“Oscure Regioni Vol. 2” di Luigi Musolino**(*)

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“Oscure Regioni Vol. 2” di Luigi Musolino**(*)

E mi sono letto anche il Volume 2, sì, con la mia bella dedica dei giorni oscuri che dice che il friulano è un dialetto per la quale a gigi andrebbero spezzate le falangette con martello pneumatico. Ma io lo perdono lo stesso.
E devo dire che mi è piaciuto di meno del Volume 1, che è pieno di pezzoni.
Però me lo devo rivedere, e rivedendomelo vediamo come mi ricordo i racconti, ché magari chissà, magari cambio idea.
Vediamo.
E come sempre faccio delle cose, mentre aggiorno, visto che ho ancora un’oretta per.
Allora. La lezione delle raccolte è quella di aprire sempre con un pezzone, se non il pezzone, e qua non si scappa, Les abominations des altitudes è un pezzone. Racconto ambientato sulle alpi, in Valle d’Aosta, in mezzo alle montagne gelato e che ti gela le ossa a leggere. Un horror classico, con tanto di quadernetto di appunti lasciato che svela via via le cose. Sono i dahu, i protagonisti, e andatevi voi a cercare chi sono, anche se forse è meglio non saperlo, soprattutto se avete in programma escursioni in alta montagna.
Il secondo è anche abbastanza classico, come storia, si chiama febbre, parte da un protagonista che ne ha tantissima, e tira dentro la Pantasema, una figura che nel Lazio conoscono meglio di me, che non la conoscevo proprio. Non è un pezzo indimenticabile. Di riuscito c’è la rivelazione di un personaggio, ma è una storia abbastanza stantdard, di quelle che più o meno, nella struttura, ti sembra di aver già sentito. Però è breve e scritta bene, e questa la salva.
Vagiti, il terzo racconto, ci porta in Toscana, dove per spaventare i bambini gli si racconta della Marroca. Voi lo sapete cos’è? Non ve lo dico. Ma mi ha fatto venire in mente due cose, questo racconto. Una, che da piccolo, quando non c’erano tutte le paure di adesso e da bambini ci lasciavano i pomeriggi liberi per andare ovunque fosse a tiro di bicicletta, una cosa che si faceva era andare nel collettore delle fogne, dove una fossa di liquami era separata da un’altra fossa di liquami da un muretto di una ventina di cm che, noi simpaticoni, attraversavamo in equilibrio. Adesso, che spesso vado a correre qui dietro casa e guardo quella cosa, penso che chiunque avesse perso l’equilibrio sarebbe morto di certo, perché in un laghetto di fogna non è che nuoti, soffochi. Ma allora non lo sapevamo. Ecco… forse, se fossimo stati in val di Chiana, ci avrebbero spaventato con la Marroca, che in quei liquami ci vive, e non ci saremmo andati, a fare quel gioco. La seconda cosa è una figurina degli sgorpions, i meravigliosi sgorbions. Okay… non trovo la figurina che ho in testa, ma ha a che fare con un WC e magari qualcuno se la ricorda. Tutto questo per dire che il racconto èsfrutta un orrore classico, e una paura che non è proprio così rara. Il difetto è quello di metterci forse un po’ troppo a entrare nel vivo e pur spendendo molte parole per descrivere  i due personaggi, alla fine non si riesce a entrare in empatia con questa coppietta incinta. Il pregio è la parte finale, perché non è che in un racconto horror deve sempre morire qualcuno, a volte l’horror è ciò che resta e si salva.
Il Carnevale dell’uomo cervo invece mi è piaciuto assai. Un po’ per il ritmo arrembante, un po’ per l’epicità della divinità che non può non ricordare il finale della Mononoke di Miyazaki e a me anche un raccontone di Coltri, sempre ficcato dentro l’antologia Carnevale. Ecco, insomma… tutto figo. Non mi è piaciuto il finale però. Non ci voleva… quella concessione. Io le divinità le vorrei crudeli, senza alcuna riconoscenza. 🙂 Ah, siamo in Molise, comunque.
Nato con la camicia, è il racconto in Friuli, e questo mi è piaciuto poco. I Benandanti, i nati con la camicia, figura folkloristica che invero non ho mai amato, forse perché erano stregoni buoni, sono i protagonisti. Ma è il racconto che non mi ha convinto. Più un giallo, che un horror, e con un commissario che non è riuscito a starmi simpatico e pochi personaggi incisivi. Un racconto lungo, tra l’altro, per la storia che contiene.
E poi mi ha scatenato un’altra riflessione. Vuoi vedere che non mi è piaciuto perché è il racconto sulla mia regione che io conosco e Gigi no? Ma allora anche tutti i racconti che ho scritto io faranno lo stesso effetto a chi li legge. Intendo quelli ambientati nelle altre regioni. Okay… ci si perde tempo, google maps, google street view, amici che ti traducono, i viaggi fatti… ma non si racconta di cose che si conoscono, è inutile. Invece però credo che no, o almeno spero. E’ un racconto un po’ meno buono degli altri. Manca un orrore vivo, tangibile, anche se la figura di un benandante cattivo è intrigante.
Siamo a metà, io ora sistemo le carte per la visita oculistica del pomeriggio, che poi finalmente ci vedrò di nuovo. E poi vediamo se mi avanza, o se ve la finisco domani, questa recensione.
E invece prima di andare a fare una minicorsa due parole sul brevissimo sesto racconto ve le dico. Corto, sì, ma non imprevedibile. Una costruzione non originalissima di un personaggio che si suicida, e un piccolo popolo, gli gnefri, gnomi d’Umbria, che appare e non è quel che sembra. Fine. Godibile, ma non tra i più incisivi.
E finalmente si torna al top, con Smeraldo, un racconto perfetto, con un incipit ottimo, un finale perfetto, e una costruzione fatta di analessi e pensieri, di vissuto e di mondo che cambia. Personaggi che ti entrano, che incarnano un’epoca, e la gente che vi vive. E poi c’è lui, Smeraldo, un essere che è l’incarnazione della parola “creatura”, in vari sensi. Rabbia, paura, sensi di colpa, pudore, decadenza, pena… si provano tutte queste sensazioni. Questo mi è piaciuto, e come già detto nel post precedente, ci si allontana dall’orrore cruento, dagli sbudellamenti… ci sono più emozioni. Non sarà folklore classico, poi, questo che ispira la storia del Veneto, ma è quasi una creepypasta italiana, ed è cosa buona. Buonissima.
Ecco. Siamo domani, cioè oggi, e ieri era ieri, chiaro no?
Vediamo di rivedere, e rileggere.
L’ottavo racconto è A caccia, e non vi posso dire la figura folkloristica della Basilicata a cui si ispira perché il racconto è breve, e il nome, per assonanza, fa troppo da spoiler. Di bello c’è la costruzione in analessi dei due protagonisti, opposti come persone, ma identici come amici che vanno a caccia. Poi la solita storia di tradimenti… lui che si scopa la moglie dell’amico… e poi l’inaspettato. Forse. Anche qua, racconto leggibile, ma diciamo pure che lo si gode con la lettura e poi stop, ma non è colpa dell’autore, è che questa figura ha veramente già detto molto, e storie su di essa che siano originali sono davvero difficili da trovare. E questa non lo era,. pur essendo una buona storia.
Il penultimo ci porta in Trentino Alto Adige, e ci parla dell’om pelôs, anzi no, non ci parla di questo. Ci parla di quando lavori in ufficio, dell’alienazione della quotidianità. Un racconto bello, davvero. Nella terna dei miei preferiti, l’orrore psicologico, e psichiatrico, se vogliamo. Un racconto orwelliano. Di quando un collega al lavoro s’ammazza ma tutti ti dicono che non è successo che quel collega non esiste. Cose così… Sembra, ma forse solo a me, che ho letto anche gli ebook di gigi, che ora non ricordo, ma che ricordo, ecco, mi sembra che questa ambientazione, questo tema, abbiano ancora molto potenziale. Ecco, se devi scrivere un libro lungo, ricordatelo. Ufficio e montagne, di queste cose scrivi bene, ciccio.
Ultimo, un titolo che è già un programma, nella sua semplicità: Soltanto una povera vecchia. Che poi è la protagonista, pazza, anzi pazzissima, nuova inquilina di un ospizio dove c’è un equilibrio di salute e malattia, dove pure chi ci lavora non è immune all’effetto di un ambiente che è decadenza fisica e mentale. Ma questa vecchia forse non è proprio una vecchia qualsiasi. A livello di fantastico, questo, è il meno credibile, visto il finale quasi pirotecnico, a livello horror, intendo, ma mi sa che proprio questa è la sua bellezza. E niente… con le streghe Gigi si trova a suo agio. Un buon racconto comunque, e mi sono piaciuti i presonaggi.
Ecco. Ho finito.
Sono contento di aver letto un po’ di cose tranquille, veloci, facili, con questa gran scorrevolezza. E’ bello iniziare un racconto e sapere di finirlo. Ed è una caratteristica di tutti i venti pezzi di queste Oscure Regioni. Ce ne fossero, di pubblicazioni così. Ed è bello il filo rosso trovato per unire, anche se a tratti potrebbe aver fatto da freno, piuttosto che da stimolo, ma solo per due o tre cose
E poi boh… direi basta, ho scritto pure troppo. 
Ora metto due neretti a caso, pubblico, scarico un disco nuovo da ascoltare e ci vado a correre, che poi pomeriggio si lavora.

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