
“Azrael” di Pierluigi Porazzi****
Capita raramente che io legga un libro nuovo, ma di cominciarlo dopo due giorni dall’uscita e terminarlo in un paio di pomeriggi, è ancora più raro. Eppure stavolta l’ho fatto, evviva! Ed è tutta colpa di Pierluigi, e del suo Azrael.
Eh già, perché credo fosse un paio di sabati fa, circapiùmenoquasi, che sono riuscito a fare un giro alla prima presentazione; il libro era uscito il giorno prima, credo, e siamo al numero tre.
Uh… la solita trilogia… starete già dicendo… e in effetti, ambientazione e personaggi sono gli stessi, ma i legami tra le tre vicende, benché forti, soprattutto tra questo lavoro e il primo, sono strutturati in modo da permetterne una lettura separata senza grosse perdite.
Certo, più bello se uno si è letto l’ombra del falco, prima, e Nemmeno il tempo di sognare, poi, però, anche io che l’ho fatto, vi dico che non è che mi ricordavo le cose a tal punto da.
A parte il protagonista, Alex Nero, che oramai s’è imparato a conoscere, e un villain coi fiocchi, il senatore Ristagno, che non te lo dimentichi, ecco che gli altri, i colleghi poliziotti di Nero, piuttosto che la sua donna nuova, o i vecchi casi, ecco che emergono dalla memoria pian piano, richiamati dalle righe, e dalle piccole analessi messe ad hoc, che non appesantiscono mai.
Ecco perché, per dire, ieri in biblio, a uno che aveva in mano questo e voleva sapere se, ho detto che poteva tranquillamente partire da questo senza troppi problemi.
Alla fine, tenete conto, siamo di fronte a un thriller, che fa della rapidità – della scrittura e degli eventi – uno dei suoi punti di forza e mescola un bel po’ di giallo ad avvincere. Credi di averlo capito, chi è il nuovo killer, ma sai che non sarà chi credi tu, e quindi cominci a pensare a chi può essere, e alla fine – almeno io – resti fregato. Perché sì, si riparte da un omicidio brutale, in quel di Udine, con lo stesso modus operandi di chi è in galera. E allora? Mentre polizia e media si chiedono se sia veramente Cristiano Barone il colpevole, o se siamo di fronte a un emulatore, Porazzi fa una scelta chiara: mette molte carte scoperte, in faccia al lettore. Lo sappiamo subito che Barone è colpevole e c’è un suo seguace, così come sappiamo che il seguace segue le sue indicazioni, e vuole, in un certo modo, scagionarlo. E sappiamo anche che l’odio verso Nero è ancora vivo e in fiamme, e che, come giù in passato, saranno i suo affetti a venire presi di mira.
Sullo sfondo Udine, e più in generale il nord-est. E ritornano alcuni giudizi dell’autore infilati tra le righe: giudizi che si percepisce essere tristi, quasi rassegnati, alla decadenza del nostro costume e della nostra umanità. Dico nostra intesi come società, come essere umano che convive.
Già nel passato lavoro erano diverse le escursioni a voler dare un taglio sociale a molti momenti, e qui, questo aspetto, non lo si dimentica. Si migliora però. Te lo devi andare a leggere tra le righe, la critica a noi uomini di oggi, senza cuore e senza scrupoli, che poi, in realtà, la si trova anche nella citazione di Calvino, a inizio libro. Una frase molto celebre, quella sull’inferno dei viventi, e ho chiesto all’autore se c’era attinenza a con il resto, per esempio con Azrael, l’angelo della morte – così si fa chiamare il killer) ma no, è proprio la stessa idea che ho io, di questi tempi, dove tutti noi dobbiamo cercare di far durare ciò che non è inferno.
Ma vediamo di parlare del libro.
Si inizia con un paio di brevi flashforward, messi lì apposta per dare delle direzioni che ovviamente non saranno poi quelle volute. Il primo, con Nero che è pronto per ammazzare o farsi ammazzare dal Teschio, è efficace, quando nel finale ce se ne ricorda. Il secondo è utile ma forse non indispensabile.
Vi lascio, come è mio costume, qualche riga da leggere, giusto per capire.
Mettiamo l’incipit, che vi dice subito cosa accade… come si comincia:
Una sfilata di moda al Castello. Lei era lì da sola; l’amica che avrebbe dovuto accompagnarla le aveva dato buca. Al termine della sfilata si aggirava annoiata tra la gente. Poi lo aveva visto. L’uomo che aveva conosciuto in palestra. Alto e robusto, il fisico imponente, come piace a lei. Avevano parlato, mentre il buffet veniva preso d’assalto. Il tempo era passato senza che se ne accorgesse. Aveva guardato l’orologio quasi incredula. «Adesso devo andare.»
«Ti accompagno» aveva detto lui.Stavano camminando sotto i portici della Loggia del Lionello quando l’uomo aveva emesso un verso strano, piegandosi sulle ginocchia. Si era avvicinato al muro, dandole la schiena, continuando a lamentarsi.«Ti senti male?» gli aveva chiesto Flora, sfiorandogli la schiena con le dita.Lui aveva agitato la mano, come a chiederle aiuto. Flora si era avvicinata ancora, cercando di controllare la nausea. Non aveva mai sopportato la vista di qualcuno che vomita, si sentiva male anche lei. Per fortuna sembrava che non avesse ancora rimesso. È accaduto tutto talmente in fretta che lei non si è resa conto di nulla. Il braccio dell’uomo che le ha circondato le spalle, qualcosa – un ago, forse – che le ha punto il collo; una sensazione strana, di stanchezza, che l’ha assalita improvvisa. La testa che girava, le palpebre che non riusciva più a tenere aperte. Subito dopo il buio. Non si ricorda nulla. Non si ricorda che l’ha sorretta, mentre perdeva conoscenza, conducendola fino alla sua auto come se fosse ubriaca.E adesso non sa nemmeno dove sia, e perché sia nuda.Il respiro affannato, scosta le lenzuola. Sta per scendere dal letto quando perde l’equilibrio e cade a faccia in giù. Fa appena in tempo ad appoggiare le mani sul pavimento, evitando di battere la testa. Qualcosa le ha trattenuto la gamba destra, all’altezza della caviglia. Forse è impigliata nelle lenzuola. La tira verso di sé con un movimento nervoso, ma non riesce a muoverla. Si gira, per cercare di liberarla. E vede la corda che le stringe la caviglia. Una fitta di paura le attraversa le viscere. Frenetica, cerca di sciogliere il nodo.Il tocco di una mano sulla spalla la fa sobbalzare.«Non penserai di andartene così presto?» L’uomo è in piedi dietro di lei.Flora scuote appena il capo, «No, però adesso slegami» gli dice.«Certo.»La lama di un coltello le passa davanti al viso, si abbassa verso la sua gamba e inizia a tagliare la corda. È sufficiente la vista della lama a paralizzarla, gli occhi sbarrati da cui stanno scendendo delle lacrime.«Ecco. Adesso non sei più legata.»Flora si alza lentamente, dandogli sempre la schiena, e cammina verso i suoi vestiti. Li raccoglie dal pavimento e li stringe tra le braccia. «Posso andare in bagno?» chiede, girandosi verso di lui.Lo osserva per la prima volta da quando si è alzata dal letto. Non riconosce quasi più l’uomo che si trova di fronte. La luce che scorge ora nei suoi occhi è fredda e nera, diversa da quella calda e blu della sera prima.Lui le si avvicina senza rispondere. La afferra per un braccio e la getta sul letto. I vestiti le cadono dalle mani, volando nella stanza. L’uomo salta su di lei, premendole il corpo contro il suo, e le punta il coltello alla gola. «Non ho ancora finito, con te» sibila. Poi affonda la lama nella carne.
Insomma… luoghi friulani sempre ben presenti e una scrittura che nella parte dell’azione si è fatta piuttosto secca, trovando un suo stile, molto adatto al genere. Poi ci sono le parti di decompressione, con un paio di vicende laterali che, sempre ai lettori, vengono rese note, ma lasciano la polizia decisamente nel caos. Una soprattutto. Un biondo capellone palestrato nazifascista direttamente dall’est europa e perché? Per fare cagnara! Eh già, perché alla politica serve confondere le acque, agitarle, guidare i media, mettere una bomba qua, picchiare un nero là… e poi orchestrare manovre sulle responsabilità, dirigere e gestire. Una strategia del terrore che si è evoluta e modificata, ma nelle fondamenta pare essere sempre la stessa. Ecco,,, in questo scenario si muove l’indagine: qualche morto subito, Nero e un suo collega che indagano e sembrano davvero essere fuori strada, ingannati, e a malapena portati sulla strada verso il colpevole dalla loro abilità e intuito. Non sono eroi di un colore solo però, e qualche cappella la fanno.
Sulla trama non vi dico altro.
Anzi sì. Vi sono un paio di colpi di scena tipicamente deaveriani, giocati con un salto temporale in avanti e la scoperta di ciò che è successo. Funzionano, anche se in quello più grosso, non ci si casca del tutto e si capisce che la soluzione del giallo è ancora lontana. Nulla di male.
Posso dirvi che è uno di quei libri che, bene o male, ti porta avanti, e si fa leggere fino alla fine, la struttura a brevi capitoli si è affinata e la scrittura ha perso quei momenti di stanca sociale che erano un piccolo difetto del precedente. Vediamo se trovo un altro pezzo da farvi leggere, dove non c’è azione ma le cose corrono veloci lo stesso…trovato!
Scaffidi è il capo del dipartimento che gestisce l’indagine, e non resterà fuori dalle mire del Teschio e dei suoi crimini… ma eccovi qualche sua riflessione, che come vedete si dilunga poco e presto si ferma. E direi, che secondo me, questa è la giusta misura. Né troppo, né troppo poco.
Scaffidi si alza e lo interrompe con un gesto della mano. «Abbiamo i mezzi e le risorse per occuparcene noi, di qual-siasi cosa si tratti. Nero è ingestibile, se ne frega dell’autorità e degli ordini. Lo chiamavano “il giustiziere”, in questura, dopo che era stato sospettato di aver ucciso un pedofilo conosciuto come Lucignolo.» Percorre lentamente la stanza, fino a trovarsi di fronte alla finestra, dando la schiena al suo collega. Fa un respiro profondo e guarda fuori. Una nebbia densa che sembra cotone, dalla quale escono come proiettili le auto che percorrono il viale, tutte ben oltre il limite di cinquanta. Sembrano apparire dal nulla per sparire di nuovo nel nulla. Riesce a malapena a scorgere la rotonda di piazzale xxvi luglio. Che tempo da schifo, pensa. Non fa molto freddo, per essere novembre, ma è da settimane che non vede una giornata di sole. Sembra che sia sparito. Piove per qualche giorno, poi sale questa nebbia da film dell’orrore, e riprende di nuovo la pioggia. Sarebbe stato meglio restare a letto, avrebbe potuto darsi malato.
Si era illuso troppe volte che la sua vita sarebbe cambiata. I colleghi gli avevano decantato Udine e il Friuli, prima che si trasferisse. Ma lui non ha trovato niente di diverso da Torino, dove ha passato l’infanzia. E adesso è stufo di sentire tutti che si lamentano, che parlano di “un’isola felice” (In- non esiste più. Di sentire che una volta “non si chiudeva a chiave neanche la porta di casa”. E stanco di questa città, di questo tempo, di pioggia e nebbia, di questa vita.L’estate scorsa lui e sua moglie sono tornati in Puglia, a Molfetta, dai genitori di lei. Vorrebbe essere ancora lì, sotto il sole, a respirare l’aria del mare. Si accarezza il mento. Non si è rasato bene, stamattina. Alcuni peli sono troppo lunghi, gli pungono le dita. Deve ricordarsi di dare un’altra passata col rasoio, quando torna a casa per pranzo. Il suono della porta che si richiude lo fa sobbalzare. Si gira e la stanza è vuota. Velluto se n’è andato senza nemmeno salutarlo. O forse lui non l’ha sentito. Scrolla le spalle e riporta lo sguardo sulla strada.Strano fare un mestiere come il suo e sentirsi inutile. Eppure gli succede quasi ogni giorno. Non che sia entrato in polizia per fare la vita che si vede nei film americani; lo sapeva benissimo che sarebbe stato un lavoro senza grosse emozioni. Ma a lui andava bene. così. Non è mai stato un uomo di grandi ambizioni, né di grandi sogni. La sua è stata una scelta casuale, come per molti suoi colleghi. Un concorso fra i tanti, e l’appoggio dello zio di sua moglie, un assessore regionale. Per lui vincere il concorso per entrare in polizia o quello per entrare in posta era la stessa cosa. Il posto sicuro. Quello era l’obiettivo, suo come di migliaia di altri, in un Paese che già vent’anni fa iniziava a scricchiolare. Da qualche anno, però, sente una sensazione di inutilità che lo pervade. Come se volesse lasciare qualcosa, prima di morire. Qualcosa per cui essere ricordato. Chissà, forse sarà solo il tempo che passa. Ormai è vicino ai cinquanta. Gli piacerebbe poterne parlare con qualcuno. Ma Teresa, sua moglie, non capirebbe. I parenti meglio lasciarli perdere. Potrebbe parlarne con un collega, ma con chi?
Bene. Sapete che vi dico? Che vi ho parlato abbastanza. Come al solito, soprattutto se siete amanti dei thriller, dei gialli e delle storie un po’ crude ambientate a casa nostra, leggetevelo. Io ci ho impiegato due pomeriggi in cui ero andato a pigliare sole e direi che è proprio una buona lettura estiva, molto scorrevole e avvincente. Per il resto, grazie Pierluigi, e avanti così!
Anonimo
Grazie mille! 🙂 Bellissima recensione!
Però al tipo in biblio dovevi consigliare di comprarlo…! 😀
gelostellato
Naaaa l'aspirazione di uno scrittore vero è prima, essere letto, e poi comprato. 😛