro, e l’ho letto. E’ un libro della Keller. Mi diceva qualcosa. E credo sia lo stesso editore di Prugne verdi, che era una nobel. Ma non sono sicuro e non ho cazzi di cliccare sul link per vedere se. Anyway… un libro piccolo. 123 pagine. Un libro semplice semplice. Per buona parte l’ho letto un giorno che sono andato sul fiume a fare costruzioni coi sassi, trovare una pala, fare il bagno e cose così… E l’ho finito domenica, sempre sul fiume, prima di passare a Junji Ito, tanto per farvi capire che leggere mi è diventata attività ardua e faticosa. Fatto sta che mi fa piacere dirvi di questo libro, di questo autore, che non conosco ma ho cominciato a.
Ma tipo adesso, sapete cosa sto facendo? Ascolto Aranciata, il nuovo Madame, e ho ascoltato il nuovo Irama Rkomi ecc… E ascolterò tutti i pezzi usciti oggi, che è venerdì. Ormai è la mia attività del giovedi notte, e così va. (tipo adesso. Rkomi, Sfera, Madame… ) Ma torniamo al libro…
O meglio, parliamo prima dell’autore. Arno viene spesso in Friuli. Lui scrive in tedesco, ma sa il romancio, e ha scritto i libri, i primi, in romancio, mi pare. Ed è figo questo scrivere o poterlo fare in una lingua piccola, di un paese piccolo, di cose piccole. Questo fa Arno. Usa il discorso diretto, e anzi, gestisce tutte le 123 pagine con un flusso di chiacchierata, più che un discorso diretto. Un chiacchierata fatta da Margrit e Rosa-Maria, due sorelle che gestiscono un chiosco, in un piccolo irraggiungibile paese della Svizzera, e vicino alla pompa di benzina osservano anche tutta l’attività che gira intorno alla propria insegna. E’ una scrittura che ha un suo stile fermo e inattaccabile, quella di Arno, e che si muove su alcune boe, alcuni punti fermi linguistici ripetuti e ripetuti attorno ai quali costrire le vicende – poche e semplici – e usarle come specchio, o come lente di ingrandimento, dipende. Così, sotto l’insegna accesa per l’ultima volta, dopo un’era di lavoro e cose che attraversano, ecco che si entra nei ricordi.
Se vogliamo farla breve, avete due nodi da osservare e sciogliere, in questo libro. Il primo è di stile, di tecnica narrativa. Arno usa la parola come un’altalena. togliendo virgolette e usando il dialogo libero in pratica tratta l’intero libro comun un unico grande inciso, una lunga chiacchierata a due voci. Margrit e Rosa accendono l’oinsegna e si preparano ad aprire il benzinaio-chiosco del piccolo paese in mezzo alle montagne svizzere e parlano. Si ricordano gli anni d’oro, i loro 51 anni di lavoro, e nel farlo usano la parola in modo semplice. E quello che sta attorno alle loro parole è una sorta di cornice sempre uguale. Gli occhiali sono sempre “dalla montatura dorata”… sempre. Lo si dirà almeno una volta ogni due pagine, i cinquantanni diventano sempre cinquantuno, l’insegna è sempre la nostra bella insegna luminosa… e così via. Un allagare i contenuti di parole sempre uguali e farne non-marea, calma piatta… insomma, può piacere o meno, ma è un ritmo, una tecnica, ed è gestita bene. Ottimamente. Lo si legge con piacere. A me, almeno, ogni volta che la Rosa-Maria sollevava i suoi occhiali “dalla montatura dorata” mi faceva ritrovare la pace della lettura.
Il secondo nodo è di contenuti. Camenisch racconta la provincia, il piccolo paesino, le storie piccole, che però sono storie a loro modo grandi. Un tradimento, i tanti amori, le avventure, il lavoro, i fatti del mondo (andare sulla luna, Eddie Merx…) che sfiorano le vite del piccolo chiosco senza che nessuna si accorga di nulla, o quasi. C’è un amore, tra queste righe, per il piccolo paese da una manciata di abitanti dove l’autore è nato. Si vede. O forse più che altro un valore, che viene dato. Saper spalare la neve a regola d’arte e aiutare qualcuno a farlo ha un valore; innamorarsi perdutamente a tal punto da mandare in vacca il proprio lavoro, ha un valore; divorziare e rifarsi una vita, tradire, ammirare la bellezza, essere gentili, generosi… sono cose che hanno (ancora) valore.
Poi certo… non è un libro di grandi ambizioni, Anni d’oro. Anche quando racconta la crisi climatica, il pianeta che va a rotoli, pecca un po’ di retorica e di banalità e pensi che queste cose forse potevano restare fuori. Nel senso… le due sorelle hanno uno sguardo disincantato e ingenuo sul loro mondo, ma diventa improvvisamente critico e puntuale quando si tratta di commentare la neve che non c’è più o il clima troppo caldo. Però ha il grande pregio, questo libro, di essersi fatto finire, da me, che oramai, in questo ultimo anno, non ho letto niente. Ed è un gran bel pregio, anche se solo mio.
Astrid
Da quanto è che non aggiorni questo sito leggendo un libro?
A dire il vero io pensavo che avessi fatto il sito apposta per vedere quando aggiorni il sito 😀
Comunque: dall’8 maggio. Non è tanto, dai.
barbara pascoli
L’ho trovato commovente. Mi piacerebbe riuscire a scrivere un libro come questo.