Automatic, pe int.

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Automatic, pe int.

Un vecchio REM esce dalla mia porta spalancata, mi supera, solletica la schiena, mentre appoggio la spalla allo stipite, e dilaga in questa piazza deserta, buia, screziata di luci. E’ Automatic for the people, ed è bellissimo, perfetto, ineffabile, mentre si raccoglie agli angoli, viola i pertugi, scivola sui marciapiedi e si alza fino alla grondaia, cercando una stella qualsiasi che metta fuori il muso, da accarezzare. Mi chiude gli occhi, culla la schiuma della birra e come dita invisibili rallenta il mio masticare patatine, ché la crepa sonora non graffi il momento, ché la beltà non trovi ostacolo, o lamento. Tutte le vostre voci e grida e chiacchiericcio e sciocchezze si specchiano in un rettangolo di vetro, ma si spengono con una pressione. Everybody hurts, sometimes. E i giorni sono castelli di torri e regine e draghi e cavalieri e maghi e concubine, innalzati sopra una briciola seccata al sole, sotto l’occhio corvino di un merlo annoiato.

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