“I piccoli maestri” di Luigi Meneghello*****

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“I piccoli maestri” di Luigi Meneghello*****

Sono le 9.36. alle 10.30 devo andarmene a lavorare. E allora cosa cazzo comincio questa recinzione?
In realtà non la comincio veramente.
Metto l’immagine, i tag, cerco un po’ di link da leggere tipo quello del libro, della wiki, e scopro che c’è anche il film. Così ho tutto pronto quando riprenderò in mano il post.
Perché ci vuole del tempo, per parlare di questo libro.
Il primo vero classico, profondo, multilivello, che ho preso in mano da un po’ di tempo a questa parte.
Per colpa di Astrid, quella schifosa, che ha tolto tutte le etichettine per darmelo e farmelo leggere. E voi tutti sapete, che quando hai una serie di scaffali dove giacciono quasi 400 libri che non riesci a leggere (di cui una cinquantina iniziati) anche se vorresti tanto, e te ne prestano uno in più il tuo senso di colpa per il non leggerlo è grande. Per fortuna il mio no, ma se lo avessi sarebbe grande.

Resta però che ho cominciato questo libro 4 o 5 volte. e 4 volte ho letto le prime 26 pagine, circa, perché poi ricominciavo ecc.
Vabbè… insomma. Poi, dai e dai, vuoi a portarlo in Spagna, a Lignano, sul Gilberti, a Villuzza beach e in giro in macchina in ogni dove, ce l’ho fatta.
Sono andato avanti, e l’ho letto.
Vabbè, che vi devo dire, che sono un ignorante, perché non sapevo della sua esistenza, pur avendo letto millenni fa Libera nos a Malo, di Meneghello, e averlo trovato meraviglioso, e inseribile tra i libro PEM.
E senza tante storie, mi vien da dire che è un libro pressoché perfetto.
E quindi ve ne parlerò con calma, non so quando, perché adesso nell’ordine vado a
cagare
vestirmi
prepararmi il pranzo
fare merenda
raccogliere peperoncini da seccare
al lavoro.

Bene.
Sono passati tre gg da queste righe.
E mica le ho fatte quelle cose, non tutte per lo meno.
Ma vediamo di usare questa ora che ho, questa ora del lunedì mattina, per finirla, magari, questa recinzione. Perché se ho messo un sacco di asterischi, lassù, è perché si può fare una cosa. 
Si può aprire il libro a caso ed essere sicuri di trovare un pezzo bello, o bellissimo. 
Proviamo dai…
Ve li scrivo.

Pag. 150-151

Andavo verso nord, senza più correre; sentivo sparare anche davanti a me, ma lontano. A un certo punto, oltre un piccolo rialto, i gattini non c’erano più, e neanche i rametti che volavano in aria. Ero defilato, forse per trenta metri, e camminavo sul tavolato rigato dalle scafe. Quando vidi quanto ero insanguinato mi allarmai. Pensavo: toh, e se non potrò più correre? Però mi sentivo benissimo, solo un po’ emozionato. Vidi una stretta fessura per terra e senza pensarci mi calai dentro. Ci passavo appena, ma sotto c’era una buona nicchia, più alta di me, bislunga.In un attimo ero via dal sole, in un bozzolo di roccia sottoterra, buio e umido. Sentivo arrivare gente di corsa, plotoni di gente: la roccia sopra di me rimbombava; sentivo anche i rimbombi del mio cuore. Ora udivo anche voci, vicinissime, in italiano. Parlavano di uno, che ero poi io; mi cercavano affettuosamente. Mi rendevo ben conto che avevano le scarpe, e la vicinanza tra questi piedi scarpati e il mio viso era disgustosa. Tenevo in mano una bomba a cui avevo sfilato la sicura; tenevo giù l’asticciola con il pollice. Stavo fermo con gli occhi alla fessura sopra la mia testa. Era come quando si gioca a nascondersi da bambini e stanno per trovarti. C’è un momento in cui tutto ti pare già accaduto, resta solo la formalità di eseguirlo meccanicamente. Aspettavo nel mio nascondiglio guardando questa fessura e pensando: Cristo, come mi sento solo.

Ecco. già su questo pezzo ci sono mille cose da dire. Ve ne dico alcune. Il tono. Siamo nel bel mezzo di un rastrellamento, anzi, è un’epifania del libro, questa, perché in questo nascondiglio comincia il libro, a guerra finita, quando lui va a riprendersi il parabello, che lascerà qui dentro. Non sappiamo che si salverà, ma il come è terribile. Scalzo, dopo le trappole, il filo spinato, la morte di quasi tutti quelli che stavano scappando con lui. E la racconta in modo quasi scanzonato. Ci mette quel “affettuosamente” dentro, che è delizioso. Perfetto. E poi il lessico, il mix di termini dialettali (scafe), di termini costruiti (scarpati), di termini alti, di espressioni che a volerci mettere la penna rossa sarebbero da cassare (a un certo punto) e in generale una prima persona che perfettamente ci regala un protagonista laureando, che però è giovanissimo, inesperto, ingenuo.
E poi il modo di rendere la suspense con leggerezza. Non c’è mai tensione, in questo libro, è sempre regalata in forma di carezza, quasi non ci si voglia turbare con la brutalità della guerra. 
Facciamo un’altra apertura a caso dai.

pag 180-181

Non si capiva niente. Ci avviammo in tre, giù per la china, sotto un’acqua da cinema, con intermezzi di grandine da montagna, sparacchiando. A un certo punto tirai la canadese, affidandola ai vortici della pioggia. Scendemmo tutto il mezzo chilometro senza danno; non mi sentivo bagnato, mi sentivo un ruscello, l’acqua scorreva dappertutto.; quando fummo in fondo, non c’era più nessuno. Si vede che li aveva dispersi il temporale; tempo permettendo, avrebbero facilmente potuto acquistare altri nove punti in Rastrellamento (parte pratica), per gli esami di sergente.Non tuonava più, pioveva liscio e fitto. Le canne dei parabelli traboccavano di acqua. Li sgocciolammo, poi avendo ancora un mezzo caricatore ciascuno, lo scaricammo addosso al bosco. L’altro ragazzo si chiamava Tecche-Tecche.Credo che al Suster piacesse questa curiosa escursione, e che la credesse, da parte mia, una prova di coraggio.“Vuoi restare con noi?” mi disse mentre ci asciugavamo; e io mi sentii tentato, ma resistetti.Il Suster mi disse che potevo fare il vice-comandante, se stavo con loro.Eh no,” diss. “Voglio trovare notizie dei miei compagni, qualcuno ce ne sarà ancora. E’ meglio che stia con loro, perché lì non devo né comandare né ubbidire. Naturalmente tra i miei compagni sdottorerò un pochino, perché è la mia natura, ma in complesso sdottorano anche gli altri e così saremo sempre pari.”“Che lungo discorso, ” disse il Suster, “per dire che qui con noi non ti piace.”“Mi piace troppo,” dissi, “Non si può sempre divertirsi.”
Ci dicemmo arrivederci, col Suster, ma non ci si è più rivisti; perché lui in settembre morì impiccato a Bassano, e se restavo con loro, chissà se questa fine la facevo anche io. Ogni volta che passo sul viale degli impiccati, a Bassano, ho la sensazione di
sapere qual era il mio albero.

Ecco. L’ineluttabilità. La morte che ti arriva sempre così, senza preavviso. Sono tanti i morti, qua, ma arrivano sempre così, a bocce ferme. Senza il momento dell’atto. Persino l’impiccagione dei partigiani stessi a opera loro è non-raccontata. E poi ci sono le bande. Una realtà di cui non ti rendi conto a leggerla sui libri di storia, e nemmeno te ne rendi conto a sentirla raccontata. Le bande, tante, troppe, insensate, sensate. Derive diverse a seconda della natura degli uomini che vi si uniscono. Non solo comunisti e non, ma un fottio di sfaccettature. La nostra, quella del nostro protagonista, è definibile per caratteristiche. Studenti, vanno in giro coi libri, si leggono le cose in latino, vogliono agire, ma nel giusto, non hanno nomi di battaglia, sono tutti dello stesso paesotto o zone vicine, si conoscono da prma, non sono politici, o lo sono pochissimo, e sdottorano, si dice, perché parlano, spiegano, cercano il senso delle cose. E poi i dialoghi, spesso così, sempre con poche parole, mai lunghi. Mai oltre le tre righe, perché non c’era mai da parlare. Ecco… poi non so.
E’ ora di andare.

Posso lasciarvi qualche riga per le descrizioni. Sì, che guerra o non guerra sono sempre ricche:
Eccone una, pag 195.

Era l’estate colma; eravamo frammischiati alle colture, alle fronde fitte; si aveva sempre il senso di sbucare da frasche, coltivi. C’erano carri, bestie, fieno, attrezzi agricoli, suppellettili rustiche. Bevevamo coi contadini, ridevamo con le contadine, cantavamo sulle aie. L’estate nutriva frutti e fiori, e nei festoni c’erano le nostre facce soffuse di salute. Le siepi, le macchie, i boschetti ospitavano i nostri nidi come bozzoli impigliati tra i rami; io avevo perfino una piccola tenda mimetizzata tra le acacie.

Bello vero? Siamo a fine delle cose, certo, nel respiro profondo del dopo. Ma anche prima non sono diverse, le descrizioni. I luoghi, il Veneto, le colline e le campagne, sono personaggio tra i più rilevanti.
E poi?
E poi niente.
Non potete non pensare a Levi, e alla sua Tregua. In un modo strano questi piccoli maestri sono una tessera che vanno a riempire un unico mosaico. Imprescindibile, direi.
Non potete non pensare a Fenoglio. Qui siamo invece a guardare la stessa cosa con una voce diversa. Oserei dire più sincera, ma sbaglio. Semplicemente, qui, la tecnica letteraria è così sopraffina da non apparire, da sparire, da sembrare non esserci. Esticazzi, direi.

Posso capire perché Astrid legge e rilegge questo libro. E’ di quei libri che son come fiumi, che ogni volta li guardi e la luce e le forme della superficie dell’acqua non sono mai uguali.

Basta. niente altri pezzi. Non so chi si ricorda dei libri Pem. Ma questo è un libro Pem. Un libro per essere meglio. Senza dubbio. Si è più colti, diversi. Di quelli che dopo averlo letto non sei più lo stesso. E sono tempi in cui bisognerebbe conoscere queste cose accadute, che stanno rapidamente tornando.

Comments

  • 30 Ottobre 2018

    Io dissi: "Siamo ribelli Lelio?" e Lelio disse: "Mai abbastanza."
    Grazie per averne scritto, il film forse si può anche tralasciare secondo me.

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