“Labirint” di Junji Ito****

“Labirint” di Junji Ito****

Bello! L’ennesimo Junji Ito, di quelli belli, con i brevi racconti horror, con dentro un’idea. E questo me lo tengo anche, perché è il mio regalo di compleanno di Luca, che ovviamente se lo è già letto prima, e non glielo devo restituire. In effetti, questa cosa dei regali di compleanno in cui regali una cosa che vuoi tenerti tu, ma se poi piace all’altro se la tiene e comunque la leggete in due è un gioco win-win. Se conoscete Junji Ito o anche solo se avete già letto i post su questo sito, che ne so, fatemi linkare, tipo Voci, tipo Soichi, tipo Fragments, o brivido, o quello dei gatti, insomma, sapete che scrive belle storie horror ed è uno dei mangaka più conosciuti e stimati di questo genere.

Poche chiacchiere, quindi, ma due parole per dirvi che storie ci sono, quante, di cosa parlano, se è bello come gli altri o meno o più. Labirint e altre storie.

Dunque… la storia che gli da il titolo è la più lunga e anche se non è complessa, è comunque dove compaiono più personaggi, e secondo me, non è la migliore, ma è questione di gusti. Certo, la scena cardine è davvero tosta, e uno che soffre di claustrofobia è meglio che la eviti. Anzi… ho trovato anche una tavola che la riguarda e ve la metto qui sotto, che è sempre meglio guardare, che parlare, quando si tratta di manga e graphic novel.

Tra l’altro, ora che studio i fumetti (eh, lo so, lo so, dovrei studiare per il concorso, ma mi sono messo a studiare i fumetti) apprezzo molto di più certe cose che sembrano semplici, tipo i passaggi da scena a scena che differenziano i comic orientali da quelli occidentali. E ora noto di più quel creare un’atmosfera al posto dell’azione. E in labirint, storia di un paio di ragazze che finisco dentro uno strano culto di monaci (con tanto di black box, ma Junji lo fa spesso) si impara che cos’è il nyijo, che già fa paura a leggere wikipedia, figuriamoci nella storia.

Poi, altre storie belle e inquietanti, vediamo.

Tipo a me è piaciuta l’ultima, il Disertore, una storia dove – a parte il fastidio per l’inferiorità femminile nella società giappo, che traspare anche oltre la storia – siamo di fronte alla classica storia di fantasmi, immersa in richiami storici della guerra giappo-coreana, ma con un ribaltamento finale ben riuscito, e una sorta di finale col karma dentro che mi ha davvero soddisfatto.

Poi c’è Bio house, che ha un inizio vagamente disorganico, ma poi si occupa di materia mooolto organica, ed è tra l’altro splatterissima. Sulle prime mi aveva un po’ spiazzato, ma poi, questa sua contiguità con qualcosa di futuristico, non mi è spiaciuta, e insomma. Bella. Ah, magari se siete deboli di stomaco e non vi piace sentirvi raccontare che il futuro del mondo è fatto di una alimentazione di insetti, evitate.

Poi, tra le migliori, per l’idea soprattutto, c’è “La ladra di facce” storia di una ragazza che per una disfunzione assumeva la faccia di persone che frequentava. E allora basta frequentare persone belle, no? Infatti. Poi c’è un momento di scarsa credibilità, ma insomma… dai. Il tutto regge e il finale è top.

Poi, molto bella e angosciante, ma anche tenera, alla fine, Il cuore di un padre, una delle poche dove Ito rinuncia a un villain totale, per lasciarcene uno, il padre severo di tre ragazzi, con dei chiaroscuri. Dopo il suicidio dei due primi figli si capisce delle cose, ma poi, le cose non stanno del tutto così. Non c’è un lieto fine, ma quasi.

Poi, bellissimo, la stanza del demone del sonno. Si parte dall’idea che sta alla basse dei vari Freddy Kruger, ma qui l’idea è rielaborata in modo da essere originale, molto disturbante e con una trama ben gestita, nei tempi e nell’andamento. Colpi di scena, pochi personaggi, e l’idea di “uomo a rovescio” che si sa, nuova non è, ma qui la si migliora con idee nuove e quindi, ottima storia. Poi anche i disegni, pur col bianco e nero, rendono veramente l’idea del demone.

Poi altre tre, tutte con qualcosa di buono.

I lunghi capelli in soffitta, che parla di capelli che si vendicano di un amore non corrisposto. Da salvare il come.

Un amore come da copione, che è l’unica storia senza del soprannaturale, ed è quasi drammatica. Parla di un attore che costruisce sceneggiature perfette. Troppo perfette, da sostituirlo.

La spada del rianimatore, che forse è quella che mi è piaciuta di meno, come trama, ma il finale invece è bello, e anche questo con una buona virata splatter.

Dai… mi paiono addirittura tutte. Sì, direi che tutte le storie hanno qualcosa da dire. Mi manca solo quella del Demone, che in effetti, boh… molto lovecraftiana, ma un finale in modalità, Ecco, ora il demonio ucciderà il mondo, boh, anche no dai.  E visto che sono del 2011, direi che sono invecchiate molto bene, anche a livello generale, anzi, l’unico dettaglio è la videocassetta antichissima che l’attore regala alle ex-fidanzate, ma per il resto, le storie sono sempreverdi e anche, in questa tornata, molto addentro alla cultura giapponese.

Vi saluto con qualche altra immagine, se la trovo.

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