“La telefonata” di Simone Tempia***

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“La telefonata” di Simone Tempia***

Vi ricordate La muffa e La banca? Erano dei pdf, erano di Simone Tempia, erano da leggere mandandogli una mail per averli.
Era ben scritti, gradevoli e con idee. 
C’era anche Lo stage, ma non l’ho recensito, su questo blog.
Ora, se mi avete dato retta, voi, avete già scritto al Tempia quella volta e lui vi ha già avvertito che sarebbe uscito questo nuovo ebook in pdf, da una 15 di pagine, e voi gli avrete già risposto dicendogli “emmanda stocazzo dibook” (no, magari non così, vuoi siete più educati di me).
Invece, se non l’avete fatto, io vi spingo a farlo.
Scrivete una mail a Simone, aspettate che vi do l’indirizzo… 
Simone Tempia <contemporaneoindispensabile gmail com>
e gli dite, 
Oh, ha detto quel [inserire insulto a piacere] gelostellato di chiederti di mandarmi l’ebook della Telefonata, 
e se volete potete aggiungere anche:
…e già che ci sei mandami anche gli ebook che non ho letto, tanto ha detto quel [inserire insulto diverso dal precendente] di gelo che mi piaceranno pure quelli.
Ecco.
Perché vi dico questo? Perché stamattina, siccome ora sto leggendo, mentre guido, un saggino sui mostri del giappone in inglese che mi fa rischiare ogni volta di baciare camion e corriere quando trovo una parola che non conosco e devo usare il traduttore del reader, ho deciso di epubbarmi questo coso, dal pdf, e leggerlo.
Tanto lo sapevo che si sta poco. 
Il grande pregio costante dei racconti di Simone è che sono tutti scorrevoli. Raccontare, come fa lui, il contemporaneo (indispensabile, of course), richiede stile e registro contemporanei e lui li possiede. 
E infatti, nonostante l’epubbazione mal riuscita, nel tragitto casa-lavoro di stamane mi ero già fatto fuori 12 di 15 pagine e le ultime due me le sono lette, assieme alla pregevole intro di Antonio Rezza, al pc, fingendo di lavorare. 
Oramai ero curioso di.
Ebbene, sì, mi è piaciuto. Contiene, come gli altri, un’idea.
E a me piacciono le cose che contengono un’idea, forse pure troppo, ogni tanto, arrivando ad apprezzare cose brutte che ce l’hanno e a non cagare cose belle che ne difettano. Ma questo è un mio problema.
Torniamo al racconto.
Ammettiamo che vi chiamate X, e cominciate a ricevere telefonate di gente che vi chiede se siete Y.
Okay, dopo un po’ telefonereste alla telecom e chiedereste why, ma il nostro X non è proprio in un periodo grandioso, della sua vita, come dice il capa, è un treno che viaggia sulla quarantina ma l’adrenalina pare averla smaltita, soprattutto dopo il non dolce naufragar del suo matrimonio.
Ebbene, cercano Y, quindi, e dopo un po’ cominci a trovare queste telefonate non più un disturbo, e anzi, succedono cose strane, che magari vieni a sapere di Y, e che un po’ ti turbano, un po’ ti stuzzicano, e insomma, si sa, le vite, le nostre vite, sono scatole in cui stiamo dentro, e non sono tutte uguali, ma nemmeno poi tanto diverse. E così questa telefonata ne lega due, di scatole, le rende comunicanti… e boh, ve lo leggete e scoprirete il perché e il percome. Io non vi dico altro.
Mi è piaciuto tutto, dicevo, anche se forse due cose che mi hanno portato qualche dubbio le ho avute. Il nome di Y, che non vi dico per non influenzarvi, mi ricordava troppo una pubblicità di una caramella, e continuavo a raffigurarmi quel tipo, lì, della pubblicità, che era invece proprio come il protagonista non doveva essere. Purtroppo i due nomi sono funzionali e questo era un problema mio di nuovo.
Il dubbio, piuttosto, l’ho avuto pensando che boh, oramai pochi hanno il telefono fisso, in casa, e che i quarantenni, oramai, su internet, e su fb, ci passano un sacco di tempo, e il nostro X, protagonista, non sono riuscito a raffigurarmelo come prototipo del fallito peter pan quarantenne da calcetto champions e birra. Certo, non doveva esserlo. Ma io più faccialibro e più iuporn li avrei messi. 
Bello, invece, il modo come al solito un po’ surreale di toccare cose. Toccare gli approcci che noi abbiamo con i nostri contorni umani e che i nostri contorni umani hanno con noi. Sbagliamo eh… tanto, e la scatola non è come la vorremmo e spesso non siamo capaci di cambiarla e nemmeno di aiutare altri a cambiare in meglio la propria. E c’è poi questa adolescenza permanente, che di per sé non sarebbe un male, ma che invece noi non riusciamo mica spesso a gestire, e ci facciamo inquinare i giorni, da questi residui. E vabbè, sì, penso troppo, il racconto non dice queste cose, ed è moooolto godibile e sciolto, e si legge veramente al volo.
Ah, anche quei, per motivi grafici (bella la copertina, anche stavolta) vi consiglio la lettura in pdf su pc. si può. 
Chiudo?
No, dai, vi dico che nelle prime righe ho avuto un simpatico dejavu. Qui, per la precisione.
Giulio pensa che trent’anni fa aveva 7 anni e qualche mese. Andava

in vacanza con i suoi genitori a Lignano Pineta. Partivano di notte per evitare il traffico.

Ecco, sì. Anche io andavo a Lignano Pineta con la mamma e sorella, trentannni fa. A pineta.
Si andava dietro le cabine, perché mia mamma aveva paura del sole, si andava quasi niente in acqua, perché mia mamma è stata due volte per annegare (tre, proprio lì a pineta) e trasferiva giustamente il suo terrore sui figli. Si andava la mattina, non al buio, ma sì, presto, e si portava da mangiare qualcosa, poco, perché erano i tempi che si era poveri, e non si poteva comprare gelati o altre cose oltre al panino che si aveva. E anche se allora non lo sapevo, e denigravo tutto quello che non potevo fare (tipo andare nell’acqua dove non si tocca, o che non potevo fare buchi enormi nella sabbia a seppellirmici), ora so che quel poco mare è la differenza col niente e vi assicuro che la differenza tra il poco e niente, nella vita, si misura sempre in abissi e prospettive. E boh, a quel Lignano sono ancora legato molto, anche se non ho più il cuore di tornarci, ché le cose da piccoli sono quelle che stan dentro, e non si lavano via mai, quelle da grandi te le sporcano. E quindi mi ha fatto simpatia, ricordarle. Ricordo soprattutto quando una volta mi ci mandarono con mia nonna, che era viva e camminava ancora, e io non so perché catturavo granchi e lei, donna del 1900 e spiccioli, me li cucinò. (?!?!) 
E poi si chiedono perché mangio anche le scimmie di vetro e marmo e non ho mai mal di pancia… 😀

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