“In solitario” di Roald Dahl***
Sì, ovvio. Dopo la scorsa lettura non potevo certo non proseguire con l’autobiografia di Dahl, ovvero “In solitario” la parte due, che segue “Boy” e che parla di tutta la parte di vita di Roald durante la guerra. Anche qui, come per l’altro libro, la scrittura è la sua, ma ci sono molti meno momenti spassosi, per il semplice motivo che durante una guerra mondiale c’è ben poco da spassarsela. Ma nonostante questo, la lettura è davvero scorrevole e soprattutto avventurosa.
Ecco… più che una autobiografia, questa, è proprio una storia di avventure. Roald, con la sua prima persona di frasi semplici e lineari, ti tiene sul filo. Sappiamo che è sopravvissuto, ma non sappiamo come, alla guerra dove era in forze alla RAF e dove ha volato sopratutto in Grecia e in Africa. Me la sono goduta abbastanza, anche questa, anche se, a consigliare tra i due, se uno vuole saperne di più sull’origine dei temi e delle idee dahliani, ecco, meglio Boy, mentre se uno vuole saperne di più su come si possa guardare dall’interno e con occhio un po’ incantato e un po’ ingenuo il secondo conflitto mondiale sul fronte greco e su quello africano, assolutamente questa lettura è consigliata.
Ma io, quasi quasi, sapete che vi dico? Faccio come l’altra volta e vado per punti, che anche oggi sono in vena di elenchi puntati. Vi elenco le cose che mi son piaciute, avendolo finito ieri sera ed essendo più che fresco in testa.
Quindi, dopo aver letto In solitario (Diario di volo) vi rimarrà in testa:
- la becera figura italiana nella campagna coloniale nel corno d’Africa, con la nave di donne mandata da Mussolini a rallegrare soldati che non volevano più saperne di quella guerra, o il fatto che Hitler e Mussolini venissero davvero visto come due ciglioni, già pre guerra, tanto da dare i loro nomi alle due lucertole che Dahl teneva sul soffitto della capanno per mangiare gli insetti
- Il modo con cui era gestita la RAF e in genere la guerra aerea. Non è una cosa che si ha in testa, a leggerla sui libri di storia. Ma a sentire raccontare dei tempi e dei modi dall’interno ci si fa un’idea chiarissima di cosa voglia dire una battaglia aerea. Anche la routine stessa degli addestramenti, l’ottusità degli ufficiali, le funzioni di ogni militare all’interno di un campo di volo… insomma, credo sia la cosa che mi rimarrà di più. Anche perché come te le racconta Dahl, le cose, ti restano un sacco.
- la vita in africa degli europei, vista in un modo che non vede le ingiustizie e le ha talmente metabolizzate che anche a noi che leggiamo capita. Non ti sogni di dire: Ehi, ma che cosa razzista, quando sei immerso in una visione europeista e contestualizzata. La visione dal punto di vista di un dirigente della Shell che vive in Africa e la ama è decisamente strana, ma intollerabile, a giudicarla con i canoni attuali. Eppure piuttosto corretta, a sentirla raccontare da Roald;
- il momento dell’inizio del conflitto, quando di punto in bianco, i tedeschi, numerosissimi nel Kenia post coloniale, da commercianti diventano nemici e il “boy” di Roald, che appartiene a una tribù di gruerrieri, prende la sciabola che doveva solo pulire, parte di notte, e… non ve lo dico, ovvio, ma vi farà un po’ ridere e un po’ inorridire.
- L’idea di come il nemico, per il pilota, sia l’aereo, e che nel momento in cui gli vola dietro, lo abbatte, ma nel momento in cui l’aereo cade, corre a salvare il pilota, che atrimenti arrostisce vivo
- quello che un non militare militarizzato come Roald – vivendo il conflitto sempre nelle zone fuori dal continente – sa del conflitto stesso, ovvero molto poco. Emblematico l’incontro con un ebreo, che dice che a loro sta andando peggio, e lui, inglese, non sa nulla dell’olocausto e proprio non capisce come ‘sto tizio possa dire che agli ebri va peggio che agli inglesi.
- E l’Africa, sì, certe cose normalizzate da Dahl, come un attacco di un mamba verde o un leone che si piglia così, tanto per, la moglie del cuoco che poi se ne esce senza un graffio ecc… cose che raccontate in quel modo buffo, da narrativa per ragazzi, sembrano buffe, ma a fermarsi un attimo uno si dice: ma pensa che storia emotiva si poteva tirar fuori da questo fatto.
Ecco. Is all E c’è anche una cosa negativa, che riguarda forse tutte le autobiografie, ma questa, forse, più che altre. Si ha la sensazione, o almeno io ce l’ho, soprattutto dopo aver letto entrambi i libri e in modo ravvicinato, che Dahl giochi un po’ “sporco”. nel senso… non dico che racconti palle o cose simili, e nemmeno mi riferisco all’autoindulgenza, che insomma, se magari sei un po’ stronzo ci vuole sempre dell’onestà intellettuale non indifferente e riconoscerlo e raccontarlo al mondo. Dico che giochi sporco sul fatto che questi due libri sono molto più vicini a un libro di Dahl più serio degli altri, piuttosto che a una autobiografia. Lui non perde mai di vista il fatto che sta narrando per affabulare, coinvolgere, attirare, far entrare nell’avventura il lettore, e questo lettore è sempre un ragazzo. Non c’è differenza, da questo punto di vista, tra questi due libri e che neo, le fabbriche di cioccolato o i giganti gentili. Okay… qui le cose sono vere, là non lo sono, ma che la verità sia stata ampiamente glassata è una sensazione che si ha in ogni riga. Non è nemmeno una critica, a dirla tutta. Dicaimo solo che se uno vuole sapere come ha vissuto Dahl, va da altre parti. Tutto qua. Restano due belle letture, e soprattutto, riposanti. Questo poi era anche parecchio istruttivo e didattico sulla guerra. Meglio di così…
Al prossimo dai, che sarà un bel libro di Yokai pieno di immagini.
Intanto vi lascio con qualcosa da ascoltare,… non so, tipo una cover. Sapete una che ne uscita da poco che mi aspettavo di più ma boh… l’han fatta e allora va ascoltata. Dave Gahan e i soulsavers che hanno messo Lilac wine di Buckley. Alla fine si continua a sentire la precedente, ancje se non è fatta male. Meglio Lola Young allora, dai. Fake mi piace. Come dite? Volete ballare? E chi sono per farvi ballare con la cosa che ho scoperto che fa più ballare di tutto il 2021. Ecco qua. Ballate!