“La vita davanti a sé” di Romain Gary****

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“La vita davanti a sé” di Romain Gary****

Non ho il tempo materiale per andare a correre oggi, e allora taglio legna, ché mi basta star fuori, un po’, visto che alle quattremmezza è già ora di.
E però mi va di cominciare questo post, fuori e dentro casa, mentre ascolto il nuovo verdena (dentro) e bevo una coca (fuori) indeciso su cosa aggiungere al sugo di pomodori olive nere e peperoncino per farmi una pasta, stasera. 
Ecco… è un animo un po’ che così, che mi fa pensare che questo libro è bello, ma di una bellezza che te la devi andare a cercare un po’ tu, perché a tratti ti arriva, ma a tratti devi volerla vedere.
Perché?
Perché di libri scritti dal punto di vista di un bambino ce n’è tanti, e di libri in cui si gioca sull’innocenza dei piccoli e la loro visione del mondo, anche, e non sono sempre facili da gestire. Anzi… di solito puoi cadere nella comicità eccessiva, o nella irrealtà delle considerazioni, rischiando di sacrificare anche buone intuizioni. 
Mi è venuto in mente, leggendo questo, il libro di Sholem Aleichem, in cui era sempre un piccolo ebreo a raccontarci questioni di religione e di vita povera, ma anche visioni del mondo.
Non sono vicini, questi due libri, se non altro perché questo romanzo di Gary, La vita davanti a sé  – scrittore figaccione morto suicida come al solito – ha avuto un gran successo postumo, se non altro per aver vinto premi sotto altro nome. Ma non mi interessano, queste questioni. Dicevo del parallelismo, e che è simile ma lontano. Il bambino, qui, è un figlio di puttana. No… tranquilli, intendo che è proprio un figlio di una puttana, musulmano, si chiama Mohamed, come tutti, ma lo chiaman tutti Momò. 
Qui non si vuole dare una visione dal di dentro della parte religiosa e sociale, o meglio, se la si dà e talmente filtrata dagli occhi di Momò – che intendiamoci, è normale, ma troppo sensibile per il mondo in cui vive – che insomma, la via con cui questo libro ti rende cosciente di realtà lontane da quella occidentale e socialmente accettabile è mediata, indiretta.
Mi spiego… Momò è figlio di puttana, a Parigi, dove i figli delle puttane, a pagamento, finivano da ex puttane che gestivano case dove ospitare, e magari tentare di adottare, sti bambinelli, che ogni tanto avevano una madre, che fra una marchetta e l’altra li veniva a trovare, e ogni tanto no. Come Momò, che non ha nessuno, ed è ospite fisso di Madame Rosa.
E Madame Rosa, più di Momò, è un personaggio che vi resterà dentro.
Ma ora vado a tagliare qualcosa, mentre penso a Madame Rosa, che è bello anche pensarci, ai personaggi che conosci nei libri.
Eccomi qua. Ho tagliato un po’, ora attaccato l’acqua calda, Obama si rotolava per terra, tocca coccolarlo, Bin no, mugola di invidia, tocca coccolarlo, E’ morta una delle tartarughe, credo Garappa, sono nati due pulcini, due soltanto, ma col freddo… e la mia tutta puzza di cimice, e amen, la butterò a lavare. E sulla sedia del bagno ho rimesso un libro, le favole dei fratelli Grimm, quelle vere. Ieri sono andato al bar senza portafoglio, era in macchina, sono andato in macchina lasciando tutto lì, e ci sono arrivato dimenticandomi le chiavi, lasciate nel giubbotto, e così l’ho fatta due volte, e non ho letto nulla o quasi, ed erano solo le nove, e le giornate, poi, piene così, che avevo tredici ore di fila e boh, sembrano così piene da non essere riempite più e invece le si riempie ancora.
Così mi sembra Momò, nella sua visione della vita. Momò che soffre di non avere nessuno, e odia e ama Madame Rosa, che è ebrea, che è stata in lager, che è piena di paure, che si fa difendere da un magnaccia, che alleva i figli come può, che è tenera, tenerissima, e grassa, grassissima, e che quei sei piani, li vive come un calvario, che nulla è al confronto del calvario del passato, e insomma… è davvero indimenticabile. E anche il corollario di Momò, Lola la puttana travestito ex boxeur che è generosa quanto mai, il medico mussulmano mezzo cieco, o il rabbino vecchione un po’ tocco che crede di parlere con Dumas, o il signor Waloumba, africano vero, con tanto di riti e danze, e anche tutte le altre puttane, o la doppiatrice, o insomma… c’è davvero un microcosmo di miseria e gioia, in questo libro. E’ in corsa per essere PEM, e io dico che si merita davvero di diventarlo, perché magari ci fai due risate, ma quella vita, quella dei figli di puttana, quelli veri, è qualcosa che ti resta, che impari, così come questo mescolarsi di nozioni religiose, afromussulmanebree, che passano per Momò e arrivano al lettore masticate e distrutte, innocue.
Vediamo… bisogna che vi faccia leggere qualcosa. Vado a cercare… Trovato.
Il libro è quasi tutto bello, ma nella parte centrale mescola tragicità e innocenza in modo sublime. Vi faccio leggere questo pezzo, dove il dotto Katz ha appena visita Madame Rose.

«Chi è il più grande tra voi?»
Gli ho detto che era Momò come al solito perché non sono mai stato abbastanza giovane per evitare le scocciature.

«Bene, Momò, adesso faccio una ricetta e tu andrai in farmacia».
Siamo usciti sul pianerottolo e lì mi ha guardato come si fa sempre quando si vuoi far compassione.
«Ascolta, piccolo mio. Madame Rosa è molto malata».
«Ma non avete detto che il cancro non ce l’ha?»
«No che non ce l’ha ma, francamente, è molto grave, molto grave».
Mi ha spiegato che Madame Rosa aveva addosso tante malattie che bastavano a parecchie persone e che bisognava portarla all’ospedale, in una stanza grande. Mi ricordo benissimo che mi ha parlato di una stanza grande, come se ci volesse molto spazio per tutte le malattie che aveva addosso, ma ho pensato che dicesse così per descrivere l’ospedale a tinte incoraggianti. 
Io non capivo i nomi che il signor Katz mi elencava con soddisfazione, perché si vedeva che aveva imparato molte cose su di lei. La cosa che ho capito di meno è stato quando mi ha detto che Madame Rosa era troppo tesa e che le poteva prendere un attacco da un momento l’altro.
«Ma soprattutto è la senilità, il rimbambimento, se preferisci». Io non preferivo niente, ma non era il caso di discutere. Mi ha spiegato che Madame Rosa si era ristretta nelle arterie, le canalizzazioni le si chiudevano e non circolava più come doveva.
«Il sangue e l’ossigeno non alimentano più adeguatamente il cervello. Non potrà più pensare e vivrà come un vegetale. Può durare ancora molto e può darsi anche che per anni abbia degli sprazzi d’intelligenza, ma non perdona, figlio mio, non perdona».
Mi faceva ridere con quel modo che aveva di ripetere «non perdona, non perdona», come se ci fosse qualcosa che perdona.
«Ma non è il cancro, non è vero?»
«Assolutamente no. Puoi stare tranquillo».
Era comunque una buona notizia e io mi sono messo a frignare. Mi faceva terribilmente piacere che si evitasse il peggio. Mi sono seduto sulla scala e ho pianto come un vitello. I vitelli non piangono mai ma l’espressione vuole così.
Il dottor Katz mi si è seduto vicino sulla scala e mi ha messo una mano sulla spalla. Con quella barba assomigliava al signor Hamil.
«Non bisogna piangere, figlio mio, è naturale che i vecchi muoiano. Tu hai tutta la vita davanti».
Cercava di farmi paura quel porco, o cosa? Ho sempre notato che i vecchi dicono: «Sei giovane, hai tutta la vita davanti», con un sorriso buono, come se gli facesse piacere.
Mi sono alzato. Be’, adesso sapevo che avevo tutta la vita davanti ma non me ne sarei fatto certo una malattia.
Ho aiutato il dottor Katz a scendere e sono risalito in fretta per annunciare a Madame Rosa la buona notizia.«E fatta, Madame Rosa, adesso è sicuro, il cancro non ce l’avete. Il dottore su questo punto è categorico».
Ha fatto un sorriso immenso, perché denti che le restano non ne ha quasi più. Quando Madame Rosa sorride diventa meno vecchia e racchia del solito, perché ha conservato un sorriso molto giovanile che le fa come una cura di bellezza. 
C’è una sua fotografia di quando aveva quindici anni, prima degli stermini dei tedeschi, e non ci potevi credere che ne sarebbe venuta fuori Madame Rosa, quando la guardavi. Ed era la stessa cosa dall’altra parte, era difficile immaginare Madame Rosa a quindici anni. Non c’era nessun rapporto. Madame Rosa a quindici anni aveva una bella capigliatura rossa e un sorriso come se davanti a lei ci fosse un mucchio di cose buone e lei ci stesse andando. Mi veniva mal di pancia a vederla a quindici anni e poi adesso, nel suo stato. La vita l’ha sistemata, come no. 
Certe volte mi metto davanti a uno specchio e cerco di immaginarmi come sarò quando la vita avrà sistemato anche me, ci provo con le dita tirandomi le labbra e facendo delle smorfie.
E stato così che ho annunciato a Madame Rosa la notizia più buona della sua vita, che non aveva il cancro.
Alla sera abbiamo aperto la bottiglia di champagne che ci aveva offerto il signor N’Da Amédée per festeggiare che Madame Rosa non aveva il peggior nemico del popolo, come diceva lui, perché il signor N’Da Amédée voleva anche fare della politica. Lei per lo champagne si è rifatta tutta bella e perfino il signor N’Da Amédée è sembrato meravigliato. Poi se ne è andato e nella bottiglia ce ne restava ancora. Ho riempito il bicchiere a Madame Rosa, abbiamo fatto cin cin e ho chiuso gli occhi e ho messo l’ebrea a marcia indietro fino a quando non ha avuto quindici anni come nella fotografia e così sono perfino riuscito a baciarla. Abbiamo finito lo champagne, stavo seduto su uno sgabello vicino a lei e cercavo di fare la faccia contenta per incoraggiarla.
«Madame Rosa, tra poco ve ne andrete in Normandia, i soldi ve li darà il signor N’Da Amédée».
Madame Rosa diceva sempre che le vacche erano le persone più felici del mondo e sognava di andare a vivere in Normandia dove c’è Tarla buona. Credo di non avere mai desiderato tanto di essere un poliziotto come quando stavo seduto sullo sgabello tenendole la mano, tanto mi sentivo debole. Poi ha voluto la sua vestaglia rosa, ma non si è potuto farcela entrare dentro perché era la sua vestaglia da puttana e negli ultimi quindici anni era troppo ingrassata. Io credo che non si rispettino abbastanza le vecchie puttane, invece di perseguitarle quando sono giovani. Io se fossi in grado mi occuperei unicamente delle vecchie puttane perché le giovani hanno dei prossineti ma le vecchie non hanno nessuno. Prenderei solamente quelle che sono vecchie, racchie e non servono più a niente, sarei il loro prossineta, mi occuperei di loro e farei regnare la giustizia. Sarei il più grande poliziotto e prossineta del mondo e con me nessuno vedrebbe mai più una vecchia puttana abbandonata piangere al sesto piano senza ascensore.
«E, a parte questo, cosa ti ha detto il dottore? Morirò?»
«Non particolarmente, no, Madame Rosa, non mi ha detto specificatamente che debba morire qualcuno».
«Che cosa ho?»
«Non ha spiegato, ha detto che c’era un po’ di tutto, che le so».
«E le gambe?»«Non ha detto niente di particolare per le gambe, e poi sapete bene che per le gambe non si muore, Madame Rosa».
«E cosa ci ho al cuore?»
«Non ne ha parlato in particolare».
«E cosa ha detto dei vegetali?»
Ho fatto il tonto.
«Come, dei vegetali?»
«Ho sentito che diceva qualcosa dei vegetali».
«Bisogna mangiare dei vegetali per la salute, Madame Rosa, e voi ci avete sempre dato da mangiare della verdura. Certe volte non ci avete fatto mangiare altro».
Aveva gli occhi pieni di lacrime e sono andato a prendere della carta igienica per pulirglieli.
«Cosa ne sarà di te senza di me, Momò?»
«Cosa volete che ne sia, e poi non è mica ancora detto».
«Tu sei un bel ragazzine, Momò, ed è pericoloso. Non ti devi fidare. Promettimi che non ti guadagnerai la vita col culo».
«Ve lo prometto».
«Giuramelo».
«Ve lo giuro, Madame Rosa. Per questo potete stare tranquilla».
«Momò, ricordati sempre che il culo è la cosa che un uomo ha di più sacro. Il suo onore sta lì. Non lasciar mai che nessuno ti prenda il culo, anche se ti paga bene. Anche se muoio io e a te non ti resta altro al mondo che il tuo culo, non ti devi far convincere».
«Lo so, Madame Rosa, è un mestiere da donna. Un uomo deve farsi rispettare».

Siamo rimasti così un’ora, tenendoci per mano e questo le faceva meno paura.

Ecco fatto. Vi è piaciuto?

E’ un pezzo lungo, lo so, ma vi lascio solo questo. Secondo me racchiude un po’ tutto.
E che altro dire… Ci sarebbe tanto, ma anche poco. I libri belli hanno sempre bisogno di poche parole, e io non so che tipi siete, cosa apprezzate, ma se vi capita di voler leggere qualcosa di non troppo conosciuto, ma bello, o comunque, anche se non piace, non è che puoi dire che è un brutto libro, proprio no, ecco, questo consideratelo.
Primo o poi leggerò altri Gary, sì, spero di riuscire da maggio in poi a trovare il tempo per.
Vi posso salutare dicendovi qualcos’altro, sul libro. Magari un po’ di trama, una parola chiave, e altre parole. 
La trama è semplice, si racconta di Momò, anzi no, lui racconta di sè, della sua vita al sesto piano del quartiere di Belleville, e del microcosmo che ruota attorno alla pensione per figli abbandonati dalle prostitute e che non può durare per sempre, vista la salute di Madame Rose. Tutto qua.
La parola è tenerezza. Si traveste in tutte le pagine, ma c’è sempre, perché Momò è un animo sensibile, anche quando caga in giro per casa o prende a calci qualcuno, o si approfitta delle puttane.
Le altre sono parolacce: culo, puttana, cazzo, baldracca… tutte dette da un bambino con l’innocenza con cui le sente e le ri-usa. Ecco… non ce n’è nessuna fuori posto.
Basta così, sono le 4 e venti, ho dieci minuti per fare la doccia partire tradire e fuggire. E’ il ricordo che resterà… 🙂

Comments

  • 20 Febbraio 2015

    Mi intriga, già ordinato.
    Grazie

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  • 21 Febbraio 2015

    l'ho comprato pochi giorni fa.

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  • 13 Marzo 2015

    lo stavo per leggere (era sul comodino) quando ho visto il tuo post. Quindi ho aspettato a leggerti a libro ultimato.
    Concordo in toto col tuo commento: un libro amaro e dolce che non risente degli anni, un melting pot più attuale che mai, auspicabile in questi tempi così dolorosi e attuabile forse solo in un microcosmo immaginario.

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  • 20 Aprile 2015

    'Sto libro è un gioiellino, altroché.

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