“L’alba di Arcadia” di Emanuele Delmiglio***
Oggi è sabato.
Ieri l’asfalto si era asciugato del tutto, finalmente, con tutte quelle facce e quelle figure che compaiono e scompaiono via via che.
Oggi piove di nuovo.
Ma tanto, la pioggia è solo un colore, si sa.
Io tra un po’ me ne vado di là, a lavarpiatti e pentole del mio primo cous cous (piccantissimo, ma buono) e a disegnare mostriciattoli sull’agenda nera nuova che mercoledì devo regalare alla vecchia, che compie gli anni. Magari poi, se volete, ve li faccio vedere anche a voi, i disegnini decorativi mostreggianti.
Per ora mi limito a bere il caffè e a parlarvi di questo libro di Emanuele Delmiglio, uscito da pochissimo per i tipi della Solfanelli. L’alba di Arcadia.
Lo so… lo so… vi ho detto che da qui a quando morirò, il prossimo anno, leggerò solo classici o comunque roba consapevolmente bella, e infatti, ora, sto leggendo dei “Racconti italiani del ‘900” e appena li finisco sono indeciso se gettarmi sul pasticciaccio gaddiano, la senilità o la coscienza sveviane o un piccolo sciascia… boh… non so. Vedremo.
E allora perché ti sei letto questo libro nuovo di genere di casa editrice sconosciuto e autore conosciuto soprattutto come editore? Vi starete chiedendo. (Okay, non se lo chiede nessuno, ma se non fingo, come faccio a raccontarvi i cazzacci miei?)
Perché in teoria, poi in pratica non si sa, in teoria lo devo presentare.
Facciamo un passo indietro.
Io Emanuele, a parte qualche mail deqqua e dellà, non lo conosco. O se lo conosco, so solo che è il Delmiglio della Delmiglio editore, che nell’ultimo anno mi ha dato tre cose da scrivere, che gliele ho scritte, e che lui le ha pubblicate (senza mai dirmi se gli andavano bene o meno, per altro, ‘sto maledetto) e magari delle tre cose che ho scritte non ve ne parlo qui, e ci faccio un post appost, soprattutto ora che ho il blog nuovo, anche se vi sembra vecchio,
Fatto sta che è uno che si sbatte un sacco, a presentare i libercoli di noialtri scrittorucoli. Avrà presentato millemila volte Nero per n9ve e io non sono andato mai, anche perché sono sempre più povero e con l’altro ieri, che da tre lavori me ne sono ritrovato uno, gli tiro pacco anche per la prossima veronese. E così lui, che è maledetto, deve aver pensato: scrivo un libro, lo pubblico con un altro editore, vado a presentarlo in Friuli, obbligo gelo a leggerlo e a presentarmi… E l’ha fatto.
L’alba di Arcadia, si diceva. Con una bella prefazione di Crovi e un incipit da tagliare le dita a qualcuno. Ah, sì, perché questa ve la devo raccontare. Comincio a leggere qualche riga, così, senza motivo, per curiosità, tanto per vedere come scrive Emanuele, visto che io, ultimamente, non riesco più ad accettare tante cose altrui da recensire, a causa dei miei tempi schifosi. E insomma… prima riga, tre avverbi in -mente! Eh!?!? No, dico, ma nell’incipit? Ma se è tutto così vado a Verona seduta stante e lo ammazzo, mi son detto. E poi niente, tutto bene, tutto il libro che fila, corretto, gradevole, con uno stile elegante e adatto e sciolto. E nessuna temuta pioggia di avverbi mente-catti. Un sospiro di sollievo, ma che paura… Secondo me lo ha fatto apposta per farmi un dispetto! 🙂
Comunque, che dire. Mi è piaciuto! Sì… l’ho finito in due tre giorni, una volta passata la metà, proprio perché avevo voglia di finirlo. Non è un libro da rivoluzioni, sono concetti e idee che circolano, nella fantascienza, da qualche anno, soprattutto perché molto realistiche.
L’idea di fondo è quella che vedete spesso in futurama: togliete le teste e metteteci solo il cervello, nella soluzione liquida che conserva per millenni le cellule cerebrali di alcuni. Ecco… è questa Arcadia. Riferimenti voluti alla mitologia e al mito che non sono solo in questo nome, ma si ritrovano anche altrove, nel libro. Se Arcadia ci fosse, quindi, non potrebbe che svilupparla che un privato, una Multinazionale, come nelle migliori teorie complottiste. Certo… bisogna valutare il perché, conservare il cervello di qualcuno, e soprattutto il come.
E’ nel perché che si unisce l’idea nuova e il libro diventa a tratti disturbante, o comunque molto denso, dal punto di vista della riflessione. Il perché infatti è il più antico, per l’essere umano: superare la morte. Per questo si pensa al come. Superare la morte e continuare a vivere nel virtuale, permettendo ai propri parenti, genitori soprattutto, di venire a trovarci, di farci visita. Cervelli umani che costruiscono scenari, virtuali, e altri cervelli che vengono a contatto con questi scenari. Un master, quindi, di un videogame o un film o comunque un mondo non reale che ha regole e leggi proprie.
Ma è qui la domanda che ti fai, leggendo.
Se il cervello che continua a vivere nel virtuale ha un certo bagaglio di esperienza e un certo modus operandi nel filtrare e vivere la complessità del mondo, come sarà il mondo che questo si crea? In quali mondi vivrà, chi vivrà per sempre nel virtuale? Non è che finirà per rinchiudersi per sempre “in una telenovela da quattro soldi”?
Ecco… è interessante. O almeno io l’ho trovato tale, questo aspetto, soprattutto leggendo le parti, molto ben confezionate, dove la prosa diventa in stile televisivo e si vive dentro a scenari quali batman o un poliziotto che deve uccidere il solito boss italo-americano, o magari un fantasy, o un’ambientazione di un libro che è piaciuto.
Ecco… il cervello è misterioso, si sa, e la virtualità informatica è anche un gradino sotto, e quindi, anche ammettendo limiti e regole, le ambientazioni rischiano assai di diventare stereotipo. non lo siamo forse un po’ tutti, dentro uno stereotipo di vita normale?
Insomma… questo per me è stato il lato migliore. Poi la storia prende piede, c’è un Villain fin troppo villain e in buono che entra in scena ed è forse fin troppo freddo, come personaggio. Ma c’è un protagonista, un Giuseppe, di Verona, complesso e molto ben disegnato, che vede morire figlio quindicenne di cancro e moglie depressa di suicidio, in rapida successione, e pian piano decide di vivere, di mettere in discussione, di non fermarsi a un comodo – ben pagato eh – mondo virtuale dove trovare i suoi cari e continuare a viverli.
Nella seconda metà c’è molta azione, qualche colpo di scena è prevedibile e qualcuno invece no, lascia piacevolmente stupiti, soprattutto per i trascorsi di Arcadia, nata in contesti non troppo legali, ma che paiono avere, per certi versi, una deontologia morale migliore di quella socialmente perseguita vuoi dalla Hexe, la multinazionale, ma vuoi anche dal medico che nel progetto crede, come attività per migliorare il mondo e la vita umana tutta.
La vicenda si svolge in Italia, soprattutto, Verona, Trentino, Milano… ma con qualche escursus internazionale, perché si sa, che o ti muovi in giro per il mondo, oppure, se sei qualcuno che conta, ti trovano ovunque. Una struttura narrativa fatta di un unico piano temporale cronologico ma di diversi luoghi, con le scene virtuali che si alternano a quelle reali fino, a un certo punto, a confondersi persino. E insomma… te lo chiedi, alla fine, se è meglio un cervello senza corpo, o un corpo senza cervello, per arrivare a pensare che è meglio nessuna delle due. 🙂
E la chiudo qua, che non vi voglio tediare. Emanuele dimmi quand’è quella presentazione che non ricordo più. E poi boh… ah già, i disegnini sull’agenda. Li volete vedere? Okay, ve li mostro, ma non fateli vedere alla vecchia che sennò mi rovinate la sorpresa eh!