“La profezia dell’armadillo” di Zerocalcare****

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“La profezia dell’armadillo” di Zerocalcare****

Tante cose.
Tipo questa: oggi cominciavo a lavorare a mezzogiorno. 
L’ho scoperto adesso, che oramai sono sveglio dalle sette e 35 e pure con la fobia del “sono rimasto addormentato” perché la sveglia era alle 6.30, la prima, la seconda l’ho tolta ieri notte per metterla alle 23 nel caso mi addormentassi leggendo questo fumetto, la terza l’ho spenta con mio tocco furbo allungabraccio e quella della radio – i deftones a volume 20 (che lo sente tuttopaese) – ecco, quella che doveva svegliarmi non so perché non ha suonato.
Ecco… perché?
Il portone di casa dei miei poi, oggi, nn si è aperto. 
E come dicevo ho scoperto adesso che comincio a mezzogiorno perché il portale dove stanno le lezioni, ieri che ero nella casa-senza-internet dal telefonino non si apriva.
“Tanto comincerò come sempre alle 8.30” e invece no.
E allora eccomi qui che aggiorno il blog, e faccio cose, e lo aggiorno proprio con questo fumetto, La profezia dell’armadillo, di Zerocalcare. Questo fumetto che non dovete pensare come fumetto comecelaveteintestavoi bensì come fumettoperaletterariacoicontrocazzi.
Come dice un altro che fa uguale, che fa fumetti che sono quel tipo di. Makkox.
Anche lui di Roma, de Roma, anzi. Anche lui che nasce e viene dalla rete, più o meno, nipote, se non proprio figlio, di facebook, dei social, del passaparola. Uno di quei pochi figli, o nipoti, sani e belli che il megafono di Satana ci ha regalato. 
Ne capitano pochi, di gente così. Sono nipoti anche di Ortolani, soprattutto lui, ZeroCalcare. A tratti, il suo surreale, i gusto per la battuta assurda e spassosissima, me l’hanno ricordato. 
Ma c’è un’amarezza, una profondità diverse, che RatMan non aveva né voleva avere, mentre Zerocalcare, vuole e cerca. Anzi, Zerocalcare non sarebbe lui, non esisteerebbe proprio senza questa dimensione, che posso riassumere semplicemente in quelle righe che siamo noi, quelli come me, quelli pieni di cose da fare che non fanno o ne fanno altro che. Quelli che non gli si apre il portone o che gli si crasha il portale del lavoro e invece di risolverlo (andare 5minuti5 nella casa con internet) si fanno costruzioni mentali che li portano a una risposta. Per lo più sbagliato.
Ecco. E’ la vita, questa. E se devo trovare un modo perfetto di raccontarla, questa vita dell’impreciso e del difettoso, è il modo che ha Zerocalcare. 
Ora io mollo un secondo e vado a fare ciò che sto facendo per sfruttare questo mio errore.
Avrei anche io un lavoro da consegnare.
Ho una cosa da 200-300 persone davanti, sabato, e dovrei prepararla. 
Sì. Domande, tradurre, cose, insomma… preparare la lezione, ché le lezioni si preparano.
E invece sapete cosa sto facendo? Sistemo il cassetto delle mutande.
Sono due.
Quelle dei cinesi ancora colorate.che uso per andare a lavorare.
Quelle non dei cinesi a tinta unita ma oramai sbiadite usurate che uso per correre.
Durano due giorni, divise così. Poi le rimescolo. spiegazzandole. Perché ho in testa, quando esco dalla doccia, le mutande che metterò e se sono sotto le tiro fuori così, come un truceratopo che prende uno yogurt dal frigo, e quello che lascio è l’inferno.
Vado a sistemare l’inferno e torno. 
Ecco. Con le mutande ci siamo. Ora ma già che ci sono faccio anche i maglioni. 
I maglioni assurdi di mia nonna, inindossabili, ma che io indosso ancora. E di nuovo, che non c’entrano niente, ma c’entrano, con questo libro. Perché fondamentalmente Zerocalcare è un po’ Peter pan, oltre che nerd (ma forse non lo sono tutti i nerd) e riesce a conviverci, con queste peterpanezza, che poi è difficile, eh, un po’ come io che sto aspettando i minuti per prendere le monetine di pokemon go per potenziare la mia bestia preferita che poi è un dinosaruro, alla fine. E che ieri notte, cioè tipo alle tre e mezza, camminavo per il cortile per fare  gli ultimi 50 metri e guardare intanto le stelle d’inverno che fanno schiudere le uova. Devo scriverci un saggio, su questo pokemon go… che è forse una piccola rivoluzione, e che è già sputtanata, ma forse ce lo scriverò.
Quando non ci sarà un cassetto delle mutande da.
E quando avrò finito anche con quello dei calzini.
Cioè mai. 
E allora cominciamo a dire due cose di Zero. 
C’è una prefazione bellissima di Makkox con cui siete d’accordo prima ancora di cominciare a leggere le vignette, se conoscete un po’ Zero calcare. 
Il libro è fatto di tavole separate, miniepisodi, che hanno a che fare con un fatto unico, in cui c’entra la morte, e ti lasciano addosso, alla fine, una malinconia densa, ma durante, sì, te la ridi, te la ridi forte
E anche io come Makkox l’ho finito in una notte, e me lo sono fatto dare, tra l’altro, proprio perché non riesco più a leggere cose belle, di narrativa, e allora mi son detto, leggerò cose bellissime di fumetto. E ieri sera ho fatto così. Grazie a Noè mi sono letto coso, lì, il giapponese vecchiardo degli yokai, bellissimo, e adesso mi leggerò i fumetti che scrocco al mio prof di mate, quelli che ne ha, se gliene mancano glieli regalo. Sono sei, credo.
Il secondo è già qui in parte. Magari stanotte, se mi lasciano in pace.
E insomma…. dovevo dire ancora cose del libro uno di Zero. Ma poi, a pensarci, serve dirle?
E’ bellissimo. Compratelo o regalatelo, e leggetelo. E godetevi quella leggerezza che dice di non sapere cos’è ma è così calviniana da richiamare la famosa frase sul ciò che non è inferno e bisogna far durare. Questa profezia dell’armadillo non è inferno e questo tipo di cose vanno fatte durare.
E insomma… niente. Sono le 9.26 e ho sputtanato già un’ora e passa per fare questo.
Vado a vedere se riesco a sistemare almeno un po’ uno dei tre cassetti dei calzini.
Quello dei calzini colorati dei cinesi.

Comments

  • 30 Novembre 2016

    Ciao Gelo. Si vede che Rat-Man non lo leggi dai tempi delle "belle storie spensierate degli inizi" (che alcuni rimpiangono): ora ha una complessità e livelli di lettura notevoli 😉

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