“Azzurro elementare” di Pierluigi Cappello****

azzurroelementarecappellogelostellato

“Azzurro elementare” di Pierluigi Cappello****

Da quanti mesi non aggiorno il blog? Bon… mesi. Non serve precisare.
Da quanto non leggo? Non mesi, no. Leggo ogni giorno ma non riesco più a finire nessun libro.
Solo le poesie. E ci metto tanto.
In questo caso, tantissimo.
Credo il mio regalo di compleanno, di Serena, per di più giustomasbagliato, ché mi sono dovuto modificare la dedica per non doverlo restituire. E io faccio gli anni in estate, per dire.
Ed ora è quasi di nuovo estate. Sei mesi per leggere 200pagine di versi.
Ma erano tante, le poesie di Cappello. Tante anche se non tutte, ma quasi.
Dal 1992 al 2010. Tutte le raccolte, o meglio, le due principali, offerte in senso cronologico. Assetto di volo e Mandate a dire all’imperatore.
Si tirano le somme, quando si muore, si sa. Chi resta, intendo.
E io non so voi che rapporto avete con la poesia. Io solo adesso, con un senso diverso del cogliere e del raccogliere, sono tornato a esse. Ci sono tornato con la voce alta e con la duplicazione della lettura. Con i contorni, che devono avere respiro calmo, silenzio, una relativa pace interiore. A metterci vicino Stato di quiete e Questa libertà, aggiungendoci che sto leggendo l’ultima pubblicazione di interventi in prosa, sono a buon punto con il leggere quasi tutto il suo pubblicato. Capita.
Non si può, inutile affermare il contrario, slegare il fatto che lo legga dal fatto che sia Pierluigi Cappello, che sia di qui, che ancora oggi, ogni settimana, mi capita di essere di fronte all’ultima casa che ha abitato, con quella tristezza da vuoto che giace intorno, con la vespa rossa di quello che ho sempre immaginato potesse essere suo fratello, ma non lo so, che passa fianco portone, con tutta la scia di erba calpestata dallo pneumatico lasciata sul piccolo giardino fronte strada. E ogni volta ci penso a quanta sfortuna ha avuto, e che è davvero un peccato, aver perduto questo germoglio di letteratura. E penso anche che è comunque bello che – nel male, nella sfortuna – sia andata così, con della fortuna, in fin dei conti. Un poeta che è un poeta e che per mestiere finisce per fare il poeta. Quante volte capita? Forse mai, in quest’epoca. I poeti, se ci sono, fanno altro. Mentre quelli che scrivono poesie non lo sono. Nulla di male, per carità, ma è bello sapere che questo libro che ho in mano è stato scritto da una persona che sapeva tanto, che lo aveva studiato a lungo, che era entrata dentro le parole degli altri, che ne aveva scelte di proprie, le aveva domate e rese migliori, e aveva accompagnato tutto questo a un vivere pieno. Detto questo, e detto che sono anche un po’ in difficoltà con le celebrazioni post-mortem, che non sempre riesco ad apprezzare del tutto, meglio parlare del libro.
Il fatto di averlo letto in questi lunghi mesi me ne ha fatto dimenticare molte delle sensazioni, nel particolare. Ma non che è un bel libro, un libro completo, fatto bene, con una bibliografia esaustiva alla fine e le note dell’autore ad alcune poesie, alla fine, che sono preziosa luce. Avrei qualcosa da ridire, forse, sulle traduzioni alle poesie in friulano, che forse non sempre è precisa e a chi non parla la lingua potrebbe lasciare il senso che quelle poesie siano meno valide, meno dense, quasi più dedite al calembour e meno cercate. Non è così.
E’ vero, questo sì, che l’ordine cronologico mostra una crescita. Si è migliorato, Cappello, e parecchio. C’è una ricerca della semplicità dentro una complessità poetica e lessicale che passa quasi inosservata, nei componimenti più recenti. E sono poesie in italiano, queste ultime. La cosa migliore, però, è non distinguere. Io ho la fortuna di parlarle entrambe, le lingue, a abbastanza bene, e adesso, se mi dite un verso, non so sicuro se vi saprei dire se è di una lingua o dell’altra ma ben tradotto.
Il nocciolo di un frutto, acerbo o maturo, è sempre quello.
Poi? Ah, sì. Parlavo delle poesie.
Non ce la farò a finire adesso questo post. Devo ancora cagare, vestirmi e farmi un caffè, prima di andare a lavorare. Ma penso che stasera lo finirò. E ora vedo se – in mezzo a queste cose umili – riesco a mettervi una poesia… che ovviamente scrivo per me, per salvare già questa giornata. E non buttarla.
Ecco. Per esempio ho voglia di rileggere e scrivervi la brevissima Elementare.

 

E c’è che vorrei il cielo elementare
azzurro come i mari degli atlanti
le tersità di un indice che dica
questa è la terra, il blu che vedi è mare.
E prima di volare al lavoro mi scrivo anche questa, in friulano, che ricordo bene perché era di quelle della raccolta iIl me donzel, che forse è tra le raccolte che meno facevano per me, quando l’ho letta, ma che in alcuni componimenti, pur con le rime, con qualche melodia forse dolciastra, mi rimaneva addosso. Questa è una di quelle. la XIX.
 
Lassaitmi cussì come
ch’o stoi cence rasons
cence vuadagn nì dam
doi vôi davierts ai fonts
 
rasonaments dal cîl
ch’al sta parcè che o stedi
fer cussì come ch’o stoi,
Lassaitmi achì ch’o sedi
 
la sissule plui scarte
ta l’aiarfuart di Avrîl
il svoledon di cjarte
 
poiât tal vert dal prât,
la maravee dal frut
ch’al dîs che al à svolât.
 
Ah si, vi devo scrivere anche la traduzione.
Lasciatemi così come rimango, senza ragioni, senza guadagno né danno, due occhi aperti ai fondi ragionamenti del cielo che sta perché io stia fermo così come rimango. Lasciatemi qui, che io sia la scheggia più a buon prezzo dentro l’ariaforte di aprile, l’aeroplano di carta posato nel verde del prato, la meraviglia del bambino che dice che ha volato.
Bene. A dopo.Ed è passato un mese. Sì. Un mese senza riprendere in mano questo post.
E vabbè. Non ricordo nemmeno cosa stavo scrivendo.
E questa giornata non è delle migliori.
La mia unica mattina libera. E mi sono svegliato alle 9, pur avendo sveglie dalle 6.40 ogni quarto d’ora fino alle 8. Perché? Boh… non lo so. Ma pazienza.
Dovevo pagare l’assicurazione. Il tempo di un bonifico on line.
E invece? Non funzionava niente. Non trovavo la mail col preventivo, poi non funzionava il lettore del bancoposta, son dovuto andare a comprare le batterie, poi non riuscivo a cambiarle, poi ce l’ho fatta. un’ora e mezza sputtanata. Poi non funzionava il codice spid. Poi dovevo re inserirmi nelle graduatorie, ma per un errore tecnico risulta che sono stato depennato. E niente. richiesta al Ministero da 15 gg, e nessuna risposta. E scade domani. E vabbè. E il lettore mp3 che ho comprato per regalo della sister non funziona, o meglio, non si formatta più come le chiavette smerdate e blablabla.
Che poi, il vero problema è sempre quello: essere poveri. Non aver soldi per.
Tutte queste stronzate si risolverebbero immediatamente.
Ma non ci voglio pensare.
E allora mi è tornato in mente questo post, per usare questi ultimi minuti prima di andare al lavoro.
Perché da un mese ho questo Azzurro Elementare sul tavolino.
Perché mi sono accorto che in giornate così, con questa incompetenza che ti circonda, con questa cattiveria, con questo essere sfruttati dalle cose, con questo essere massacrati di password, di orari, di scadenze, di obblighi, di vita brutta e vuota, ecco, forse solo una poesia ti può salvare. 
Potrebbe anche una pagina bella, una canzone, un prato di papaveri, come quello di ieri, ma no, in realtà non lo fanno allo stesso modo.
Una poesia di chi è andato in posti dove tu non vai mai e te li ha tradotti in parole per ricordarti che ci potresti andare, per mostrarteli.
E questo libro è pieno di poesie così.
Credo che non lo riporrò tra i libri soliti, quelli già letti, nella parete dei libri già letti.
Credo lo terrò vicino, a dove scrivo e disegno, perché magari, ricordarmi che ogni tanto una poesia ti può salvare la giornata, è cosa buona.E basta. Non rileggo nemmeno quello che ho scritto un mese fa.
Vi lascio i papaveri di ieri. Che erano bellissimi.
E c’era un tizio con 5 cani piccoli. Ereditati. Vedovo da poco.
E niente, lì c’era un sacco di poesia.

Post a Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.