“Uironda” di Luigi Musolino***(*)

“Uironda” di Luigi Musolino***(*)

Leggo un po’ di più, e nei primi giorni di vacanza, quando ancora non ero disoccupato e riuscivo a non riempirmi di cose da fare obbligandomi ad andare in bici sul fiume senza sensi di colpa per le millecosechenonstavofacendo sono riuscito a finirmi anche il libro di gigi. Che nel frattempo ne ha scritto un altro, un romanzo, pubblicato pure in inglese, e che okay, col tempo dai… prima o poi. Intanto questo. Che era di racconti. Ed è forse un po’ meno bello di altre sue cose e sicuramente delle cose che scrive adesso, è più acerbo, ma comunque è sempre bello e piacevole da leggere e dentro ci sono dei gran pezzi. E ora che penso a gigi, mi sono ricordato di altre due cose.

Una era che doveva aiutarmi a tradurre Cryptofriûl in italiano e invece lo stronzo si è dimenticato di rispondermi alla mail non so quale e io ovviamente mi sono arenato… e niente, è inaffidabile.

Un’altra era che poi alla fine l’ho scritto, il libro, di cui lui aveva messo il germe, anni e anni fa, quando si parlava di mostri e teratonomicon e isole e lui alla fine ci aveva scritto un racconto che era scritto proprio qui dentro. Anzi, è proprio quello che apre la raccolta, L’isola e l’abisso. Lui lo ha ambientato nelle Maldive, e l’ha fatto tutto horror, senza sconti, con dentro molte cose visionarie. Il mio invece è diventato romanzo socio-ambientale… questione di derive e periodi. (ma non mi chiedere soldi, che tanto l’ho scritto in un mese ed è venuto brutto). Vabbè… di che stavo parlando? Ah sì, Uironda.

Musolino oramai lo conoscete. Se non altro per tutti i libri che ho recensito qua dentro. E se c’è una cosa bella degli scrittori è che più scrivono più diventano bravi, imparano cose, e quindi, sappiate che questi racconti sono di prima del suo romanzo, e ci sono un sacco di belle idee. Forse, mentre Oscure regioni erano raccolte di racconti, qui siamo proprio nel tratto di strada che lo stava portando al romanzo, se non altro per la lunghezza-novella dei due racconti che chiudono e per una idea generica di aumentare i personaggi e le vicende, ficcati dentro le storie. E in ogni caso, tanto per essere chiari, se volete avere un quadro della narrativa breve horror contemporanea italiana, Luigi Musolino è imprescindibile.

Comunque… Se il pezzo di apertura era in virata verso un orrore puro, tangibile, quasi splatter, col secondo si va verso territori più musolineschi. L’orrore psicologico che parte dalle situazioni quotidiane, nostrane, semplici. Gigi, come me un tempo quando avevo le ginocchia, va a correre. E io come lui, la sensazione del perdersi, del fare giri lunghissimo sbagliando strade tra i campi per poi magari arrendersi a tornare indietro, la conosce bene. Capita. E c’è un momento in cui pensi, o ti capita qualcosa che ti fa pensare, che potresti anche rimanerci, in quello smarrimento. Tipo ti accorgi che se scivolassi in quel ridicolo fosso di rovi e ti rompessi una gamba nessuno saprebbe dove sei, e facile che ci marcisce, il tuo corpo idiota, in quel posto. Andare a correre per pensare porta a questo. Ecco… è l’innesco di Acido lattico, gran bel racconto, breve e preciso.

La notte nella notte, più che un racconto è un esorcismo, ed è bello, tenero e cupo, e mi ha ricordato molto le atmosfere di Junji Ito, e l’infermiera mi ha ricordato la sua modella brutta, fisicamente. Anche qui, una prima persona rende tutto credibile, gran scelta narrativa, e l’abolire la paura per lasciare spazio al sentimento, be’… anche qui, ottima scelta. Non si poteva fare meglio, a livello di plot.

Poi c’è Njambi, che coi fascisti alle porte tornerà maledettamente attuale. Sbarchi, immigrati, cadaveri in mare. Sono cose che sono orrori già così, ma si può prendere e mutare un cose peggiori. A me non è piaciuto tantissimo, eppure è quello che ha il potenziale più grande. Troppi stereotipi (che poi son veri, eh, ma a volte il messaggio travalica parte narrativa e non è mai un bene) e forse un po’ allungato. Comunque un brivido, gli Njambi, ve lo strapperanno. Di bello ha che è già un film (però con una sceneggiatura banale).

E poi c’è Le colline nere del supplizio e Uironda, il racconto che origina il titolo. E forse il primo è tra quelli che mi sono piaciuti di più, e qui, chi ha letto robe di Gigi, un po’ se le aspetta le conclusioni finali, le motivazioni. Non è autore a cui piaccia buttare lì gli orrori in modo immotivato. Per gli orrori c’è sempre un perché, magari senza un bene o un male, senza un giusto/sbagliato, ma un perché delle cose c’è. E ama nasconderlo, si sa, non tanto per farci fare “Ohhh”, ma quanto per farci fare, a noi lettori, “Occazz…” E in questi due pezzi ci riesce. Uno molto fantastico/lovecratiano, che ricorda il colore venuto dallo spazio, o le nebbie kinghiane o lansdaliane, quindi niente di originale, okay, ma gestito bene, con i tempi giusti e i personaggi ben tratteggiati. E un modo ottimale di buttare giù la storia, in media res, con le analessi che cascano al momento giusto fino alla fine. Gran bel pezzo. Un racconto horror da manuale, direi. L’altro, con l’incubo stradale, con un’idea di nuovo non certo nuova, ovvero quella dell’uscita fantasma, ma gestita bene e che diventa strumento, e non oggetto, del racconto.

Poi c’è quello sulle formiche. Inquietante, ma che non mi ha del tutto rapito. Sarà perché non ho la fobia degli insetti che ti riempiono il corpo. E poi c’è in bilico. Che è questo che già avevo letto e recensito, e l’ho pure riletto. E In bilico insomma… è il più brutto del libro. Ora. Si vede che è vecchio. E pure invecchiato così così.

E poi ci sono i due romanzi brevi, o novelle, suvvia.

“Il terzo piano e mezzo della scala D” è una storia di bambini e universi paralleli. Ben gestito. Coi bambini Gigi se la gioca sempre bene. Le storie dei posti brutti e degradati a volte possono essere ancora più brutte e degradate, in altri mondi, e qui si gioca soprattutto sul raccapriccio, sulle cattiverie. Buona di nuovo la scelta di una prima persona che pian piano finisce per sfiorare la black box per poi uscirne nelle ultime pagine con un bel colpo da maestro. Okay, prevedibile, ma piacevole.

E poi nelle crepe. Il racconto nel racconto, che parla di decadenza. Di una crepa nel muro che si mangia la città. Di vecchiaia. Di non volerci arrivare, né alla decadenza, né alla vecchiaia. E anche qui, pregevole, quel trasferire linfa vitale dalla morte a una crepa in un muro. Un bel brivido ve lo beccate anche qua, anche se di raccapriccio.

Insomma, dai. Una raccolta forse non troppo omogenea, anzi, sicuramente non omogenea. Ma a me ogni tanto piacciono anche le raccolte così, con le storie che non hanno molto a ce vedere una con l’altra, e che ognuna si prende il suo spazio.

E direi basta. Ci sarebbero un sacco di cose da dire, ma non ho cazzi. Ho sistemato la stanza dei libri e dei colori, oggi, che è un lavoraccio, e se non avessi Nazario a farmi compagnia e in cui buttarmi dentro ogni tanto, non so mica se avrei cazzi di aggiornare il blog. Che poi mi sono messo a sistemare ‘sta stanza solo per poter ricominciare a dipingere, ecc. Vabbè, problemi miei. Torniamo a lavorare va. E gigi merda e Candio. Ah, grazie per la dedica, ovviamente l’ho letta solo adesso 😀

 

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