"Sei giorni di preavviso" di Giorgio Scerbanenco**
Ora uno non è che può stare una vita ad aggiornare il blog, soprattutto quando magari non è che hai da dire tanto, su un libro.
E allora viene fuori un post come verrà questo, un po’ vuoto, e scritto mentre faccio altre cose.
Tipo, sto preparando questa serata, e mi diverte sempre preparare le serate. La noia che si prova alle presentazioni dei libri e degli autori, si sa, è una tara difficilmente eliminabile. Leggere è diverso dal parlare e parlare un libro è ossimoro. Ma questo non è importante
(Però se volete una anteprima sto organizzando una presentazione autore in modalità banco degli imputati con un colpevole (autore) un PM (il presentatore) e dei testimoni (i lettori). Figo no?
A me piace. Voi fottetevi.
Dicevamo?
Ah, sì, che mentre faccio sta cosa, elimino questo libro dallo scaffale.
L’ho letto questa estate, tarda, preso in mano da un pacco di roba vecchia uscita da un grosso armadio. Toh, mi son detto, uno Scerbanenco non famoso! Magari è bello.
E allora me lo sono letto.
E?
E niente. Per scorrere scorre, si legge, ma sembra un’opera un po’ così, mal ambientata, con qualche difettone formale di narrazione che non te la apprezzare troppo, alla fine. Forse un lavoro giovanile, ho pensato, o magari buttato semplicemente un po’ lì, senza troppo badare a che tutto funzioni.
Va detto che è un giallo mondadori vecchione, credo introvabile, e quindi non è che sia il caso di farci troppo affidamento. Comunque, fatemi metter su un caffè e tornare al copione e poi torno al post.
E invece no. Non ho voglia. Lo finirò domani 🙂
Siamo domani. Cioè oggi. E piove. Piove e mi si è allagato il vialetto.
E ho deciso di finire il post. E regalare il libro a mia madre che lo regali a qualcuna delle sue amiche vecchiette ché quelle leggono di tutto e io comincio ad avere gli scaffali molto pieni.
Vi dicevo che non è un granché. Di fondo ci sono due motivi.
C’è uno psicologo italiano Tommaso Berra, che è negli States per fare non ricordo cosa, e riceve la visita di Arthur Jelling, uno scribacchino del dipartimento di polizia, che ha a che fare con un caso e vuole un suo parere. Allora tu pensi, okay, il protagonista è Berra. Invece no. Berra sparisce e dalla prima persona il libro passa inspiegabilmente o quasi alla terza, narratore esterno e quasi sempre punto di vista di Jelling, e solo in un paio di occasioni ci si ricorda di ricucire la cosa mandando Jelling da Berra a raccontargli “cosa ha fatto in queste ultime ore”. Solo che ci sono cose che non potremmo sapere, pensieri che lui non gli dice perché sono fatti da un narratore esterno, e insomma ti cade un po’ il palco. Detto questo, c’è poi la verosimiglianza della storia.
La storia è quella di Vaton, attore teatrale in decadenza strapieno di difetti. Stronzo, egoista, antipatico, cornificatore, strafottente, alcolizzato e aggiungeteci pure voi altro. Gli scrivono che morirà tra sei giorni. Poi cinque. Poi quattro…. E tutti lì a dire, ma dai, è uno scherzo, non ti uccideranno, ecc. Si può impedire a un uomo di essere ucciso quando l’omicidio è stato annunciato? Sinceramente sì. Lo dice anche Jelling. Piglialo, portatelo in camera di sicurezza, e se poi lo uccidono almeno non fai la figura di merda che lo uccidono esattamente a quell’ora. Invece lo scribacchino indaga in modo quandomeno disorganico e mentre aspettiamo che uccidano Vaton succede un po’ di tutto. Per di più, si arriva anche, a un certo momento, a torturare quel poveretto che aveva l’unica colpa di aver imbucato le lettere ed essendo vincolato al segreto della parola data non voleva parlare. Torturato e minacciato di conseguenze sulla figlia. Insomma… erano altri tempi, quando si scrivevano questi romanzi e si vede.
Detto questo, il pregio del libro è che comunque scorre. Io ci ho colto una precursore dei romanzi thrilling a orologeria di Deaver (sì, l’ho sparata grossa) perché ‘sta cosa dei sei giorni di preavviso del titolo, bene o male, ti tira fino alla fine, e anche se il colpevole alla fine è chi pensavi che fosse, non è che ti lamenti poi molto. Insomma… qualche elemento particolare, nella struttura del romanzo, c’è, anche se a ripensarlo (tipo togliere un perfettamente inutile Tommaso Berra) ne avrebbe guadagnato molto.
Va bene dai. Anche troppo, ora. Direi che torno ai miei copioni. 🙂