"Sogni di Sangue" di Tiziano Sclavi***

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"Sogni di Sangue" di Tiziano Sclavi***

Ce l’ho fatta!
Ho letto anche questo libro di Sclavi. Evviva.
Mi ha fatto piacere, devo dire. Alla fine dopo quella conoscenza casuale con la valle di Scuropasso e quella fortuita con Nero e soprattutto con i Mostri, che assieme a Dellamore Dellamorte resta il mio preferito, ho letto anche questo residuo narrativo: Sogni di Sangue.
Sì, diciamocelo, il titolo fa veramente cagare, e se lo cercate trovate il libercolo da un euro della Newton della Ghinelli, ma io ho letto invece il pezzo d’antiquariato della fu Camunia, scovato in biblioteca, e vi dirò, che pur con alti e bassi, mi è piaciuto.
Il libro è del 1992, sono quattro storie, la prima che dà il titolo al libro, e tutte slegate, a livello di contenuti, ma unite da quello stile sceneggiografico che ho imparato ad apprezzare e da quel guizzo di surreale che hanno sempre le storie narrative di Sclavi.
Non vi troverete, certo, personaggi da novanta come Gnaghi, ma richiami sclaviani sì, come il nome Francesco, o come questi complotti, questo mondo che appare, sembra, inganna. E gli incubi,ì.
Nel senso di paure.
Ma io ora scappo, finirò di parlarvene domani, o lunedì, non so.
So che ho voglia, appena salito in auto, di ascoltare Stay vicious, dei Gaslight Anthem, che è il pezzo che gli apre il nuovo disco e secondo me è un pezzone, e vi consiglio, così, per ascoltare belle canzoni.
Eccomi!
è addirittura martedì, io mi sono smonato vedendo la pochezza della gente e di come amano rimanere nel proprio brodo misero e miserevole e non so… mi intristisce, e finisco sempre per intristirmi io per loro. Amen. Di lor non ti curare, dicevano, e da oggi non me ne curo no, e cercherò di far fruttare meglio questo tempo disoccupato e diventare meglio. Ho cominciato a leggere Pavese, per dire, l’altro ieri alle tre denotte, E mi sono sentito meglio. Ma torniamo a Sclavi. 
4 storie. Lo stile è il suo, cinematografico, rarefatto, anche se molto meno di Nero o di Mostri, ma resta coinvolgente e penso che nessuna delle quattro storie, anche quando avevano i loro difetti, se ne sia andata senza lasciarmi qualcosa di piacevole.
Si vede, secondo me, che sono storie un po’ datate, ma è più il fascino, quello che questa cosa regala, che il fastidio. Ve le racconto in breve dai.
Prima storia, dà il titolo alla raccolta. Sogno di sangue. La direzione è quella del serial killer, e il tema è la pazzia. Il serial killer è pazzo? E l’ispettore? lo prenderà? Il protagonista è la prima persona di un professore, un solitario, che comincia a vedere e percepire gli omicidi. è un medium? non si sa… si scoprirà e il finale non è originale. Eppure il procedere dell’indagine, quel crescendo di ritmo e omicidi, prende e prende bene. Alla fine, pur essendo la storia, la solita storia, questo modo di raccontarla non mi ha deluso. Riesco a salvarla, anche se è un plot visto decine di volte.
Il secondo racconto è forse il mio preferito. Il tema? La paranoia. Almeno inizialmente, anche perché qui poi, tirando le file del discorso, la paranoia di Stavros, uno studente greco, forse esule, che suo malgrado è testimone di un incidente d’auto, dicevo, la sua paranoia si trasforma in vera e propria alienazione. Lui è lì, cammina a testa bassa, ed ecco che pigliano sotto un vecchio. E l’investitore gli dice tu devi aver visto, il vecchio in ospedale, la stessa cosa, e lui si tira dietro una paranoia dietro l’altra fino a finire a scoparsi la nipote cieca quindicenne del vecchio e a consolare la moglie del disgraziato investitore e a incolparsi di non si sa bene cosa con un poliziotto che lo talpina. 
Alla fine c’è il dramma dell’essere stranieri, qua, altro che la paranoia. Il titolo è testimone Arcano ed è il più surreale del lotto.
Il terzo è il meno incisivo, direi, ma è anche il più corto e forse, alla fine, quello più diretto, con meno fronzoli. Un dentista torna a casa e la moglie, di fronte ai due figli, gli spara. Punto. Perché? Lo sa lei. Ma è stata lei poi? O copre i figli, che non parlano. Non si sa, ma poi, ha fatto male a farlo fuori? Ecco… un omicidio familiare, insomma, apparentemente inspiegabile oppure, a ben vedere, fin troppo spiegabile. Un delitto normale, insomma. Ho sentito echi del gioco di bambini di Ballard, dentro.
La quarta storia, forse o quasi la più lunga, è anche quella più complessa, per personaggi e trama, e forse è quella che all’inizio non mi ha trascinato via nella lettura. La prosa, più che altro, era più densa, con meno dialoghi. Molto ben riuscita, la cosa, anche se il colpo di scena finale ti lascia un tantin d’amaro in bocca, ma era comunque lecito. Ravasciò comincia a scoprire che tutto si ripete, tutto è uguale, ma lui non si ricorda niente. Questo è un racconto amato dai complottisti, sicuro, anche perché il complotto è talmente totalizzante da non esistere nulla d’altro, nemmeno chi lo riconosce. Si potrebbe ficcarlo nella categoria “fantascienza” visto che i dischi volanti ci sono, ma è più un racconto da alienazione. Mi ha ricordato il racconto del Tè del Marolla, in cui il non ricordare domina ed è il vero nemico da sconfiggere. Credo alla fine sia il meglio riuscito, assieme al greco paranoico. 
Concludendo… Sclavi, questo vecchio Sclavi, da leggere? Sì! Sì perché è uno stile e c’è molta onestà nei suoi lavori, anche se sono forse molto migliorabili. Per dire, Scuropasso, alla fine, usa gli stessi strumenti, ma lo fa con molto più mestiere, ma non per questo mi sento di dire che queste storie nere sono peggiori. Direi che mi fermo qui, mi metto ad ascoltare una vecchia Harvey e vedo di fare cose utili, tipo estrarre dal Pavese un esercizio per i ragazzetti.
Ciao, chiappettoni!

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