
“Il rapporto di Brodeck” di Manu Larcenet****
Ho quasi finito il mio moscow mule e devo ancora iniziare a scrivere questo post.
In questa coda del tempo in cui l’ombra del bosco diventa un bosco d’ombre me la prendo comoda: accendo il fuoco e decido di scegliere della musica nuova, scelta un po’ così, senza badare molto al senso se non alla novità. So che sono cose che ascolterò, prima o poi. Lo faccio adesso. E ne scelgo poche. Ve le dico anche. Beth Orton, che è uscita con una cosa nuova ed è di quelle voci che una volta che ti saltano addosso non te le scrolli. Su di me è dal Central Reservetion. Chi sa, capisce. Poi Tha sup, perché suvvia, riesce ancora a farsi largo tra le cose nuove, e poi ha messo le chitarrine. E poi gli Afghan Whigs. Sono i primi. Lo so, li ascolterò e non saranno quelli di gentleman, ma nemmeno io sono più quello e so che qualcosa troverò, che farò back e riascolterò. Poi ho messo Mitsky, che non so chi diavolo sia me ne parlavano bene, e a volte bisogna fare così. E poi, per nostalgia, il nuovo pixies. La nostalgia va coltivata, anche se con poca acqua. Loro sono quell’acqua, per oggi. E pensate che vi dovevo parlare di una graphic novel.
E ve ne parlerò, don’t worry. Ma fatemi fare una foto alla luna, perché stanotte è proprio perfetta, per questo rapporto, di bianchi e di neri. E di grigi, che non ci sono ma ci sono. Che non ci sono ma ci dovrebbero essere. E forse ci saranno. Poi magari ve la metto, la foto. Io intento comincio con gli Afghan… vediamo come va.
E comincio con questo libro.
Me l’ha regalato Serena e sarebbe il mio regalo di compleanno. E lo è. Lo è perché l’ho letto, pur essendo un’opera monumentale, a livello di pagine (3)20 e rotte e a livello di emotività. Bianca e nera, ma più nera che bianca. Ma l’ho letto, in due sere, spaccandolo nei due volumi di cui era composto. E volete sapere una cosa? Non mi ricordo come va a finire, pur avendolo terminato giovedì scorso. Ed è bello così, nel senso che il finale, davvero, non è importante. Quello che vuole dirti, Il rapporto di Brodeck, è nel mezzo, è nel raccontartelo. Non è importante come va a finire una storia (quella dello scrivere il rapporto) che è già finita prima di cominciare (quella contenuta nel rapporto).
Non serve il finale perché è la natura umane, il finale, e sta nel mezzo. Anzi, sta all’inizio. Guardatele, le facce di queste tavole che vi metto qui sotto.
Nere. Truci. Cattive. Minacciose. E Brodeck, lo vedete nella seconda e nella penultima, è smarrito, spaventato. Disarmato da quello che gli chiedono. Brodeck che è uscito vivo dalla guerra, dal campo di concentramento, dalle torture. Che si è piegato per non morire, vergogna e sottomissione in cambio della vita. Si parla di nazi, quindi? No, o meglio, sì, ma senza riferimenti. Mettiamola così, si parla di nazismi umani, senza il bisogno di definirli. Un po’ la lezione di quel famoso prologo di Levi, l’esperimento sociale a cui allude. Ma forse è meglio che cominci dall’inizio, se per caso volete regalare (perchè questo è un gran regalo) un tomo grosso e scuro come questo.
Dunque. Philippe Claudel è uno scrittore francese del ’62, vivente, che ha scritto “Le rapport de Brodeck” nel 2007. Il libro è tradotto, ma diciamo pure che non lo trovate sugli scaffali. Da questo libro Manu Larcenet ha tratto la graphic, una marea di inchiostro nero che invade e sommerge le pagine. E’ proprio il gioco di bianchi e neri che va colto. Brodeck è un reduce, abita in un villaggio, ha subito la guerra da straniero, in un lager/campo di sterminio, con dei nazi che vengono disegnati come mostri. Poi la guerra finisce e lui si salva. Alcuni, nel villaggio, lo aiutano, ma l’idea è che lui è e resterà straniero. Se succedesse un’altra volta, se tornassero i mostri, quello che i suoi paesani hanno fatto, rifarebbero.
Insomma… si comincia dalla fine, e il rapporto che il villaggio chiede a Brodeck è un rapporto della coscienza collettiva. C’era uno straniero. Uno straniero che disegnava, scriveva, non parlava, rideva, amava un cavallo e un mulo. Uno straniero che non sembrava riconoscente. E il popolo, loro, i poveri di spirito, si insospettiscono, si coalizzano, e alla fine lo uccidono. Uccidono un innocente per la sua diversità. La paura del diverso, l’eterno tema.
E non è originale, certo. Non è un suo pregio. Le condanna ai nazismi le leggiamo da decenni, le viviamo da millenni, e il fatto che siano di un nero-bianco travolgente le rendono forti, ma non originali. Però, se vi capita di entrare in una libreria, e come faccio io, curiosare tra i fumetti, e vi capita in mano questo librone orizzontale pesante da 35euri, bene… fermatevi e sfogliatelo. Dico proprio di sfogliarlo.
Noterete delle pagine che vanno via di bianco. Altre, molte, che vanno via di nero. E voi direte: graziealcats, è una graphic in bianco e nero. E no, non è semplicemente così. Brodeck, quando è nella natura, nel suo lavoro, in mezzo ai ghiacci, alle gazze, alla neve, con sua figlia e con sua moglie catatonica (e certo, violentata dai soldati, ovvio) ecco… è bianco. la storia è più bianca, respira. Ma sono momenti brevi. quando ci sono le analessi del campo di concentramento il bianco serve a fare da contrasto ai mostri, ai morti alle violenze. E quando si è nel paese, quando si è nei ricordi di Brodeck, ecco… il nero, il nero prevale.
Insomma… tornando a noi. Il villaggio, gli uomini – le donne non esistono – chiedono a Brodeck, che sa scrivere, di stendere un rapporto per spiegare perché hanno fatto bene a uccidere l’Anderer, lo straniero, capitato lì non si sa perché e fermatosi a disegnare, a prendere nota, a fare domande. E Brodeck non può dire di no. Se abbiamo fatto fuori lui, facciamo fuori anche te. La minaccia è nascosta e limpida. E così scrive, ma decide di scrivere anche un altro rapporto, un diario, il suo, personale, nascosto, segreto. E noi leggiamo, nelle sue parole, entrambi i rapporti. E non si distingue bene cosa è in quello ufficiale, che sarà approvato dal Sindaco, e dagli altri assassini, da quello segreto. Ci sono semplicemente entrambi.
E poi, come vi dicevo, arriva il grigio. Ma il grigio non è nei colori. Il grigio è nei personaggi. Il sindaco, il locandiere, altri del villaggio… che una coscienza forse hanno, ma l’hanno uccisa. Costretta a marcire, direi. Insomma… avete capito. Non è graphic da allegria. Ma è qualcosa che se vi regalano, non date via.
Vi lascio un altra tavola, va.
E poi… non so. Non è che poi bisogna dire altro. La trasposizione, a intuito, sembra fedele, se non altro alla storia che è abbastanza lineare. Ma nel pathos, nell’emozione, be’… ecco, secondo me è una gran bell lavoro, questo bianconero di Larcenet. Non so se si potesse rendere meglio di così, la cupezza della storia e la mescolanza del rapporto. Certo… Brodeck è quello buono, la sua famiglia è quella dei poverini che subiscono, e tutti gli altri ti vien voglia di ucciderli. Forse in questa mancata empatia verso gli abitanti del villaggio c’è una pecca, ma va anche detto che loro sono la coscienza umana, la cattiveria del branco, l’egoismo del singolo e del simile: è giusto siano da odiare.
MA insomma… direi che è ora di chiuderla qua. Vi ho detto anche troppe cose, io mi devo fare da bere qualcos’altro e tornare alla luna. Ah, la foto. Mettiamola, va, che sempre di bianchi e neri si parla.