“Il mare color del vino” di Leonardo Sciascia****
Era venuta una signora e mi aveva restituito tre libri di Sciascia… e non ce l’ho fatta a non fare un po’ di blablabla.
Piaciuti, non piaciuti, sì, quale a me, quale a te, e questo, ah si, mai sentito, bello bello anche questo anche se sono racconti.
Racconti?!
Yeppa!
E me li sono presi.
Uno poi lo avevo già letto, ed era uno dei migliori di questa antologia, di autori italiani del 900, e quindi bene. Se gli altri son così, mi son detto.
E bene o male lo sono.
Sono tredici racconti che vanno dagli anni 50 al 1972 e mostrano, come dice Leonardo stesso nella piacevole intro, gli andamenti delle sue scritture, di ciò che scriveva nei vari periodi.
E infatti sono diversi, e vanno da quelli dei suoi soliti temi, mafia e dintorni, a quelli molto più leggeri, ad alcuni che proprio non ti aspetti.
Non era un narratore breve, Leonardo, si dice, o meglio, si dice che la sua produzione di racconti è limitata, ma è una cagata, perché non veniamo a raccontarla, i suoi lavori come Una storia semplice e A ciascuno il suo, sono racconti lunghi.
Detto questo, me li riguardo assieme a voi,
Anzi, come prima cosa mi sono fatto due orecchiette, di due pezzi che volevo condividere… li fotografo va, che non ho coioni di copiare. Speriamo che si legga…
Il primo pezzo è di un racconto molto figo.
Due parlano della mafia in termini linguistici, ovvero da dove viene il termini ecc.
Uno è un esperto, l’altro una “bestia” come potete evincere. Il racconto è solo un dialogo, e finisce così, ma dice molto.
Ed è molto indicativo il contributo dato, alla Commissione antimafia che comincia a operare, che si collega direttamente all’altro bel lavoro sciasciano (secoli che sognavo di aggettivare Sciascia) “I pugnalatori” che tanto mi piacque, e insomma, si discute delle radici e dell’etimologia della parola, ovviamente senza mai citarla, ed è molto esemplificativo il pezzo che mostra come parlare in malafede sia peggio che tacere. Il racconto si intitola Filologia.
E poi quest’altro pezzo, di un racconto (Processo per violenza) che mi è piaciuto e che tira dentro niente popodimeno che Cesare Lombroso, chiamato a dare il suo giudizio su un tale che avrebbe violentato e ucciso splatteramente un paio di ragazzine, e che, alla fine, almeno dal Lombroso, viene scagionato… ovviamente la giustizia non deciderà così.
Resta decisamente gradevolo però questo passaggio che vi lascio, sul termine “cretinoso”.
Poi c’è Giufà, un racconto galattico che è a metà strada tra la favola, il grottesco, echi pirandelliani, e insomma… è molto bello. Cercatelo. Parliamo di un tale che non ha tutti i venerdì e che ne combina di tutti i colori, soprattutto quando lo prendono per il culo, con la cattiveria tipica che i poveri di intelletto hanno contro i mancanti dello stesso. Insomma… vi dico solo che gli hanno fatto uccidere un cardinale. Ma proprio uccidere eh. E dopo di ciò, il simpaticone, ne esce incredibilmente bene, e la fa franca, soprattutto perché è un po’ tocco, ma non un idiota.
Vi fate due risate, e vi viene da pensare che no, non può averlo scritto Sciascia, e invece sì.
Poi vediamo… dai i racconti li trovate ben descritti qui, dagli amici di Sciascia.
Ma a me va di dirvi lo stesso che:
Reversibilità, il primo, è uno dei pochi che, pur gradevole, e che tratta in modo leggero e storico il campanilismo tra due borghi siciliani, non mi ha fatto impazzire.
Il lungo viaggio, benché si capisca presto dove vada a parare, è in tema perfetto con l’immigrazione di questi periodi. Andrebbe fatto leggere a quelli che se la prendono coi poveretti, va… ma probabilmente non hanno un cervello per capirlo. In ogni caso mescola risate amare e struggimento e anche una sghignazzata, suvvia.
Del racconto che dà il titolo alla raccolta vi riporto questa frase di Sciascia:
(In Conversazione in una stanza chiusa, alla domanda di Davide Lajolo: “… come hai sentito e creato o ricordato le donne nei tuoi libri? […] Qual è quella più autobiografica, quale riporta più puntualmente il tuo sentimento, la tua nostalgia? Come conta per te la donna?”, Sciascia risponde: “Quella del racconto Il mare colore del vino: la donna che si incontra per qualche ora e con la quale si vive, in quelle poche ore, tutta una vita. Poi c’è l’altra, con cui realmente si vive almeno due terzi della vita: in giusta compagnia”.)
E aggiungo che è proprio un bel racconto, con l’unico difetto che continuavo a confondere i due figli della famiglia incontrata sul treno dal protagonista.
E poi c’è L’esame, discreto, ma dal grosso valore storico etnografico.
Poi, dopo Giufà, ecco un’altra ironia della sorte, in cui c’entra un fatto storico vero: la rimozione della salma di Stalin, e in cui il marito, dopo aver ingannato la (stupida) moglie che se la prende per uno (stupido) santo, ecco che riceve la punizione. La rimozione, è il racconto.
Di filologia e del racconto già letto già vi dissi, e poi c’è un Caso di coscienza, che è una figata di pezzo. Perché un’indagine può scaldarsi per omicidio, ma anche di più per motivi legati alle corna… e insomma… se leggete tra le lettere al prete di un giornale scandalistico che una tizia del vostro piccolo paese fa le corna con un parente.,.. e che, non siete curiosi? Da leggere, con un finale spiazzante!
E c’è spazio anche per Apocrifi su Crowley, per un noir di morti ammazzati e vendette, e per uno racconto storico pure, sempre di corna, su Eufrosina.
Concludo dicendovi che non serve dire che Sciascia è scrittore di classe, e questi racconti, almeno per come la vedo io, aggiungono una piacevole luce sui suoi altri lavori. Poi insomma, se in una raccolta in cui tutti i racconti sono belli e diversi, non è proprio il caso di lamentarsi!