"Il ritorno" di Joseph Conrad****

"Il ritorno" di Joseph Conrad****

Vi ricordate i racconti del Sole 24 ore? Quella bella collana che leggevo ogni domenica (no, okay, diciamo in settimana) quando uscivano (ogni domenica, quello sì).
Ecco, era la mia vita lontana, e me ne sono lasciati indietro un paio forse tre, tant’è che ancora oggi ci ripenso con un po’ di nostalgia.
Mi ero rottilcatz con quello di Garcia Lorca, che era bruttino, e questo, che era “denso” in scrittura e pagine, l’avevo lasciato indietro.
Ora l’ho letto.
Eh sì, guardate, non so se avete letto altro di buon Józef Teodor Nałęcz Konrad Korzeniowski (no, non è una battuta, si chiamava così, e quindi avete pure capito perché era indispensabile cambiare in Joseph Conrad, se non altro per non far sì che dopo l’appello a scuola sia già ora di andarsene) ma resta che il suo marchio di fabbrica non è certo la scrittura agevole e snella. E’ ottocentesco, nei tempi di sviluppo e nella densità della costruzione narrativa, è inutile.
L’ho pensato già alle prime righe, che vi scanno e vi faccio leggere, perché trovo che sia anche un bell’incipit e un ottimo spot per capire com’è la scrittura di Conrad.
Eccolo:

Il treno urbano proveniente dalla City irruppe con impeto uscendo da un buco nero e si arrestò bruscamente con uno sferragliare stridente e disarmonico nella sporca penombra di una stazione del West-End. Una fila di porte si spalancò e una folla di uomini scese precipitosamente dalle vetture. Portavano i cilindri, avevano sane facce scialbe, soprabiti scuri e stivaletti lucidi; tenevano nelle mani guantate ombrelli sottili e i giornali della sera ripiegati frettolosamente, che assomigliavano a rigidi stracci sporchi di color verdastro, rosato o biancastro. Alvan Hervey scese dalla vettura con gli altri, tra i denti un sigaro acceso. Una piccola donna malmessa, in uno scolorito abito nero, con le braccia cariche di pacchetti, arrivò correndo stremata, saltò in uno scompartimento di terza classe e il treno ripartì. Il rumore delle porte che si chiudevano risuonò penetrante e malevolo come una fucilata; una corrente d’aria gelida mescolata a vapori acri spazzò tutta la lunghezza della piattaforma e costrinse un vecchio traballante, avvolto nella sua sciarpa di lana fino alle orecchie, a fermarsi un attimo nella calca in movimento per tossire violentemente curvo sul bastone. Nessuno lo degnò di un’occhiata.

Dicevo, appunto, che leggendo queste prime righe mi sono trovato subito a pensare a come i tempi siano cambiati, in lettori e scrittori. Sembra quasi che non ce la possiamo permettere una scrittura così, non abbiamo i tempi, interiori ed esterni, né vogliamo averli, sempre presi da un’urgenza che secondo me allontana stili come questi. E poi? Vogliamo dire della donna che sale sul convoglio? E del vecchio che tossisce? Cosa avranno a che fare con la storia? Un cazzo. E quanto sono indispensabili nell’ambientazione per quello che accadrà nel racconto? Poco più di un cazzo. 
Eppure sono belli. Sono pennellate, forse non indispensabili, ma di classe, eleganti. Ecco… riflettevo e pensavo che per scritture così, che con eleganza pennellano frammenti non indispensabili, i tempi sono marciti, o comunque, non buoni. Nonostante la scrittura conradiana sia sempre molto pulita, in alcune parti introspettive del racconto si soffre di rallentamenti e dubito che molti lettori “moderni” ne attingano godimento. Io no. O meglio, non del tutto, inutile mentire. 
Quello che non posso dire, però, è che ci siano cose di troppo…. no, non ci sono. Tutta la vicenda narrata, anche quando sembra dilungarsi, non ripete mai le cose. Siamo di fronte a una costruzione lenta, che a suo modo, poi, giunge a una conclusione inattesa.
Ci sono rimasto… sì, devo confessarlo. E’ stato come un finale a sorpresa.
Fino a quelle ultimo 3-4 pagine, forse qualcuna in più, non ce l’avrei messa mai, quella quarta stellina. Il ritorno è un racconto che sembra non dire molto, con una trama troppo esile, che si svolge interamente in una casa londinese, nella crisi di coppia vissuta.
Ecco perché, per farvi capire come ci sono rimasto, ho scannato una frase chiave, verso la fine, quella che mi ha portato a sorprendermi, per come era andata a finire la storia. Eccovela:

Nel dolore di quel pensiero, nacque la sua coscienza; non quella paura o quel rimorso che cresce lentamente, e lentamente muore tra i complicati fatti della vita, ma una saggezza divina che viene al mondo già cresciuta, armata e severa, figlia di un cuore provato, per combattere la segreta bassezza delle motivazioni. In un lampo si rese conto che la moralità non è un metodo per la felicità. La rivelazione fu terribile. Capì d’un tratto che nulla di quanto sapeva aveva la benché minima importanza. Le azioni degli uomini e delle donne, il successo, l’umiliazione, la dignità, il fallimento – niente aveva importanza. Non era una questione di maggiore o minor dolore, di questa gioia o di quel dolore. Era una questione di verità o di falsità – era una questione di vita o di morte.

E certo, se non sapete la vicenda, non vi dice niente. A me invece è piaciuto assai, perché è qui, bene o male, che le cose della vicenda si sono ribaltate. 
Ma basta chiacchiere e diciamo quali sono, le cose della vicenda.
Alvan, benestante, in vista, londinese, spostato da cinque anni, torna a casa come ogni sera, forse più presto del solito, e pensa a sè, alla sua posizione, al mondo in cui vive, alle apparenze che, però, per lui non sono tali. Non sospetta nemmeno di vivere in una tale selva di rapporti umani superficiali e fasulli.
E quando trova una lettera della mogliettina, in una stanza piena di specchi, molto particolare, ecco che parte il suo dramma interiore. Noi vediamo la vicenda soprattutto con gli occhi di Alvan. Ben poco ci viene detto della donna che, appunto, ritorna e ammette l’errore. E’ una rivoluzione mentale maschile, quella che viviamo.
E comunque, vediamo di finirla dai.
Vi posso dire, e non lo sapevo, che da Il ritorno è tratto un film, Gabrielle, con Isabelle Huppert.
Vi posso dire che chiunque di voi ami la scrittura rapida veloce, piena di avvenimenti, di storia, scevra da ragionamenti e drammi psicologici, stia bene alla larga da questo raccontone.
Vi posso dire, e non c’
entra una mazza, di ascoltare i Fake Idols, piacere la loro pagina, e se proprio il metal non lo reggete, hanno fatto anche una cover dei Cardigans, anche se io vi consiglio altro.
Direi basta, che ho sonno e boh, non so. Conrad, forse, ha ragione da vendere… Gli inganni sono sempre più delle verità.

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