"Sirena (mezzo pesante in movimento)" di Barbara Garlaschelli****

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"Sirena (mezzo pesante in movimento)" di Barbara Garlaschelli****

Varie cose, che mi hanno portato a leggere questo libro.
A volte non te ne accorgi nemmeno di come il mondo si interconnetta unilateralmente a tua insaputa, e ora, pensandoci, mi accorgo che son più di una o due. Non conosco la Garlaschelli, e anche se questo libro ti porta, inevitabilmente, a conoscerla (e voi direte, no no, credi di, e invece io dico che proprio la conosci un po’, dopo aver letto Sirena) dicevo, un po’ la conoscevo già prima.
C’era facebook, tanto per cominciare, che non ho più, anche se lo uso ancora per le pagine dei blog, ma che comunque non guardo più a livello di amici e stronzate varie perché sono in una fase in cui, degli altri e di quello che fanno, non me ne frega niente. Da quarant’anni circa, okay, ma questi son fatti miei.
Dicevo però che ogni tanto sbirciavo il blog, della Garlaschelli, e ci ho mandato un racconto, forse due, non ricordo, via Gloria, nel senso che Gloria mi disse, “Ehi tu, manda un racconto alla Garlaschelli” e io ho eseguito, senza farmi troppe domande. Forse addirittura, ma non ci giurerei, credo ci sia stata una rivista letteraria, boh, una pubblicazione di qualcosa… non so. Non è importante.
Fatto sta che la seguivo, ogni tanto, sul faccialibro soprattutto, questa autrice. Ci sono persone che ti piacciono e persone che non ti dicono niente, nel guardarsi in giro nel web, e la Barbara apparteneva alla prima categoria. Certo, aveva quella superbia che hanno i fighi, ogni tanto, ma che a me, che un pochetto ne sono affetto, è sempre piaciuta, e quindi non la reputavo fastidiosa, soprattutto perché te la devi poter permettere. Una che non le manda a dire, insomma, ma che alla fine, è meglio così che tante fregnacce gnignignignagnagna. Bene.

Poi, da quando ho cominciato a cercare di leggere i Corti, miseramente interrotti perché mi sono scordato di chiederli, qui in biblio, mi è capitato sotto mano un suo Corto, di cui per altro è stata direttrice di collana. Mi piacque molto, e anzi, a tutt’oggi lo reputo tra i più riusciti della serie e vero esempio di microletteratura per ragazzi che si fa leggere e piace senza rompergli il cazzo con paranoie da adulti. L’ultima estate, era.
L’altro suo corto mi è piaciuto di meno, anyway, mi ero ripromesso di leggere qualcuno dei libri suoi nella sezione youngster. E bon, la cosa figa, è che io, fino a questo punto, e parliamo di un paio d’anni, credo, non avevo mai capito ne ero venuto a sapere che era tetraplegica o quel che è. Ma proprio zero eh. 
L’ho capito solo di recente, quando è venuto a mancare Guido Leotta, editore della Mobydick, e più che altro amico dell’autrice e di cui, caso vuole, stavo leggendo proprio un corto e ne parlavo lo stesso giorno 🙁
Lessi un commento, su Sirena, e intuii, dal sottotitolo, che fosse autobiografico. Bon, metto in memoria fissa, mi son detto, prima o poi lo prendo e me lo leggo, anche perché avevo visto che a) c’era, nella prima edizione oramai introvabile della Mobydick, b) era corto, e io piaccio ai libri corti e loro piacciono a me.
Tutta questa pappardella per dirvi che venerdì pomeriggio prevedevo il Sole, e mi son detto che per una volta potevo mandare a fanculo mondo, gente e propositi omicidi e suicidi e farmi il pomeriggio in spiaggia. E l’ho fatto, e l’ho fatto con questo libro. L’avevo preso, per altro, solo perché un articolo me lo aveva fatto ricordare, ed è una cosa simpatica, ovvero il fatto che il libro, pur avendo avuto, dopo la Mobydick, altri due editori, non aveva visto il rinnovo dei diritti e la Garlaschelli se li era comprata tutti, quasi 600 copie, facendo poi succedere questo che leggete qua e qua, se vi va, e se non vi va, vi dico solo che il titoli sono del tipo Autrice salva il suo libro ecc.
Ma finalmente veniamo al libro. Mi è piaciuto, sì, ed è rimasto sempre molto lontano dai rischi in cui si può incorrere in un libro di questo genere, autobiografico, che racconta una vicenda di quelle che ti segnano la vita. Ho pensato che uno dei motivi della sua riuscita sia il tempo che è passato.
L’incidente, il banale tuffo, è accaduto un ventennio prima, e l’autrice ce ne parla col senno di poi. Alla fine il tempo, si sa, è come un setaccio, e ti restano i sassi grossi, tra cui scegliere quale e quanti raccontare. Io ho avuto questa sensazione leggendo. Anzi, diverse sensazioni.
Vado in ordine sparso.

Tanto per cominciare ho pensato che è un libro che non fa bene solo a chi, magari, ha vissuto direttamente un evento simile. Non parlo solo di sedia a rotelle, ma di eventi che mettono la vita in prospettive diverse, ma è un libro che fa bene leggerlo prima, che questo succeda, se mai deve succedere.
Poi ho pensato che alla fine, e mi è piaciuta, la cosa, il libro ruota attorno a una serie di concetti, ma pochi, e son cose con cui, alla fine, tutti dobbiamo venire a patti e gestire, nella vita: il dolore, la solitudine, gli altri e quello che fanno o non fanno per noi. Noi stessi anche, quello che hai dentro e in qualche modo devi arrangiarti a difendere.
Poi ho pensato che è scritto bene, con mestiere, questo lo prevedevo, ma è un mestiere che è rimasto in secondo piano e non si è beato – a parte la scelta della seconda persona, azzeccata, per altro – di lezzi e giochetti. E’ semplice e corre veloce, seguendo la cronologia dei mutamenti del corpo e della riabilitazione e non cade mai in piagnistei o eccessive descrizioni buttate lì di proposito. Ho pensato alla parola pudore, non di tipo fisico, ma letterario. Uno, credo, quando ha dalla sua la verità, potrebbe concedersi il lusso di essere spudorato, di raccontarci e colpirci con – che ne so – i buchi nel cranio fatti col trapano a mano, e invece si ferma lì, a dirci questo e basta. Certo, lo pensiamo noi lettori, a quando dev’essere terribile, ma le righe ci portano subito via e ci distolgono dal pensiero.
E c’è anche un aspetto tecnico, di vicenda vista dal dentro di un universo che non si conosce, con tanto di annessi medici e di mondo degli ospedali, che non ne esce del tutto bene.
Poi che altro ho pensato… Ah, sì, mi è venuto in mento il tema dell’Esame di Stato di quest’anno, e il fatto del donare. Il dono, il dare senza avere che è in quel senza che trova la sua essenza (no, dai, il calembour è casuale, ma oramai ce lo lascio), dico questo perché alla fine c’è un sacco di questo, intorno a chi viva una storia simile. E ho pensato che senza questo dare, a cominciare dai genitori, che ce l’hanno dentro, non si va da nessuna parte… mai. Poi boh, anche basta, direi.
E’ un libro bello, che vi consiglio, che in qualche modo fa bene, rafforza. E fa pensare.
Ah, posso dirvi anche che non necessariamente vi fa bene, eh, potrebbe farvi male, ma è quel tipo di male che se provate vuol dire che siete ancora vivi, ed è sempre bello provarlo.

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