“Moon Lake” di Joe R. Lansdale****
Sto per fare una cosa e non mi ricordo nemmeno più come si fa.
Parlarvi di un libro, di un libro che ho appena finito di leggere, di un libro recente.
Sì, lo so, ho abbandonato un po’ questa parte di sito – e anche le altre, okay – ma da oggi sono disoccupato e lo sarò un buon prossimo futuro, perché non ho alcuna intenzione di cercarmi un lavoro nel breve. E nemmeno nel lungo. E fanculo. Dunque, ho fatto cose che non facevo da almeno dieci anni, ovvero alzarmi, fare colazione, prendere la bicicletta, l’asciugamano, il libro e bum, andare a schiantarmi sotto il sole fino a che il libro non finisce.
E per fortuna che era Joe!
Un Joe che mi ha regalato Astrids pur non sapendo della mia mania per Joe che tra l’altro è davvero da parecchio che non leggo, perché non compro più libri. Non perché non mi piaccia più, Lansdale, eh, ma perché non ne leggo e quindi mi fa solo male comprarli. E anche quando me li regalano, lo ammetto. Però questo no. Questo era uno dei pochi libri che era possibile regalarmi – con tanto di firma di Lansdale e dedica che mi dice Keep Writing – senza aumentare il mio perenne senso di colpa del non leggere. Sarebbe un discorso lungo, ma chi lo prova mi capisce senza farlo.
Anyway, dicevo, oggi con la compagnia dei cavedani (voi non avete idea di quanto giochino i cavedani quando pensano di non essere visti da nessuno), con la figura elegante di un martin pescatore sul ramo (ma da quanti cazzo d’anni non ne vedevo uno? E che becco lungo ha?) e con il sole galattico che mi ha spinto sotto gli alberi un paio di volte mettendo il culo in acqua e continuando a leggere, sono entrato nell’effetto lansdale. Senza mandarvi a rileggere l’articolone su Joe, ridico che è quel momento del libro in cui arrivi e sai che non ti sarà possibile smettere di leggere finché non lo finisci. Qui, direi, l’effetto è arrivato verso pagina… aspettate che vedo… 206, su 340. Quando la vecchia spiffera un sacco di cose a Danny, il protagonista, che ti fanno dire, Ah! Oh… ora si che son cazzi per Danny. E vuoi sapere come ne esce, visto che è il solito romanzo lansdaliano in prima persona e sai che Danny, l’eroe, ne uscirà.
Ma torniamo ai cavedani. Ero nel Tagliamento, ma non in acqua morta, ma corrente. E dopo un paio d’ore che ero immobile i cavedani, che erano nascosti sotto le frasce, sono usciti e si sono messi a giocare, ed erano cavedani d’acqua corrente, e sembravano trote, pur non essendolo. Ora, un pescatore mi capirebbe al volo, ma diciamolo a tutti. I cavedani sono ciprinidi, stanno nelle acque ferme, sono sospettosi e stanno sul cazzo un po’ a tutti. Sono belli grossi, paciocconi, roba anche di qualche chilo, ma non abboccano e anche se abboccassero non li vorresti, perché non te ne fai niente, visto che da mangiare non son granché per non dire altro. Insomma… questi sono. Ma qui invece c’erano sti cavedani affusolati, velocissimi, rapidi, giocosi, salterini… roba decisamente diversa dai soliti. Non che mi fosse venuta voglia di pescarli, ma erano decisamente migliori e si comportavano da salmonidi, anziché da ciprinidi. Vabbè, il fatto è che quelli paciocconi, che stanno nelle acque ferme, in sostanza mangiano merda, mentre questi altri, che avevano scelto di stare sulla ghiaia e in acque veloci, erano diversi. Cosa c’entra col libro? Poco, ma forse nemmeno tanto poco.
Mangiare merda, dicevo. New Long Lincoln è la merda. Una cittadina che è stata ricostruita per far sommergere la parte vecchia da un lago. Moon Lake appunto. Cose che si fanno. Poi, sott’acqua, resta il vecchio paese, il nuovo lo costruiscono più in là. Come al solito alcuni non se ne vogliono andare. Puntano i piedi. Stanno a casa e pensano: “mica avranno il coraggio di aprire la diga mentre siamo ancora qui?”. E invece…
Questo lo scenario. Ma la merda è nella città nuova. Tre vecchiacci che gestiscono il consiglio comunale. Il paese è piccolo, pieno di razzisti e stronzi, e questi tre sembrano davvero aver le mani in pasta dappertutto. Normale amministrazione, potremmo dire, se pensassimo al nostro Paese. Ma di nuovo, la storia non è questa.
La storia inizia da un altra parte, con un padre lasciato, una madre che se n’è andata, e il figlio 14enne rimasto a patire la miseria col vecchio, che comincia a sragionare per la depre. E che fa? E niente, lo porta al lago, perché in quel paese lui e sua madre sono nati ecc ecc. Salgono sul ponticciolo, gli dice guarda che bella luna, ragazzo, e poi niente. Mette in moto, accelera e via… tuffa la macchina, per far fuori entrambi. E a metà ci riesce. Ma una family di colore che era a pesca vede la scena, una ragazzina della stessa età si tutta e Danny viene tirato fuori. Ecco… da qui comincia tutto, ma dieci anni dopo.
Un prologo alla Lansdale, che costruisce un personaggio che avrà un ruolo, lo sceriffo, ed alcuni personaggi che non ne avranno, ovvero la zia di Danny, sorella della madre scomparsa, e i due di colore che accolgono Danny a casa, per qualche mese. E un bianco che vive coi neri, in quel posto di simpaticoni, viene visto come Tarzan tra le scimmie. Questa cosa di aver disegnato molto bene personaggi che poi tendono a scomparire o a non aver ruoli rilevanti potrebbe essere anche un difetto, ma ci devi pensare ex-post, come sto facendo io, e durante non si nota.
Veniamo al libro, piuttosto.
E’ presto detto, se esistesse un manuale di “Come scrivere un libro à la Lansdale” questo libro lo avrebbe seguito pedissequamente. Vi elenco alcuni punti, i principali, del manuale, che vi ritrovate.
- Un eroe di sani principi, che solitamente non le dà ma se capita è capace di darle.
- La cosa del razzismo che c’è anche quando non c’è
- la cosa delle scazzottate
- la cosa dei cattivi cattivi
- le similitudini con le parolacce e le immagini lansdaliane
- il finale in accelerazione, con l’effetto Lansdale
- il marcio americano
- la storia d’amore che però non andrà come deve andare
- il personaggio borderline che avrà un ruolo importante (qui si chiama Ragazzo torcia, ma è l’uomo capra o insomma, chi sa ha già capito)
- una manciata di mojo (qui un bell’idolo di legno)
- la scena violenta
- e una spruzzata di crescita/trasformazione dei personaggi buoni.
- qualche colpo di scena.
Ci sono altre cose, certo, ma direi che qui c’è tutto. Ed è tutto ben mescolato, va detto. Le cose arrivano al momento giusto e la velocità è quella giusta. Difetti? I dialoghi sono fantastici, come sempre, ma le similitudini sboccate vengono messe in bocca praticamente a tutti, e non solo all’io narrante. E se mi pul andar bene per la vecchia, che ha un mutamento repentino dovuto a fatti interni forti, meno bene mi va per la dolcemetà nera poliziotta e per il meccanico-reduce… Diciamo che bastava mettere le stesse similitudini, azzeccatissime, in bocca a meno personaggi e okay, non avrei avuto questo appiattimento dei toni nei dialoghi.
Poi? Poi niente. La trama è che dieci anni dopo il lago si prosciuga per la siccità, trovano la macchine del padre di Danny, con i suoi resti dentro, ovvioe, ma la cosa che non torna è che trovano anche un altro cadavere nel bagagliaio. E da qui non vi dico altro. Lui tornerà nella città, e comincerà a fare ciò che sa fare di mestiere, il giornalista e lo scrittore, scoperchiando un nido di vipere.
Quel che succede, ve lo andate a leggere.
Una buona prova? Sì, decisamente una buona prova. I difettucci ci sono, ve li ho detti, ma appunto, li devi andare a cercare di proposito, visto che il libro scorre che è un piacere e arrivi alla fine col colore di un’aragosta e la sete di un spugna lasciata a essiccare nell’estate messicana.
E torniamo ai cavedani.
Qui ci sono molti cavedani che vivono nella merda e mangiano merda. Non dico i cattivi, perché c’è anche qualcuno che è in bilico, tra il cedere e il tenersi alla larga da, ma alla fine cede. I cavedani veloci, invece, sono quelli fuori dal giro, per un motivo o per l’altro. Tipo Danny, che è andato via, tipo quelli di colore, che sono esclusi e trattati da reietti, tipo la vecchia, lo shapeshifter, che avendo un marito merdassoluta alla fine passa dal lato opposto per ribellione.
E sono questi ultimi cavedani che smuovono le acque del Moon Lake.
Poi magari non tutte le cose andranno al loro posto, ma quelle importanti sì, anche se un po’ di frettolosità nel finale io ce l’ho trovata.
è tutto dai, ora vedo di farmi il mojito della buonanotte, finire questa quasi poesia che da un paio di giorni caracolla sul foglio, e andarmene a dormire il sonno dei giusti con i sogni degli sbagliati. O viceversa, vedremo.