"Colazione da Tiffany" di Truman Capote****

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"Colazione da Tiffany" di Truman Capote****

No, non è questa la copertina dell’edizione che ho letto, ma la foto sì, è quella, e lei è proprio lei, Holiday Golightly, nel film, ovviamente, talmente tanto celebre che io, non l’ho visto oppure l’ho visto e non lo ricordo.
E sono contentissimo così, perché nella mia via del recupero di libri PEM e di libri PSF, questo era nella seconda classifica, vuoi per il film, vuoi per il libro stesso, vuoi per Tiffany, o addirittura vuoi per la canzone, che mi è sempre piaciuta, seppur sempliciotta, ma che trovo allegra e scanzonata.
Tra l’altro, non so per quale associazione di idee, la avvicino alla canzone degli Stereophonics, have a nice day, che c’entra sì con la colazione, ma finita lì.
E sono contento di non aver visto il film, o di non ricordarmelo, perché dopo aver visto le differenze dal film sono quasi inorridito. 
Ma come si fa? 
Un finale completamente fuori luogo, rispetto a quello aperto e malinconico che ben si confaceva a questo meraviglioso personaggio, e una detrazione – sempre su holly – che ne riduce carattere e azioni… Quindi, metti caso che dovete scegliere tra libro e film, prima il libro.
Poi, la Hepburne, benché Capote indicasse Marilyn come personaggio su cui era tagliato il suo, dicevo, la Audrey è perfetta. Non ti viene in mente una persona diversa da questa, leggendo, e vi assicuro che Holly è un personaggio così meravigliosamente complesso, misterioso e folle che trovare un interprete diverso, ora, mi sembra improbabile.
Ma cominciamo dall’inizio. L’inizio è la fine, qui. Il nostro narratore scopre una traccia di Holly, Holiday Golightly, in transito, questa vicina di casa che scopre e di cui, ovviamente, come tutti, come chiunque, si innamora. 
Holly che è disorganica, ballerina, frivola, eppure tragica, romantica, sognatrice, sciocca, egoista, ma anche generosa. Imprendibile e sfuggente, direi, come un gatto, che poi, importantissimo è quel personaggio,. quel gatto, quel suo contraltare, senza nome,. come lei, che di nome non fa certo Holiday, senza passato, o meglio, con un passato che va e dev’essere dimenticato, come lei, e senza futuro, o meglio, con tutti i futuri possibili, dall’Africa, al Brasile, alla prigione, alla morte, alla vita qualsiasi.  Insomma… se volete incontrare un personaggio strano, e un romanzo, alla fin fine, strano, Colazione da Tiffany sarà anche del 1959, ma non è invecchiato per nulla. Certo… lo sfondo, lo sfondo invecchia: quella New York è una città che ti scaraventa in quella che conosciamo dai film, da tutti quei film dell’epoca che hanno costruito il nostro immaginario, ma a parte Tiffany, che è solo citata, per dare il titolo, ecco, a parte quella, l’America della grande mela non sovrasta il personaggi, né la storia, eppure è presentissima. 
Dove… mmm… non lo so, ci devo pensare.
E’ presente nel boss mafioso italo americano che Holly scioccamente va a trovare a Sing Sing portando – inconsciamente, ci fa credere lei, ma sappiamo che è tutto tranne che stupida – i suoi messaggi fuori dal carcere; è presente nel brasiliano che svolge un ruolo politico, nella modella balbuziente, altro personaggio fantastico, nella ricchezza che circonda ma è sempre sfiorata, così come Holly, o farei meglio a chiamarla Lulamae, anela e sfiora un mondo che non è suo, ma invece, alla fine, è più suo di altri. 
Perché se c’è una vip, una che vive da grande, ecco, questa è lei. Nonostante tutto.
Il mondo di uomini e cose e bicchieri e lusso e auto e negozi e regali di cui si circonda è qualcosa che pare aver creato lei, intorno, e che si sgretolerà non appena lei se ne andrà. Insomma… c’è tanto USA dell’epoca, in questo libro, anche se è tutto filtrato dai personaggi, e molto, dall’io narrante, dall’aspirante scrittore, di cui sappiamo molto e poco, alla fin fine
Ma c’è una cosa, di cui non mi rendevo conto, leggendo, che ho capito solo alla fine, con la storia del gatto. Non capivo perché fossi tanto affascinato da questo personaggio, assolutamente tragicamente frivolo, eppure, si intuisce, profondo (e oscuro, direi). La Holly piena di uomini, e sfruttatrice, e inaffidabile, bene o male, sono io, in un certo modo. La holly che non si affeziona, soprattutto, o dice di. Ma che se lo fa è per cose che non sono quelle degli affetti normali… quelli no. Gli uomini e le persone in generale, non sono per lei qualcosa di così rilevamente, pur essendo la totalità del suo mondo. 
Comunque, ora vedo di cercare un pezzo su Holly, va, che magari ve lo faccio leggere.
Ah, trovato. Lo ricopio che non ho lo scanner a portata di mano va. Tenete presente che il libro è quasi tutto gestito in analessi, e qui siamo all’inizio o quasi, quando il nostro scrittore la conosce.

Ma la nostra conoscenza sbocciò solo a settembre, in una sera percorsa dai primi brividi dell’autunno. Ero stato al cinema, ero tornato a casa, mi ero preparato il whisky della staffa, e mi ero coricato con l’ultimo Simenon; mi sentivo così a posto che avvertii un disagnio crescente solo quando mi accorsi che il cuore mi batteva forte. L’impressione di essere osservato. Da qualcuno che era nella stanza.  Poi, un improvviso tamburellare alla finestra, una rapida visione di un fantomatico grigio; rovesciai il whisky. Mi ci volle un po’ prima di decidermi ad aprire la finestra e a domandare alla signorina Golightly che cosa voleva.

“Ho in casa il più spaventoso degli uomini,” mi rispose, passando dalla scala di sicurezza nella mia stanza. “Intendiamoci, quando non è ubriaco è simpaticissimo, ma se attacca col vino, Dio, che bestia diventa. Se c’è una cosa che non posso sopportare sono gli uomini che mordono.” Scostò da una spalla la vestaglia di flanella grigia per mostarmi che cosa succede quando un uomo morde. La vestaglia era tutto quel che aveva addosso. “Scusatemi se vi ho spaventato. Ma quando quella bestia ha cominciato a diventare seccante, sono uscita dalla finestra, semplicemente. Immagino che lui mi creda in bagno, non che mi importi un accidente di quello che crede, che vada al diavolo, si stancherà, si metterà a dormire: deve farlo, santo Dio, con otto martini prima di cena, e abbastanza vino per fare il bagno a un elefante. Sentite, potete buttarmi fuori, se volete. Non è molto educato da parte mia imporvi la mia presenza in questo modo.  Ma faceva un freddo maledetto sulla scala di soccorso. E voi, qua dentor, avevate un’aria così beata. Come mio fratello Fred. Dormivamo sempre in quattro in un letto, e nelle notti fredede era il solo chemi permettesse di stargli vicina. A proposito, vi dispiace se vi chiamo Fred?”

Ecco… e poi c’è la descrizione di lei, degli occhi,  “molto grandi, un po’ azzurri, un po’ verdi, con piccoli punti bruni; variegati, come i suoi capelli, e, come i suoi capelli, avevano una sfumatura calda, viva.”
E poi, lei che dice che la stanza è degli orrori, e quell’altro si offende, e le dice che ci si abitua a tutto e lei:
Io no. non mi abituo mai a niente, io. Chi si abitua a tutto tanto vale che muoia.”
Ecco… e bene o male qui pronuncia la sua condanna, che poi è una cosa che penso pure io, e mi chiedo se sono condannato, e forse sì, lo siamo tutti non che ci stufiamo di tutto. Lei che se ne va dalla campagna, arriva a NY così, mantenuta, ha l’occasione per fare l’attrice, ma alla fine, è un lavoro, e non ha nessuna voglia di lavorare, dinon essere più lei, ma va avanti, in pratica, a farsi mantenere in qualche modo, un po’ troietta e un po’ no, ma sempre elegante, sì, elegantissima dentro.
Ah, ecco che ho trovato il pezzo che si rifersce ai suoi biglietti da visita, comprati da Tiffany.

“Perché in transito?”
“Sul mio biglietto da visita?” domandò, sconcertata. “Vi pare buffo?”
“Non buffo. Provocante.”
Si strinse nelle spalle. “Dopo tutto, come faccio a sapere dove sarò domani? Così ho detto che scriverssero in transito. In ogni modo, ho buttato via i soldi quando ho ordinato quei biglietti da visita. Ma sentivo che, come minimo, dovevo copreare una cosa, anche piccola. Sono di Tiffany.”.

Sì, perché poche righe prima diceva:

“Non voglio dire che non mi interessi diventare ricca e celebre. Sono cose che ho in programma, e un giorno o l’altro cercherò di raggiungerle; ma, se dovesse succedere, il mio ego me lo voglio portare appresso. Voglio essere ancora io uando mi sveglierò una bella mattina e andrò a fare la prima colazione da Tiffany.”
Ecco… direi che riassume bene il suo modo di intendere la vita e soprattutto la sua difficoltà a trovarci un posto comodo, dentro lì, nella vita. 
E direi basta… posso riporre questo libro ed essere contento. Era un personaggio da conoscere, Holiday Golightly, non lo si dimentica facilmente.

Comments

  • 29 Marzo 2015

    Ebbene sì. Per una della mia età è stata un mito.

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  • 29 Marzo 2015

    A me è piaciuto lo stile narrativo di Capote, più che il personaggio di Holly.

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