"La giornata di uno scrutatore" di Italo Calvino****

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"La giornata di uno scrutatore" di Italo Calvino****

Oggi fa caldo. Caldissimo.
Così caldo che addirittura uno potrebbe pensare che StudioAperto abbia un senso.
Ed è domenica. 
E io sono a casa.
Che io poi, nel caldo sto bene, soprattutto se sto casa senza rotture di coioni.
E oggi mi va bene così. 
Perché cerco di fare una cosa al giorno. Piccole cose. Grandi cose a pezzi. 
In realtà il pomeriggio se n’è quasi andato.
Ho dormito un’oretta come è d’obbligo dopo che cerchi di guardare un GP di formula uno.
Dal terzo giro in poi, mi sembra sia la regola.
E adesso sto ascoltando-guardando il concerto di Monza dei Radiohead.
Niente concerti io, quest’anno. Sono povero. Molto povero e per certi versi la cosa è affascinante.
Stare lì a contare gli euro per vedere se t’avanza dopo il fisco da pagare la rata dell’auto e rinunciare a fare cose. Mi piace, lo ammetto. Anche se mi sento in colpa. 
Di non poter fare regali, aiutare i miei… robe così. Ma del resto io vivo sentendomi in colpa. 
Ma come la targa dell’auto nuova (e di quella vecchia) dico FK, e fuck sia.
Comunque questo gruppo, questa musica, sono e saranno sempre dentro di me e fatti di me. Di me e immagino anche dentro di qualcuno di voi, là fuori.
La grandezza di questi qua è grande. Una grande grandezza. 
E come, un’altra grande grandezza è stato Italo Calvino.
Mettete pure agli atti che nel mio pantheon personale ci sono i Radiohead, Buzzati e Calvino.
Vi scriverò il post a pezzi. Mentre faccio i cazzi miei.
Non è che mi interessa sapere se vi interessano i cazzi miei, ovviamente. Quelli sono cazzi vostri.
Vi dico che ora vado a finire di farmi la barba, ora che ho cominciato.
E sto ascoltando il concerto al minuto un’ora e 09. Una tra le mie canzoni preferite. Non ha reso benissimo nella prima metà, qua a Monza, ma poi… cazzo… che mostruosità d’anima.
Sono cose che ti fanno ricordare cosa sei, se sei qualcosa. 
Cose belle.
Mentre vado a farmi la barba masterizzo un cd di Gazzè.
L’ultimo. Perché devo andarci a quel concerto. 
E ci metto pure Fabi, dietro. Che è un bellissimo disco anche quello.
Ah, sto ascoltando Last exit (for a film). 
All’epoca io pensavo che fosse una delle canzoni più belle del mondo.
A distanza di vent’anni, posso dirvi che lo è.
Lo è e lo sarà per ancor molto mondo a venire.
Ma non è tanto di radioheddi che volevo parlarvi, ma del libro… anzi, racconto.
Eh sì, perché questo Calvino, benché lungo e non breve, è un racconto
Sono 77 pagine di racconto. più una mini nota di Italo, che dice perché lo ha scritto e in quanto tempo. Quindi se non l’avete letto, e vi va dire che leggete Calvino, ecco, questo è il calvinismo che fa per voi. Breve e intenso, che vi offre spunti di cultura, di conoscenza, di riflessione.
Anche roba che potete spendervi all’apericena, volendo.
Detto questo, la barba, cioè, metà faccia, l’ho fatta, laviamo un po’ l’auto va. Mentre ripenso al libro e ascolto No suprises. 
Bene, macchina risciacquata, per andare a sostenere le biasimazioni della sister. E vedo e sento, a fine concerto, che hanno fatto creep. La fanno spesso, ora, dopo decenni di oblio. E sembra avere fatto pace con la canzone e col proprio passato, Thom, e la canzone è la mia prima canzone. Io trovavo ci fosse, in quella sghitarr devastante di media res, un mondo nuovo, e ricordo che l’ascoltavo solo io –  o almeno così mi pareva –  la chiesi via lettere di carta, a radio 105, ero alla superiori, tipo boh, in terza, e mi dissero che boh, non lo sapevano che canzone fosse, l’avrebbero cercata. La passavano a zz radio o come cazzo si chiamava la radio americana che si sentiva qua un tempo perché la sentissero i militari di aviano, 1060 FM, stava. Non si pigliava sempre bene, e io d’inglese capivuncaz come adesso e facevo fatica a capire i titoli. Ma questa l’avevano passato e avevo capito e la chiesi, perché poi era l’unico modo di risentirla. Non c’erano i dischi da comprare, non conoscevo negozi alternativi, non c’era internet. E insomma, niente. Penso che ho una storia così per ogni canzone dei radiohead o quasi.
Ma eravamo qui per parlare di Calvino. 
Una domanda… Vi hanno mai minacciato, da piccoli, quando facevate le boccacce (io sono particolarmente bravo a) di mandarvi al Cot(t)olengo? Ecco… per me era normale. Il manicomio e il cotolengo erano un’accoppiata mitica della mia bambinezza. Luoghi che esistevano ma non esistevano, perché erano immaginati. 
La prima cosa che scoprite, leggendo questa giornata di uno scrutatore, che non fa altro che raccontare esattamente cosa dice il suo titolo, ecco, scoprite che Cottolengo si scrive con due t, che non è un nome di luogo ma un cognome di persona e che, in quanto tale, ha poi creato il luogo.
Invece lui, il buon Giuseppe Benedetto Cottolengo, è esistito e ha creato una sorta di luogo, a Torino, ricettacolo di malati, scherzi della natura, persone con problemi e persone a cui farli venire. 
Un qualcosa che potrebbe essere bello, nell’anima, perché la carità è una cosa bella, che fa da collante al mondo migliore, ma che poi, nella realizzazione, potrebbe prendere brutte pieghe.
E una piega brutta ce la racconta Italo, che lo scrutatore lo ha fatto veramente, in uno di questi seggi, e che comunista lo è stato veramente, nel periodo in cui nelle decine (si, decine, avete capito bene) di seggi interni al Cottolengo –  una città nella città –  si raccoglievano voti per chi si è appropriato della carità come se fosse sua e non universale. La carità cristiana, o meglio, della Democrazia Cristiana.
Voti.
Voti estorti, rubati, guidati, incanalati. 
Una democrazia che si scontra con il senso intimo di sé, che ci interroga sulla sua vera necessità.
Siamo nel 1963. 
Calvino lo ha visitato dieci anni prima, il Cottolengo, ma è stata esperienza devastante ed era impossibile scriverne. Ci dice che ha faticato parecchio per scrivere questo libro e in certe pagine, verso la fine, quando si cerca di far votare chi non ha più ragione, mente, corpo e forse nemmeno vita, lo si capisce benissimo.
Adesso mollatemi che vado a portare la spesa casa di là e poi torno va.
Fatto.
Ora dovrei sistemare gli ipod, che cazz… ogni volta mi elimina la libreria. vabbè… apple, per certi versi, è proprio nammerda.
Ma dove eravamo rimasti? Al libro. Beh… alla fine, quello che ve lo dovevo dire, ve l’ho detto.
Si racconto di uno scrutatore che durante la sua giornata, più con la sua indolenza, con l’accettazione media del tutto, che con le parole, fa da specchio a una situazione. Dice Calvino che è tutto piuttosto vero tranne la visita di un onorevole che viene a vedere come butta il suo serbatoio di voti. Le suore scodinzolano, i medici pure, il matto dà di matto e chiaramente non viene cagato. Ecco… dice e non dice, Italo, che ‘sta cosa l’ha aggiunta lui. O meglio… l’ha messa lui così com’è perché si capisce che la cosa c’era, e non è che la potevi dire tutta tutta. 
Poi, il senso del libro è di indagine interiore, non di critica politica. 
Vi farà anche tanta tenerezza, in certi frangenti, e rabbia in altri.
Ma è un bel lavoro, piccolo, ma rotondo, con il suo senso, e una sua anima ben precisa. 
Forse non tra i Calvini più famosi, come quelli della trilogia, non tra i più complessi e ricercati. 
Ma un racconto che ha dalla sua la semplicità ripiena di pienezza, che dice cose solo se le volete sentire, sennò vi racconta solo una storia, e quindi sappiatelo, se vi va di leggere una cosa breve, voi che come me tempo non ne avete.
Basta così.
Potrei dirvi che oggi nel campo ho trovato un paio di tenaglie che probabilmente erano di mio nonno. Uscite dall’aratura dove un tempo c’era vite. Mi ci sono pure tagliato, ma non mi verrà il tetano. E c’è della favola in tutto ciò, Ma non ve lo dirò, magari vi ci metto la foto qui sotto, se ho tempo. 
Ma dopo, che ora ho da andare dalla sister.

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