“Tutti i racconti – Vol. 2” di Montague Rhodes James****
Vi ricordate del vol. 1? Mi era piaciuto tanto.
Avevo anche fatto le storiacce perché a un racconto mancava il finale e l’ho dovuto cercare in altra edizione vecchierrima reperita in via giro bibliotecario eccetera.
Ecco, ci sono riuscito: ho letto anche il volume 2!
Perché ora che li ho letti, ve lo posso dire. I racconti di Montague Rhodes James, per chi decide di scrivere di horror e in forma racconto, sono un qualcosa che va letto.
Non solo per imparare, ma proprio per avere soluzioni, e per avere un quadro completo di una certa ars narrativa dell’orrore che non può riassumersi e completarsi con i due capisaldi celebri, HPL e EAP.
MRJ (sì, assieme a CAS, Clark Ashton Smith) è un punto imprescindibile, perché ha un suo concetto di orrore, che mischia atmosfere cupe e immagini che oramai sono classiche, a una leggerezza e a volte quasi una ironia (sempre molto nascosta e scarna) che rendono le sue storie riconoscibili.
Questo volume, ve lo dico subito, è un po’ meno bello dell’altro, ma non è una novità e la cosa non è penalizzante.
La prima cosa ce la dice lui stesso, in qualche riga ai racconti che sono spunti che non ha sviluppato o non ha sviluppato come vorrebbe, ma che qui sono comunque pubblicati e che lo stesso Montague ha, diciamo così, lasciato completi ma migliorabili.
Seconda cosa, invece, perché i racconti sono comunque godibili, e anche se manca il pezzone che ti fa rabbrividire, nel complesso bisogna leggere questi e quelli, per farsi un’idea del mondo d’orrore ottocentesco (o meglio sarebbe dire settecentesco) del nostro MRJ.
Che poi, lui ci lascia nel 1936, e se proprio dobbiamo dirla tutta, io lo conosco solo come scrittore di racconti di spettri, ma lui è più archeologo, paleografo, e salcaz cosa d’altro che ha a che fare con l’antichità.
Ma a noi interessano i racconti!
E quali racconti ci sono in questo volume 2?
Questi!
- La residenza di Whitminster (The residence at Whitminster)
- Il diario del signor Poynter (The diary of mr. Poynter)
- Un episodio della storia di una cattedrale (An episode of cathedral history)
- Storia di una scomparsa e di una apparizione (The story of a disappearance and an appearance)
- Due dottori (Two doctors)
- La casa stregata delle bambole (The haunted dolls’ house)
- Lo strano libro di preghiere (The uncommon prayer-book)
- I confini del vicino (A neighbour’s landmark)
- Una vista dalla collina (A view from a hill)
- Un monito ai curiosi (A warning to the curious)
- Una serata divertente (An evening’s entertainment)
- Il Pozzo del Pianto (Wailing Well)
- C’era un uomo che abitava vicino al cimitero (There was a man dwelt by a churchyard)
- Ratti (Rats)
- Di notte nel Parco dei Divertimenti (After dark in the Playing Fields)
- I Cinque Vasi (The Five Jars)
- L’esperimento (The experiment)
- La malignità degli oggetti inanimati (The malice of inanimate objects)
- Un’immagine (A vignette)
presi brutalmente da wiki, senza discernimento. Poi c’è il testo: I racconti che ho cercato di scrivere. Bello pure quello come se fosse un racconto.
Manca, a completare i 41, la strega di Festanton e Una notte nella cappella del King’s college, e poi una manciata di bozze e roba incompleta.
Insomma… non era prolifico, il buon Montague.
Di questi qua, i miei preferiti, che ricordo già dal titolo con grosso piacere, sono sicuramente il Pozzo del pianto, ma anche Una vista dalla collina, e perché no, Avvertimento ai curiosi e Topi…
E gli ultimi, comunque sono quelli che ho gradito di più.
Ma cosa si impara leggendoli?
Un modo di raccontare le storie, tanto per cominciare. Antico, forse desueto, ma affascinante e molto legato alla realtà del come si raccontano, e non come si scrivono, le storie di paura.
Quasi tutti i racconti sono raccontati da qualcun altro, gente che ha sentito da altra gente, lettere ritrovate, amici comuni, esperienze che capitarono.
Prendete avvertimento ai curiosi, per esempio, vado a rubarvi l’incipit, anzi no, un po’ dopo, dove si entra nella storia da fuori, per via narrata:
Come ho già detto, ho visitato per la prima, volta Seaburgh quand’ero bambino; ma c’è poi un intervallo di parecchi anni a separare la mia prima visita da quella pio recente. Eppure il suo ricordo non si è ancora affievolito nel mio cuore e qualsiasi storia la riguardi desta sempre il mio interesse. La storia che sto per raccontare è una di quelle: mi è stata riferita in un luogo quanto mai lontano da Seaburgh, e del tutto casualmente, da un tale al quale avevo fatto un favore, motivo più che sufficiente, a suo giudizio, da convincerlo a prendermi, senza alcuna reticenza, per suo confidente
Conosco abbastanza bene la regione (disse), -Frequentavo Seaburgh con una certa regolarità, in primavera questo, per via del golf. Di solito scendevo alla locanda dell’Orso con un amico – si trattava di Henry Long, forse voi lo conoscevate («Di vista», gli risposi) -: ci facevamo riservare una saletta dove ci trovavamo molto bene. Dopo la sua morte non ho più avuto voglia di andarci; e poi, dopo quanto è successo l’ultima volta, non credo proprio che potrei mai più tornarci.
Era. l’aprile del 19… e, per una combinazione, eravamo quasi gli unici ospiti dell’albergo, e le sale comuni erano praticamente vuote. A maggior ragione fummo sorpresi quando, dopo pranzo, la porta delle nostra saletta si apri e un giovanotto cacciò dentro la testa, l/avevamo già notato in precedenza: aveva un che di anemico, di quasi conigliesco – capelli chiari, occhi chiari – ma non per questo sgradevole. Cosi quando disse: – Chiedo scusa, è una stanza riservata questa? – non borbottammo un sì scontroso, ma Long rispose, o forse io, non ha importanza: -Entrate, prego. – Davvero posso? – esclamò il giovane con aria alquanto sollevata. Era più che evidente che cercava compagnia e, visto il tipo di persona che sembrava – non di quelli che ti rifilano tutta quanta la storia detta loro famiglia -, lo invitammo a mettersi a suo agio. – Avrà certo trovato le altre sale alquanto desolate – io gli dissi. Infatti, aveva avuto questa impressione; ma era davvero molto gentile da parte nostra, e cosi via. Una volta terminate le formalità, fece finta di metterei a leggere un libro. Long stava facendo un solitario, io scrivevo. Dopo qualche minuto non tardai a rendermi conto che l’ospite era in uno stato di evidente agitazione o nervosismo, che finì per comunicare anche a me, cosi accantonai l’idea di scrivere e mi risolsi a intavolare una conversazione con il nostro.
Insomma, dovrebbe bastare per farvi capire. Poi, a volte, mette la storia dentro la storia, del tipo: “vi racconto di questo che mi ha raccontato un tizio a cui hanno raccontato che.
E io ho trovato bello, questo modo antico di narrare.
E poi è molto funzionale all’orrore di James, che è tutto proiettato dal passato.
Fantasmi, oggetti, misteri, tombe, morti, preghiere, maledizioni… tutto che viene dal secolo prima, o da quello prima ancora.
E tutto, aggiungerei anche, molto british. Non nel senso di educazione, eh, ma di contorno, di toni, di ambientazioni. Ti perdi in questa nebbiolina e in questa umidità, presente anche quando non ne parla, e spesso siamo nelle vecchie antiche ville, polverose e sfarzose, coi tendaggi pesanti e lo stile vittoriano.
Insomma… dai, avete capito. Se lo conoscete sapete già come sono questi racconti. Se non li conoscete, e volete formarvi come lettori di racconti gotico-fantasmici, be’, James è imperdibile.
Poi, attenzione. Non venite qui a cercare la verve e l’azione, eh. Sia chiaro.
Anche quando l’azione c’è, a noi lettori è già stato detto dall’inizio come il tutto andrà a finire. E quindi no suspense, ma non per questo no party. Le storie reggono di questa costruzione lenta, classica, e adatta. Non potrebbe essere moderna la narrazione di storie che parlano di fantasmi e oggetti antichi e di questa antichità vivono.
Dal passato, si sa, giungono gli spettri peggiori.