“L’ultimo dio” di Emidio Clementi****

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“L’ultimo dio” di Emidio Clementi****

Dovrei fare altre cose, come sempre. Ma in qualche modo ho voglia di tornare a scrivere qui, e non dei libri più vecchi, letti, ma di questo ultimo, finito, che è un libro strano e bello e conosciuto sicuramente per altri motivi. 
Ma prima mi faccio un caffè, cerco una musica che mi faccia bene e non mi addormenti e cerco di tenere lontani i gatti che sono troppo coccolosi e invasivi.
Ecco. 
Ho un caffè.
Ho chiuso la porta alle spalle.
Ho altre cose da dire, giusto per dire che si torna.
Sabato ho vinto il premio Scerbanenco, a pari merito, okay, ma è sempre una bella cosa.
Ho scritto un racconto che era un giallo non giallo, perché non sono capace di non fare indovinare il colpevole. Ma forse nemmeno lo voglio. Mi piaceva raccontare di storie di cortile da dopoguerra e allora ho messo insieme un po’ di personaggi delle mie Contis di famee, sia di quelle vecchie sia di quella che verranno. Bambini, soprattutto.
Poi vi metto la pagina del giornale, così, tanto per bullarmi un po’, anche se invece dovrei vergognarmi che scrivo poco.
Ho altre cose, anche.
Ho un lavoro, sensato, serio, diciamo, da oggi, e mi fa paura pensare di fare la stessa cosa ogni giorno e sapere che domani farò la stessa cosa di oggi. Cose che mi piacciono, che mi rendono felice quando riescono bene, ma non ho l’abitudine a pensarmi sempre uguale e faccio fatica.
Ho messo i 2cellos, adesso, perché ieri dopo aver visto il Gazzè e il Capossela sono fuggito via e li ho persi. 
E ho un paio di pezzi già salvati di questo libro di cui vi voglio parlare. 
Un libro che parla di un altro libro, e di una vita, e di una storia.
La vita è quella di Emidio Clementi, lui, l’autore.
Emidio che per me è un nome bello, poco comune, antico, di quelli che conosco solo lui. E lui per me era, e ora non è più, quello dei Massimo Volume. 
Erano i tempi del Village. Una trasmissione su radio abano network, serale, che io da ragazzino delle superiori ascoltavo. Una trasmissione con la musica bella, con la musica italiana. Dove passavano gli Estra, Umberto Palazzo, i Massimo Volume, appunto.
Emanuel, il primo dio, era una canzone, quella volta.
Anche se io amavo l’idea del tempo che scorre lungo i bordi.
Guardavo le figurine attaccate alla porta di casa e del frigo e pensavo a quel verso.
I Massimo Volume poi se ne sono andati, e in questo libro trovate perché.
Poi sono tornati. Forti e chiari. E anche un accenno a questo perché, trovate.
Allora io faccio così.
Vi metto subito i due pezzi che ho scannato, fotografato, per mandarli a Giulia, a cui devo prestare il libro. Forse magari ve ne faccio un altro, poi, alla fine. Un pezzo dell’inizio, perché le prime pagine di questo libro, così belle, aspre, con frasi che paiono coltellate piccole, ecco… è tutto molto bello. 

Intanto leggete queste:

Belle vero?

Sì, lo sono. Per me sono anche tanto vere.
Ora però basta 2cellos. Non mi piacciono.
Non mi piace questa modo del rifare canzoni che sono già belle e icastiche per conto loro. Ora, di questo passo, risuoniamole a scoregge e rutti… boh, no. 
Ascolto sapete chi? I Massimo Volume. Quelli vecchi, non quelli del ritorno. Che sono più bravi, densi, ragionati, molto curati.
Magari anche voi, dai.
Tipo eccola, la canzone del primo dio. E’ bellissima.
E questo libro è bellissimo. 
E’ una via di mezzo, certo, e gode della purezza del raccontare a mentre fredda la propria storia sapendo dove e come mettere le parole. Clementi lo sa. Non è scrittore di primo pelo, non è persona che ha scritto poco. Sembra uno dai tacquinetti, dai notes, dalle parole buttate a pioggia su scontrini e diari. Sembra una che butta le poesia come se fosse la fame e la sete a cavargliele fuori.
Nel libro questo sembra rallentato, mitigato dal dover scrivere in prosa e ne esce una scrittura incisiva, forte, che fa della semplicità, degli enunciati brevi bellezza propria.
Confesso, che quando l’ho rubato, al banco, non ero così sicuro di trovare qualcosa di bello. Scrivere belle poesie, belle canzoni, essere parte della vita tua giovane, non è garanzia di saper scrivere un buon libro. E invece mi sono ricreduto dopo pochissime pagine. Le prime 4, per la precisione.
Quasi quasi vi lascio le prime due, dai, non ci metto niente.

Ecco
queste

Che vi sembra? A me pare un grande inizio. 
Li ho letti al mare e anche io, come in una canzone di quel disco, potrei dire che erano gli ultimi istanti di quella che da allora avrei chiamato la mia vita precedente. 
Solo che oramai le mie vite precedenti sono così tante che mi sono stufato di contarle e dividerle una dall’altra.
Dai, non so, dovevo parlarvi del libro e non l’ho fatto. Ma oggi va così. Vi lascio quello che vi avevo detto che vi avrei lasciato. La pagina di giornale. La foto di mio padre che ritira il premio al posto mio, ché io oramai sono come i vip veri, e odio i vivi, come dice Edda, anche se era semplicemente a un matrimonio e non potevo andare. Vi lascio anche la foto di stasera, al temporale. Due anzi. Ero a correre ed era bello, là sotto, con quella elettricità che si avvicinava e poi non è arrivata.
Basta così. Recupererò Il primo dio, prima o poi. Cercherò di rubarlo, ma forse, non so. Forse lo comprerò.

Comments

  • 7 Settembre 2016

    Da quello che scrivi bisognerebbe leggerli tutti e due?
    Il primo Dio, particolarmente quasi sconosciuto non si trova, Presumo che chi lo ha lo tenga stretto (parlo dell'usato)e nuovo vale una fortuna, va a finire che mollo le redini…

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