"Bisest" di Raffaele Serafini****
Non so cosa mi è passato per la testa, ma ho deciso di autorecensirmi.
Qualche problema? Io no.
Allora. Come già per altre 4 volte è successo, ho scritto un libro, ma voi non potete leggerlo.
Non potete leggerlo perché non è in lingua italiana, ma in lingua friulana.
O meglio, solo pochi di voi, là fuori, possono leggerlo.
Ma io credo sia un libro fighissimo, che avevo in testa da parecchio, e che sia riuscito abbastanza bene. Si poteva fare di meglio, certo, ma c’erano i tempi di scadenza del Premio San Simon e c’era anche una mia certa sofferenza nello scriverlo, che non so ancora per quanto sarei riuscito a gestire.
Idee ne avevo ancora. Se ne poteva trovare altre. Tant’è che in testa ho anche il titolo per un fratello minore. Magari chissà, qualche pezzo uscirà. Lo userò per qualche serata.
Ma questa è una autorecensione e allora vi parlerò del libro, anche se non potete leggerlo.
Magari, a qualcuno di voi verrà voglia di, e io godrò della sua impossibilità di. Alla fine sono un bastardo, chi mi conosce bene lo sa.
Partiamo da quella copertina. Quella originale che vedete lassù, leggermente diversa da quella reale, ma alla fine quasi uguale.
La copertina è un lavoro collettivo, Gian in primis, ma anche Annalisa e Giorgia e Luca, in seconda battuta. Il bello di pensare e autodisegnarsi le copertine è che, come in questo caso, puoi metterci il libro dentro, e alla fine, uno che lo ha letto e finito, la guarda e dice oh, ah, eh, uh e altre esclamazioni simili.
Bisest sta per Bisestile. Bisestile è il 2084, anno che cade a cento anni dal 1984 orwelliano. Il 123° anno bisestile. Ed è un libro di fantascienza sociale fatto di racconti, che hanno come denominatore comune l’essere accaduti nel Friuli del 2084. Racconti che trattano un tema o più temi che sono tutti legati alle brutture del mondo che verrà. Lo vedete da soli. Vedete la gente che ci circonda diventare più cattiva, più violenta, dimenticare la storia, la morale, la bontà, l’empatia, il senso della disgrazia e della pietà. Vedete chi vi circonda diventare più ignorante e meno colto, li vedete peggiorare di giorno in giorno. Se non ve ne state accorgendo, se lo negate, vuol dire che appartenete a loro, che siete la parte peggiore di questo cambiamento: quella che non lo vede o lo reputa, forse, positivo.
Credo, e non è difficile da notare se buttate un occhio dall’alto alla storia dell’umanità intera, che questo sia un momento storico dove le accelerazioni di ogni natura, ma principalmente tecnologiche e della trasmissione qualitativa e quantitativa dell’informazione, stiano causando eventi prima mai fronteggiati e che, spero di no ma temo di sì, cambiano definitivamente il mondo portandolo a regredire. Gli influssi sono sociali, morali, economici… Sì, direte voi, è già successo in passato, si chiamava Medioevo, ma io credo sia un po’ diverso, adesso. Che sia oltre. E potrebbe essere irreversibile (Vi bastano le parole cambiamento climatico e a come vengono accolte da alcuni?). Ecco. Ho scritto storie che raccontano questo oltre, che dicono come potrebbe andare, qui in Friuli e nei dintorni nel 2084.
Il sapere, per esempio, è mutato. Talmente mutato che qualcuno sta cercando di riformarlo, di ricrearlo, di resuscitarlo, se vogliamo. Le cinque parole che vedete in copertina c’entrano con questo. E cinque sono anche i personaggi che cercano di avviare una rivoluzione positiva, migliorativa, che arresti il declino umano. E nel farlo, purtroppo, non si può più usare i mezzi ortodossi. La violenza a volte si combatte con le stesse armi, e così le bugie, le pulsioni umane, la decadenza morale… Non so se sia buona cosa, combattere il male usando il male a fin di bene, ma quel che volevo è che si vedesse il primo male. Ed è quello che fanno questi cinque misteriosi personaggi. Non ho detto chi sono, il libro regge anche senza conoscerne l’identità, ma certo, a riconoscerla ci si guadagna.
Fra un racconto e l’altro ci sono delle preghiere, scritte da uno di quei cinque. Preghiere rovesciate, le ho chiamate, che sono un misto fra melodia e scarsa empatia per il tipo di persona a cui sono rivolte. Sono un economista e a pensare alle persone in termini di Cost-Benefit Analysis può essere che qualcuno non ne esca troppo bene, e non serve aspettare il 2084.
E sempre tra un racconto e l’altro ci sono dei testi di canzoni. Canzoni (t)rap miste a poesia. Le cjantrapoesie. Scritte in metrica da un altro di quei cinque. A volte crude, sicuramente politiche, mediamente scorrette.
A inizio di ogni racconto ho rubato a questo blog (col consenso dell’autore) dei versi di poesie che io trovo bellissime (sono anche in italiano, leggetele che vi fa bene). Volevo che ogni storia cominciasse con dei versi. Il non apprezzare più le poesie, o anzi, il non riconoscerle più, il non studiarle, il disprezzarle talmente tanto da vantarsi di scriverne, credo sia una delle decadenze di questi anni. Sicuramente tra le più veniali, ma fa parte del tutto.
Poi ci sono i modi di dire. Serena, editor dei racconti e ricercatrice fidata di cultura friulana, mi ha lasciato un mega elenco di modi di dire. Ci trovate tanto, nei modi di dire popolari, soprattutto quando scompaiono. Ci raccontano chi eravamo e, di conseguenza, chi siamo diventati. Non solo i titoli dei racconti sono dei modi di dire friulani, ma dentro i racconti i modi di dire sono disseminati e a fine libro Serena ve ne parla, brevemente, riflettendo sulle storie, su di loro.
Direi basta. Vi ho detto abbastanza, anche se alla fine non vi ho detto molto. Del resto ha solo 130 pagine, ma ho sempre pensato che le cose veramente importanti stanno in poco spazio. Quasi tutti i libri che mi hanno reso migliore erano molto brevi. Il mio intento era lo stesso.
Il libro ha vinto il concorso letterario San Simon ed è stato pubblicato dalla società Filologica friulana ma non ha codice isbn, quindi è un po’ più difficile da reperire.
Che altro? Anche niente, dai.
Sono contento di averlo scritto, e sono contento di averne parlato qui.
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