
“La montagna storta” di Renzo Brollo****
Ci sono due tipi di libri nella colonna altissima che rimane ferma nella cucina della mia magione estiva, a coprire la vista dei vecchi CD e a fare da sostegno al blocco dove scrivo e dimentico settimanalmente la lista della spesa.
Ci sono i libri belli che devo leggere, che boh, ci vuole un me che non è più quello che sono. Tipo, per dire, Cristo si è fermato a Eboli. Classici, insomma, o comunque roba di gente che non conosco ma che so essere brava.
E poi ci sono i libri di amici, conoscenti, gente di cui ho assistito alla presentazione. C’è Alessandra, Silva, Gigi, Lucia, Checo, Gianluca, Gianfranco… parecchi insomma.
E c’era Renzo.
Renzo Brollo, con la sua Montagna storta, che ero curioso di leggere anche perché era targato Bottega Errante, che mi pare la casa editrice più interessante per il panorama regionale.
Sì… avendoci avuto a che fare, quasi mai mi riesce di leggere o guardare un libro senza giudicare anche la parte tecnica: copertina, impaginazione, scelte di formato, rilegatura, comunicazione…
Ecco. Ero curioso anche di questo, insomma.
E sono contento.
Contento di aver letto Renzo, di aver letto una bella storia, di aver avuto per le mani un bel libro.
Un libro dove si abbandona i calembour e le frasi a effetto per le quali l’autore ha una sproposita simpatia e abilità, e che restano sui suoi stati di fb, a divertirci.
Un libro dove si abbandona anche l’idea che una storia non è bella e locale solo perché parla di luoghi e persone locali, né tanto meno perché è tratta da una storia realmente accaduta.
Queste cose non sono abbastanza, anche se ogni tanto, in qualche produzione, uno pensa che bastino.
Bisogna che la storia sia buona di per sé, che sia locale ma universale, che voglia dirti qualcosa che va oltre il nome delle montagne sopra Gemona e degli effetti del terremoto. E questo succede.
E la scrittura di Renzo è asciutta e adatta, anche se resta colorata, per i luoghi, e decisa, per i caratteri. Poche le sfumature dei tre ragazzi, protagonisti della vicenda. Tre emotività e personalità diversa, una delle quali, quella di Roberto, è scelta – forse quella più vicina al sentire dell’autore, chissà – per raccontare in prima persona. Le altre due molto diverse, a loro modo particolari ma universali. La vocazione di fede di Franco era un qualcosa di 60 anni fa, ma non è molto lontana da una omosessualità attuale, o comunque da scelte di vita che mettono di fronte a battaglie, o comunque mettono in posizioni diverse da quelle della massa. Così come il modo di vivere di Giovanni, molto meno superficiale di quanto realmente sia, e spericolato molto più di quanto voglia.
Un romanzo di formazione, insomma, con tre ragazzi che sfidano la sorte (leggi: fanno la cazzata) tentando di scalare in pieno inverno una montagna infida e maledetta come il Cjampon.
Le cazzate che se vanno bene, te le racconti fino a vecchia inoltrata…
Se vanno male…. e niente, può essere che ci esce un libro come questo.
Ma adesso mi fermo. Vado a farmi un po’ di barba. Metto un costume. Prendo la bicicletta. Vado sul fiume, perché io sono creatura di pianura. Del libro vi parlo meglio dopo. 🙂
Sono tornato. Ed è passata una settimana.
E niente, va così.
Sono questi i tempi, e non mi piacciono. Vero… ho fatto altre cose, non tutte belle, non tutte brutte, ma forse bisognerebbe trovare il tempo anche per queste. Per scrivere. E scrivere sul blog è sempre uno scrivere. Mi aiuta. E allora, anche se oggi avevo ferie, anche se potevo andare a lignano, anche se dovrei vedere di millanta cose, di quelle serie, ma a malapena riesco a preparare il copione per lo spettacolo di giovedì sera e a chiamare l’assicuratore per la 500.
Ma voglio finire di parlarvi della Montagna storta.
Un libro, un racconto lungo, se vogliamo, ma denso, senza pagine riempite, che racconta una storia dove l’epifania sta in mezzo, e non alla fine, ed è una scelta che mi è piaciuta.
L’epifania è quando Roberto, l’io narrante, pianta la picozza, al primo passso di ritorno dopo aver scalato il Cjampon d’inverno, e tutto succede. La montagna ghiacciata si scrolla di dosso i tre ragazzi, e due di loro rimangono in bilico, sul precipizio, feriti. Roberto riesca a correre via, a cercare aiuto.
Ce la faranno? Li salveranno? Non ve lo dico, ovviamente.
Ma vi posso dire quel che è successo prima.
Prima è successo che i tre hanno avuto a che fare con le cose che segneranno i loro destini.
Roberto con la scelta di non intraprendere la carriera di boxeur
Franco i suoi primi contatti e pensieri sensati con l’idea di diventare un sacerdote.
Giovanni con la spericolatezza, vuoi dell’auto, vuoi della sfida.
E vi posso dire quel che è successo dopo, ché forse già sapete.
Perché è difficile raccontare una storia friulana di metà anni ’70 che non abbia a che fare con il terremoto. Ed è difficile raccontarla senza scadere nella retorica, o nel già detto, o nel far diventare il terremoto protagonista. Quando capisci che una storia va a parare lì, ormai, sei già pronto a dire: Uh no, dai, ebbastacostoterremoto. E invece qua no, ve lo dico già. Il terremoto c’è, arriva, influenza la storia, come non potrebbe non essere, ma non è protagonista, bensì vissuto dei protagonisti. Forse solo in una pagina o due si cade in quella sensazione del Sìdaisìlosappiamo, ma va detto che non si può dare per scontate le cose, e per tutti quelli che non sono friulani, dei terremoti altri, si sa ben poco.
E poi? E poi niente. Il mondo intorno diventa sempre più brutto, e storie come questa è bello che ci siano, che vengano raccontate. Non so bene chi ha raccontato la storia a Renzo e quanto sia stato adattato per rendere la storia narrativa. Sono stato alla presentazione ma forse lo ha detto e mi sono distratto, ma io mi distraggo sempre, alle presentazioni dei libri. Però poi sto attento quando leggo.
Se il libro merita attenzione. Se vi capita, leggetelo. Per chi mi chiede, ancora a volte ogni tanto, un libro per adolescenti che non sia scontato e che abbia un legame col territorio, che non sia lungo e che non sia difficile, pur non essendo banale, ecco, questo è un buon esempio. Ovvio, non aspettatevi meraviglie, e nemmeno che tutto vada sempre bene. Anzi… direi che c’è una buona dose di malinconica friulanità, nelle righe, di quella che “dal ridi al ven il vaî”.
E la smetto. E ora sto leggendo gigi, sì, che è un altro che ogni volta lo odio, perché lui scrive e io no. e vabbè. Andiamo… E vi lascio con qualcosa, che ne so. Una foto, qualcosa di bello, o magari boh, una canzone che mi piace.