I Maestri del Colore, 3: Carpaccio

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I Maestri del Colore, 3: Carpaccio

Ci sono cose che noi umani…
Lasciamo stare il fatto che ogni volta che penso al Carpaccio mi viene in mente il cibo. (E la cosa non è comunque grave, perché quando penso alla focaccia, per esempio, mi viene in mente una foca molto stronza). Ciò che proprio non si immagina, per dire, è che il Carpaccio abbia anche un nome, e che tal nome sia… suspance… Vittore!
Sì, Vittore Carpaccio, nato nel… ecco, un’altra cosa che si scopre: non si sa quando è nato. Una teoria lo vuole nel 1455, ma diciamo che è più probabile nel 1465, a Venezia, cosa che sappiamo più dal cognome (da scarpa), che da dati certi. Insomma… tutto potrebbe essere.
Anche sui viaggi, non siamo sicuri, visto che il fatto che dipinga un luogo esotico, non vuol mica dire che c’è stato. Sappiamo, finalmente con certezza, dei suoi primi capolavori, tipo il Ponte di Rialto, 1494 e i 9 dipinti della Chiesa di Sant’Orsola.
E poi coi Bellini (gli artisti, non i cocktail) e in varie scuole, per tutto il primissimo ‘500 (Palazzo Ducale, Scuola degli Albanesi, San Giorgio degli Schiavoni…).
Dal 1510 è già parabola discendente, lui assieme alla città. Nel 1516 fa l’ultimo viaggio verso Capodistria, e da qualche documento sappiamo che nel 1525 vi sta ancora soggiornando, anche se nel 1526, se ne ritrova certificata in un altro documento la morte, che a questo punto è anch’essa in forse.

Bene. Altra cosa curiosa è che non l’hanno cagato fino al tardo ‘700 (lo Zanetti nel 1771, per la precisione, e mi riferisco al critico, non al calciatore eh). E poi, da lì, via via è partita un’opera di rivalutazione, fino a renderlo autore di estremissimo valore. I gusti cambiano, e anche il riconoscimento dei valori, come, per esempio, nel comprendere come lo studio della prospettiva in tutti i palazzi e le linee del Ponte di Rialto (Miracolo sul) sia davvero notevole, tanto da farsi notare più per quello che per il fatto stesso rappresentato.

Scopro poi, e mica bubbole, che abbiamo un bel Carpaccio qui a Udine (quello qui sopra), nei Musei Civici, e io pure li devo aver visitati nemmeno da tanto ma mi sa che non l’ho cagato troppo, perché non me lo ricordo. E’ il Cristo tra quattro angeli con gli strumenti della passione, che la Francia ci ha restituito nel 1919.
Ma il massimo, diciamo, vengo a scoprirlo nei lavori fatti per la Cappella di Sant’Orsola, che esiste, sepolta da altri edifici, ancora adesso. Qui bisogna sapere la storia, ripubblicata nel 1475, che ha ispirato il tutto. Orsola è principessa cristiana di Bretagna, ama uno con un nome del cazz, Ereo, e lui ricambia, e dev’essere amore vero, perché per trombarla sposarla, acconsente di accompagnarla in pellegrinaggio a Roma, ed è proprio il Papa stesso che li sposa, anche perchè, i piccioncini, si erano presentato con ben 10000 damigelle. Tutto bene: nozze, festa fino al mattino e poi via, in viaggio nozze nelle correnti del Reno (evidentemente si usava così) peccato che gli Unni (e non gli alltri eh) li massacrano simpaticamente, ‘sti poveri cristiani, facendone carpaccio (inteso come carne a fette, non come pittore).

E insomma, ci riempie le pareti, il Carpaccio, con questi quadri grandi grandi, e usa colori che insomma, non posso dire mi dispiacciano e anzi, seppur io non ami i lavori di quest’epoca, devo apprezzare tale dettaglio. Da notare, mi si dice, il come Carpaccio riesca a dosare il suo colore vivacissimo e lucente, in mezzo agli spazi, a farlo catturare dalla prospettiva e dalle linee.
Se volete un giudizio personale, qui in questi, mi piacciono tantissimo le persone sugli sfondi, sono tele complessissime. E dai, belle cazzo, ti ci puoi mettere lì e perderci dentro.
Chiudo parlandovi dei capolavori a San Giorgio degli Schiavoni, in cui trovate leoni, draghi e un bel basilisco, che sicuramente mi ispireranno per una storiella come oramai di consueto. Qui si dovrebbe essere al top, nello stile e nei colori carpacceschi.
Bene… basta così, che non vi voglio annoiare. Ora vado a cercare un po’ di quadri e sull’ultimo vedo di farmi venire in mente qualcosa da raccontare. 🙂

 L’agonia del basilisco

Trifone sapeva di non essere abbastanza bello, né interessante, né ricco, per conquistare Gordiana. Lei ne derideva persino il nome. Lui aveva però mani abili da chirurgo e la sagacia infame del genio. Drogò un grosso felino, gli cucì addosso, sulla pelle viva, una testa d’asino, voluttuose ali piumate, una viscida coda di serpe. Per giorni terrorizzò la ragazza, in segreto, con il suo atroce abominio. L’intera città lo avrebbe adorato quando, con nenie e salamelecchi, avrebbe liberato la principessa dall’incolpevole bestia, oramai moribonda.

Comments

  • Anonimo
    22 Marzo 2014

    #tutto molto interessante…tranne la fine del povero basilisco#

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