I Maestri del Colore (1-10)

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I Maestri del Colore (1-10)

I MAESTRI DEL COLORE (1-10)

1

La battaglia degli dei del mare
(Incisione, 283×826, 1470)
170/78
Franco aprì la porta e le grida lo investirono. Vide due seni rinsecchiti, agitati e stracciati come sacchi vuoti, dita spezzate e saldate in goffe pinne, mani che brandivano pesci e scheletri e serpi e spade e corni e specchi e bastoni e trombe e forche e mille e mille altri incubi e deliri. Udì cavalli deformi nitrire e bussare con gli zoccoli alla sua pietà. Una guerra straziante tra gli dei del senno e dell’altrove. Richiuse, sconvolto. No. Non era umanità, quella, e lui avrebbe lottato con tutte le sue forze per porvi fine.


2
Francisco Goya (1746-1828)
Il grande caprone
(Olio su tela, 44×31, 1797-98)
Il Consiglio 
Il caprone si sedette davanti al suo seguito, tronfio e vanaglorioso. Due scostumate si dettero di gomito, in un ridacchiare di sguardi, malignando sulle corna, di certo lunghe fino alle nuvole. Una vecchia megera offriva alla bestia la testa di un ragazzetto imberbe, senza arte né parte; un’altra fingeva adorazione. Gli uomini, silenziosi, svolazzavano intorno alla bestia, gonfi di moine, aspettando il momento per mettersi in luce ai suoi occhi. Con un fare cerimonioso, l’Amministratore Unico della grande S.p.A. cavò dalla ventiquattrore l’agenda e dichiarò aperta la seduta.

3
San Trifone ammansisce il basilisco
(tempera su tavola, 141×300,1507)
L’agonia del basilisco
Trifone sapeva di non essere abbastanza bello, né interessante, né ricco, per conquistare Gordiana. Lei ne derideva persino il nome. Lui aveva però mani abili da chirurgo e la sagacia infame del genio. Drogò un grosso felino, gli cucì addosso, sulla pelle viva, una testa d’asino, voluttuose ali piumate, una viscida coda di serpe. Per giorni terrorizzò la ragazza, in segreto, con il suo atroce abominio. L’intera città lo avrebbe adorato quando, con nenie e salamelecchi, avrebbe liberato la principessa dall’incolpevole bestia, oramai moribonda.

4
Bagnante bionda
(olio su tela, 81.8×65.7, 1881)
Come ti senti?

Gli occhi erano piccoli, le palpebre lievemente cadenti. Il mento appuntito stonava con il naso e il suo vago accenno a una gobba. Leggere occhiaie sottolineavano una pupilla d’una tonalità indefinita, a sfiorare il grigio. Le spalle, quasi scomparse sopra una magrezza scabra, parevano volersi nascondere dietro un sipario sfilacciato di capelli informi. Una palandrana dimessa, impolverandosi sul selciato, celava spigoli e assenza di seno, figli di stenti, lavoro o forse chissà, malattia. Il mare, sullo sfondo, spingeva verso l’occhio dell’osservatore la ragazza, nel complesso di rara bruttezza. Però sorrise, quando chiese timidamente d’essere ritratta. “Vorrei essere come mi sento”, disse.

5
Il ratto di Ganimede
(olio su tela, 163.5×70.5, 1531-32)
Madri
La presero in tanti, feroci, affamati, luridi, i membri sudici strofinati contro le divise grigioverdi. L’abbandonarono tra gli sterpi dopo averle spaccato i denti, con il calcio del fucile, per prendersi quello che anche con la forza era pericoloso avere. Il frutto dello scempio attecchì al suo ventre e lei l’odiò e l’odiò, malgrado l’incantevole bellezza. Quando trovò il coraggio, lo abbandonò ai cani randagi e si nascose, attendendo che la sua condanna fosse sbranata. 
Si impiccò a un ulivo, convinta che l’aquila gigantesca che aveva salvato suo figlio fosse stata mandata da Dio, per punirla. Mentre rantolava, scalciando l’aria, un’altra madre, nel nido tra i monti, nutriva la sua prole.

6
I bevitori (da Le quattro età dell’uomo di Daumier)
(Olio su tela, 59.4×73.4, 1890)

L’Elisir

I Van Dick avevano lavorato nei campi per l’intera mattinata. Non bevevano dal ruscello, troppa la dissenteria celata dai gorghi, e al ritorno l’arsura frustava gola e labbra come un carceriere impazzito.
“Dunque questo Elisir non disseta?”
“Certo che disseta! Ma è a base di corno di drago, serve a dare vigore agli uomini che vogliono… sì, insomma, lorsignori hanno inteso. Altrimenti come potrei venderlo a cinque fiorini il bicchiere!”
“E invece io dico che lei è un ciarlatano e che per dieci centesimi ne darà non solo a me, ma anche a mio padre, mio fratello e al piccolo Vince”, replicò l’altro, minaccioso, indicando con un cenno la strada deserta.
L’uomo, riluttante, prese dalla carrozza due bottiglie e le versò in una brocca, poi li osservò, mentre vuotavano avidamente i bicchieri, aspettando che il veleno facesse effetto. Rubò loro vestiti, bisacce e attrezzi da lavoro. 
La scritta Elisir dei Forti brillava, mentre trascinava i cadaveri in mezzo ai tulipani.

7
(Olio su tavola, 1618-19, 76×66)

Celie

C’era un momento, un istante preciso, nel sentiero luminoso del suo ubriacarsi, in cui l’occhio da bonario si faceva furbetto, il rossore dilagava in volto e un sorriso forastico, dall’irta selva dell’arricciata barba, ti bucava il cuore e ne rubava un battito, uno soltanto, lasciandoti stranito e confuso, a immaginare quale ennesimo scherzo aveva appena architettato ai tuoi danni. Lo odiavo, per questo. A tal punto da celare tra i suoi lassativi una pasticca d’aconitina, alla vigilia di quel pirotecnico carnevale in cui, ornato d’edera e pelli mal conciate, si era proposto di sciogliere i purganti nei cocktail d’ogni invitato, compreso il mio. 
Adesso lo odio di più, lo prendo a pugni per interi giorni, inutilmente. Non riesco a trovare pace.

8
Divina Commedia, Canto XXXIV, pag. 55
Disegno
Talento

Il tratto era ancora incerto, ma la matita filava spedita a tracciare una demoniaca creatura.
Beatrice guardava ammaliata il figlio, al suo primo disegno.
Il foglio, sudicio e stropicciato, portava ancora l’orma circolare di una qualche tazza, ma la testa cornuta che il bambino aveva rappresentato distraeva dalle imperfezioni. C’erano ossa come impalcatura per un’ala di pipistrello, enorme e fiorita d’occhi; un torso villoso; mani scheletriche ad accompagnare in gola un corpo umano, scalciante. Due altre teste, snobbate nel dettaglio, spuntavano ai lati del collo, incattivite.
La donna sospirò, osservando l’espressività malinconica dello sguardo, poi fece una carezza al suo piccolo ometto, su ognuna delle teste, guardandolo mentre si sorrideva tre volte, davanti allo specchio.

9
(Olio su tela, 1918, 55×38)

Occhio non vede

Bello era bello, Amedeo, ed era un killer insospettabile, freddo, calcolatore.
Le donne non erano per lui ossessione, non supplizio; non gli dava gioia il loro struggimento, eppure cavava loro gli occhi. Non con una lama, una forchetta, o straziando le pupille con unghie affilate. Altri avevano già percorso quelle strade e lui non tollerava la mancanza di originalità.
Lui usava attenzioni, delicatezze, simpatie, baci, sorrisi. Era come se, quando guardavano chiunque altro, diventassero cieche, senza pupille.
Le sue vittime non avevano occhi che per lui, che le aveva fatte innamorare.

10
(Tempera e olio su tavola, 1487-89, 47×35)
Il tormento di Antonio

Erano mostri, demoni, vampiri, creature repellenti e indegne.
Tony non aveva dubbi: quel martirio dava corpo a tutti i suoi timori.
Severino gli poggiava una mano sulla spalla, sfiorandolo col nasone gocciolante; Amilcare gli tirava la sciarpa, ridendo e sputazzando, mentre Tarcisio gli dava manforte, in uno scuotere di pelle vizza e rugosa, sul collo sulle guance. Adalgisa, col suo viziaccio di mettere le mani in faccia, e Nicodemo, le cui battute sarcastiche parevano bastonate, completavano l’assedio. Quando anche zia Armida si unì alla masnada, avvinghiandosi al braccio col suo fetore, credette d’essere tornato il piccolo e timido Antonio, con l’aria sempre mesta e imbronciata.
Organizzare un imponente, caotico e assurdo pranzo parentale, per festeggiare il suo ritorno dal Texas era stata davvero una pessima, pessima idea.

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