“La donna perfetta” di Ira Levin***(*)
Mi dà un senso strano parlare di questo libro perché ricordo esattamente il momento in cui l’ho cominciato e in buona parte letto. Un anno fa. A Pasquetta. Nel campo attaccato a casa mia, sopra una coperta, prendendo il sole. Era il primo lockdown. Quello serio e ridicolo. Quello per certi versi assurdo. Quello che mi obbligava, per poter fare una corsa, a girare attorno ai 100metri del mio giardino, perché era possibile essere multati – e succedeva – anche solo se si andava a buttare l’immondizia fuori. E poi si erano inventati la stronzata dei 500metri. Ricordo ancora la app che ti calcolava i 500metri attorno casa. La passeggiata per i campi, ricordo, non si poteva fare. E nemmeno a prendere il solo fuori dal proprio giardino. Per leggere questo libro, un anno fa, ho fatto quindi cose illegali.
E’ divertente pensare che è passato un anno e non solo le cose non sono cambiate. Ma sono peggiorate e di molto. Stesse normative assurde ma nel senso opposto. Gente che può legalmen te andare in giro da infetta con le scuse più disparate per le negligenze della gestione della P.A. e gente che deve stare rinchiusa in inutili quarantene da sani sempre per i tempi ridicoli della P-A-. E in mezzo a queste mille assurdita siamo qua, in ragionevole zona rossa con l’irragionevole lentezza nelle vaccinazioni. Vabbè… e proprio a un anno esatto, quando stiamo per fare la seconda Pasquetta chiusi in casa, (con la differenza che non ci pesa più, perché ci hanno fatto passare la voglia di vivere e di uscire e di fare qualunque cosa) riprendo in mano questo libro che mi ricordo bello. Ho già letto cose di Ira Levin. Cose famose. Inquietanti. Per esempio ricordo Rosemary’s Baby, di cui tutti sanno per il film di Roman Polanski, ma ricordo anche I ragazzi venuti dal Brasile, che forse nemmeno ho recenzionato. Boh… Comunque ricordo che volevo, un anno fa, leggere un libro. Ero reduce dalla Dad, quando ancora la sigla non era tale. Io non so cosa voi pensiate della didattica a distanza ma per un docente del mio tipo significa completo annullamento della vita e della possibilità di fare altro se non questo. Significa doppia cifra di ore al giorno a fare lezioni e preparare lezioni, significa moltiplicare le cose in tempi e mail, in file da preparare e problemii web da risolvere. E insomma… ero in quella fase anche quella volta, come lo sono ora, e volevo un libro di svago. Un libro da leggere senza impegnarmi. Un libro fantastico un po’ horror e breve. E questo è stato perfetto. Me lo sono goduto, e mi ha aperto parecchie idee, all’epoca.
Se volete conoscere cose che hanno formato la cultura dell’ultimo quarto di secolo scorso, di film e in generale cultura pop, ecco, questo libro va letto, perché è un precursore. La trama, a dirla adesso, sembra facile e scontata, ma voi tenete conto che siamo nel 1972 e il romanzo, che in italiano si trova anche con il titolo “La fabbrica delle mogli” aveva come titolo originale The stepford wifes e come al solito era migliore. Si sottolineava un luogo senza dire di quale fosse il difetto di queste mogli. Infatti, lo trovate su wiki eh, dire a qualcuna che è una stepford wife significa dirle che è una donna sottomessa al marito e blabla. Ma nel 1972 ricordatevi che siamo pre internet e certe cose come le intelligenze artificiali e la possibilità di costruire robot umani avevano tutte un altro sapore. Immaginare questo circolo di uomini che decidono di sostituire le proprie moglie con dei prototipi di moglie perfetta era decisamente un passo avanti nell’immaginario e richiedeva più fantasia e poteva dare anche maggior inquietudine, soprattutto per chi – come me, lo ammetto – è sensibile all’archetipo del doppelganger e del plagio di personalità.
Insomma… Ira Levin è autore da scoprire e che, per certi tipi di scrittura, fa molto background. Questo libro poi è anche padre di due film, di cui uno con la Kidman, ma non li ho visti e boh. Piuttosto vi direi di un altro aspetto. Allora, la protagonista è una donna emancipata, e il marito che con lei si trasferisce a Stepford è altrettanto moderno. Diciamo pure che la protagonista ha ormai poco bisogno di fare una battaglia femminista perché l’ha vinta. e le due persone con cui lega subito, in città, sono come lei, un gaio e una borderline anche più femminista di lei. Poi ci sono le altre donne. Tutte Barbie. Si comportano e parlano e agiscono come delle Barbie. Omologazione, uno si chiede? Macchè, forse peggio. Forse non sono umane? Cosa combinano i mariti in quel circolo sulla collina? Ecco. Non ve lo dico, ma la lettura corre, e volete saperlo. La prosa di Levin è sempre piuttosto asciutta e diretta, semplice, e il suo obbiettivo è raccontarci la storia senza tante menate, senza tanti trucchi, in presa diretta. Ci dice quello che succede. Punto. Anche la suspance, fino a un certo punto, la gestisce lasciano il lettore all’oscuro, ma poi arriva il thrilling.
Insomma… è un libro che va letto come precursore di una certa letteratura, ed è davvero un buon libro. Io, sinceramente, non mi sento di metterlo un gradino sotto Rosemary’s, perché è bello uguale e ti fa pensare a un sacco di cose (brutte) sulle persone e sopratutto sugli uomini. Sui maschi. O comunque, sul quel brutto vizio umano che abbiamo di prevaricare e approfittare se ci mettono nella condizione di prevaricare e approfittare. Levi (senza la n) lo ha insegnato bene.
Dai, basta così. Lo metto via volentieri, questo libro. E torno in quarantena inutile, a fare le mie riflessioni.