
“Diario d’algeria” di Vittorio Sereni****
Non parlo quasi mai di poesie, qui.
Per lo più perché non ne leggo. ovviamente, o meglio, può capitare qua e là che prenda un libro e ne legga una, ma, da lì a leggere un libro completo, sì, mi è difficile.
Questo invece sì.
Per tanti motivi.
Primo, vi dissi già, ma se non ve lo dissi poco male, che ho costruito, rubando libri un po’ qua e un po’ là, una biblioteca di libri vecchi, di roba strana, folle, tipo che so, i 4 tomi galattici delle bio di Casanova, piuttosto che la storia della Cina o le poesie dei poeti russi della rivoluzione e altre millemila cose tra cui, però, anche roba di valore, che so che è bello avere per averla, avendola o non avendola letta.
Ecco che ci sono dei Calvino, dei Borges, Bukovski e insomma, pure le poesie di Sereni.
Due, poi, perché Sereni, questo ermetico atipico, è stata la Elena fiorentina, a farmelo conoscere, e insomma, me ne ha fatte conoscere tante, di cose belle, e questa è una di quelle a cui sono più affezionato, ché io di poeti ne conosco pochi e questo è uno di quei pochi.
Ecco che quando avevo qualche minuto, magari di sera, di notte va, meglio, lo pigliavo in mano, per leggere, con calma, lentezza, riflessione, gusto di assaporare le parole, questa raccolta di Sereni, figlia della sua esperienza bellica in Africa. Poi una notte m’è capitato d’avere un’ora, sotto la luce di un lampione in un parco X e dover aspettare leggendo questo. E poi l’altra notte, l’ho finito.
Insomma… mi son detto, è pur sempre un libro, perché non dire a qualcuno che questo poeta ha tanto valore, e che le sue poesie, non facili, questo no, ma che quando ti si schiudono riescono a farti capire perché quelle che leggi in giro non sono poesie e queste invece sì. Ti sembra di vederlo, a volte, il tempo che Vittorio ci ha messo a cercare una parola, quella giusta, ché non può essergli arrivata subito, tanto è perfetta.
E allora, senza chiacchierare troppo, io apro un po’ il libro a caso e vi metto cose che mi sono piaciute. Versi, non poesie intere. Lo so che non dovrei, che una poesia è un intero e bla bla bla, ma il blog è mio e faccio quel che mi pare.
Tipo questo pezzo, preso da Dimitrios
Alla tenda s’accosta
il piccolo nemico
Dimitrios e mi sorprende,
d’uccello tenue strido
sul vetro del meriggio.
Non torce la bocca pura
la grazia che chiede pane,
non si vela di pianto
lo sguardo che fame e paura
stempera nel cielo d’infanzia.
Oppure questo flash preso proprio da quella che dà il titolo alla raccolta
Sfumano i volti diletti, io resto solo con un gorgo di voci faticose.
E la voce più chiara non è piùche un trepestio di pioggia sulle tende,un’ultima fronda sonorasu queste paludi del sonnocorse a volte da un sogno.
E ancora,
chi va nella tetra mezzanotte
dei fiocchi veloci, chi l’ultimo
brindisi manca su nere
soglie di vento sinistre
d’attesa, chi va...
E infine, e chiudo, con una tra le più celebri, che credo ficchino nelle antologie. Facilotta, forse, ma immediata, musicale, molto d’impatto.
Non sanno d’esser morti
i morti come noi,
non hanno pace.
Ostinati ripetono la vita
si dicono parole di bontà
rileggono nel cielo i vecchi segni.
Corre un girone grigio in Algeria
nello scherno dei mesi
ma immoto è il perno a un caldo nome: ORAN.
E avete capito, insomma, che sono tutte un po’ malinconiche, ma anche molto dolci e con sempre, dentro, la speranza, anche se nel 43 non è che c’era poi tanto da divertirsi.
Direi basta, magari vi è venuta voglia di saperne di più, sul buon Sereni, e se vi capita qualcosa di suo, per le meni, gli darete un’occhiata. Magari invece vi fa schifo. In entrambi i casi, per me, è indifferente. 😀