"La scampagnata" di Andrea Campucci**

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"La scampagnata" di Andrea Campucci**

Come al solito mi aspetto l’arrivo di qualche lettore – parentamicofan dell’autore – che mi insulterà dicendomi di imparare a scrivere (non si capisce poi cosa c’entri) o che non ho capito niente del libro, ma la verità è che leggere questo romanzo è stato faticoso.

Faticosissimo.
E i primi tre motivi nulla hanno a che vedere con l’autore.
Tanto per cominciare, quando l’ho accettato in recensione via scheletri, ho pensato che ce l’avrei fatta, a finirla in poco tempo. 
Sono 228 pagine, mi son detto.
E invece, scelta discutibile se non deprecabile della Arduino Sacco, volta certo, a risparmiare carta e costi di stampa (ma il libro costa comunque 18.90, più di ogni Dan Brown e Hosseini e Volo di turno, e non è nemmeno cartonato ma in semplice brossura con copertina tutt’altro che originale e accattivante) dicevo, qui dentro ce ne sono almeno trecento, di pagine. forse di più.
Perché?
Due motivi che lo rendono faticoso.
Due mancanze. Margini e A capo. Si avete capito bene. Margini ridotti al minimo ti portano a due scelte, per leggere quello che è scritto nelle ultime righe delle pagine di sinistra e nelle prime di quelle di destra: o violenti il libro spaccandolo come fosse un toblerone, o eviti banalmente di leggertele, immaginandole. Io ho optato per un mix delle due strategie, ma resta che ciò mi ha provocato tante bestemmie soffocate.
Ci sono stati momenti in cui avrei voluto chiamare tutti gli amanti della carta, gli odoratori, i toccatori, e dirgli, “Tieni stronzo, tu e la tua fottuta carta! Guarda! Guarda che bello eh, com’è comoda eh, la tua carta stramaledetta!”
E poi, ancora peggio, non c’è nessun a capo, o quasi.
Ho provato a contarli. Son in media meno di uno ogni due facciate, e per di più non hanno motivo di esserci, nel senso che sembrano lasciati lì, quasi dimenticati. E la cosa la soffri soprattutto per i dialoghi, che sono, ziocaz, tantissimi! E ci sono momenti in cui io ero lì e me li guardavo e dicevo fra me e me: “ma siamo matti? No, ma okay, no, non può essere… sto sognando.”
Non posso nemmeno farvi uno scan, che non rende l’idea.
Vi faccio una foto!
Aspe’, faccio anche la foto del presepio che ho in casa, già che ci sono, che ho voglia.
Ecco qua. Capite cosa intendo?
Poi non so. Leggo le recensioni e tutti ne parlano bene, benissimo, ma possibile che nessuno faccia notare questa cosa? Ma lo si reputa tanto un aspetto secondario? Proprio in questo momento dell’editoria dove c’è l’assalto (che vincerà) del digitale e la carta ha la sua via, chiara e limpida davanti al naso, che si chiama qualità, nel senso di qualità del prodotto materiale, degli spazi, della copertina, degli aspetti del prodotto tangibile… ecco, proprio in questo momento nessuno fa notare quanto scelte di questo tipo siano penalizzanti per un romanzo? 
Come posso credere alle recensioni positive se nessuno dice nemmeno che al libro mancano delle pagine. Sì, questa è la seconda o terza pecca di cui l’autore non ha colpe. Arrivi a pagina 182 e parte pagina 83-84-85… e così per una decina di pagine mancanti. Che poi c’è un altro errore di stampa, in precedenza, ma non lo ricordo e non lo ritrovo. Pagine raddoppiate, in più. Oltre al danno la beffa insomma. Sarà solo la mia copia? Boh. Amen.
Anyway.
A che punto siamo arrivati? Ah sì. Le non colpe dell’autore.
Partiamo da un’altra cosa. Si parlava, in un’intervista che mi ha fatto il buon Daniele Imperi qui su Penna blu, di editing, e una delle domande era appunto perché serve l’editor.
Non scrive forse un romanzo perfetto l’autore editor?
Ecco. Ne “La scampagnata” non c’è alcun refuso e non ho notato alcun errore di ortografia. Certo, okay, qualche nota sulla struttura delle frasi sempre identica, e su un lessico fin troppo vario, da thesaurus, per capirci, che rende innaturali certi dialoghi e certi passaggi, ma questo non è una colpa. E’ una ingenuità che guarisce con l’esperienza, e quindi è del tutto tollerabile.
Quindi, e ci metto la mano sul fuoco, l’autore è encomiabile per aver letto e riletto il suo libro, per averlo curato, per aver fatto una ottima correzione bozze. E allora? Il libro è pronto? E’ perfetto? Nel senso che, per com’è, non si può migliorare? No.
Dico no ed è un no che mi fa pensare a tutte le volte in cui il mio occhio continuava a voler saltare le righe.
Vi spiego.
La vicenda è semplice. Gianni deve sposarsi, ma si tromba, a casa sua, Milly (Camilla), una figa che ha visto tre volte, se non erro, e che diciamo è la sua ultima scappatella prima di sposare Marta, che ama alla follia, e insomma… dai, l’altra è veramente figa, e poi ci si trova un sacco bene e blabla. Peccato che questa gode così bene, che nella foga sbatte la testa contro uno spigolo e muore. Muore, ecco. Sì… dai, lo so che non mi credete e nemmeno io ci credevo ma il libro è un noir surreale e quindi ci può stare tutto
Il problema è che Gianni, da lì in poi, non fa che fare continuamente, incessantemente, la stessa identica cosa. Anzi due. Prima si chiede come smaltire il corpo (sì, lo so, è assurdo, non è realistico, ma siamo nella surrealità, quindi va bene) e poi, soprattutto poi, da quando il suo amico fidato Loris perde il corpo, si chiede dov’è. Ogni dieci righe… Se contate le domande di Gianni sono decine, oltre il centinaio, mi pare, ma forse anche più di 200. Ecco, questa era una cosa da editor. Andavano sottolineate e ridotte, molte, praticamente eliminate. E con gli spazi in avanzo ci mettevamo gli a capo, eh che bella cosa? 😀
Poi non è che Loris agisca diversamente. Non vi dico cosa gli accade per non spoilerare, ma continua anche lui a tenere lo stesso comportamento per quasì l’intero romanzo. Tra l’altro, altra pecca, Loris e Gianni parlano più o meno uguale, e non va bene. Ma è un dettaglio. 
Il vero problema è l’essere didascalico del romanzo, ed è qui che una lettura di un lettore (o detto un lettore, uno qualsiasi che legge più di 15-20 libri l’anno) riesca a capire che c’è qualcosa che non va. Non mi si può e non mi si deve raccontare tutto, soprattutto in certi momenti di libro, in cui c’è bisogno di velocità. Aspettate, apro a caso e vi scanno un pezzetto per spiegarvi meglio, dopo la pausa a spaccar legna e ascoltarmi southern man, che mi va.
Eccomi:

Ripensando a tutto ciò il ragazzo riuscì almeno a rasserenarsi. Si staccò dal muro e andò a gettare nel water la ciocca di capelli. Ma non appena ebbe tirato lo sciacquone un suono che proveniva dalla porta lo fece trasalire: era il campanello, corse subito nell’ingresso, dette un’ultima occhiata in giro per vedere se ci fosse qualcosa di compromettente, e con il cuore in gola si affacciò alla finestra.
Per poco non gli prese un colpo quando vide, di fronte al portone del suo palazzo, due carabinieri in divisa. Si fece paonazzo, e per sostenersi dovette allungare una mano sul davanzale. Restò immobile a osservare le sagome dei due militari sul marciapiede, trattenendo addirittura il respiro e tentanto convincersi che si trattasse solo di un’allucinazione. Chiuse gli occhi, ma quando li riaprì quelli erano ancora lì. Una nuova scampanellata lo tramortì, e si decise allora a sporgersi, pian piano, dalla finestra. “È finita! Lo sapevo…” si disse non appena uno dei carabinieri si accorse di lui e gli fece un cenno con la mano. “Tanto vale scendere e consegnarsi alla giustizia…” fu il suo ultimo pensiero prima che fosse chiamato per nome: «È lei il signor Gianni […]!?»

Mmm, forse non è uno dei pezzi più incisivi, però già qui si vede un po’ tutto questo raccontare tutto, ogni dettaglio, ogni gesto, anche quelli più ovvi. Nel senso… cioè, se nella seconda frase di questo pezzo abbrevio un po’ e dico che “mentre lo sciacquone faceva sparire una ciocca di capelli, il suono del campanello lo fece trasalire.” non è lo stesso? sappiamo che lo sciacuone è del water, sappiamo che se poi si affaccia è andata verso la finestra, sono cose che non ci serve sentirci ripetere continuamente. Insomma… ecco che alla fine, questo romanzo noir surreale potrebbe essere tranquillamente, ma dico davvero, di un centinaio di pagine più magro, e ne guadagnerebbe tantissimo. Anche alcune scene che sono messe lì per far ridere, ma che non hanno nessun nesso con la trama, ne guadagnerebbero, perché così sono letteralmente soffocate dalle parole. 
Insomma… il libro, il suo perché, che è una piacevole aria grottesca e scanzonata, va cercato con pala e piccone sotto una montagna di frasi e che si ripetono. C’era una pagina, emblematica, dove si dice per bene tre volte “facciamo il punto della situazione” più o meno in vari modi. E cazzo, ti viene da dire, ho capito! Fanno il punto della situazione, che poi, serve dirlo? Non basta lasciarmi il dialogo in cui lo fanno per capire che lo stanno facendo? Show don’t tell, dicono, ed è più o meno vero.
Bene, dai, ragazzi. Potrei aver da ridire ancora sui molti buchi e i molti fili lasciati a penzolare alla fine del libro, quando sembra quasi che ci sia una fretta di finire e mentre nella prima metà ci si dilunga su ogni cosa, nelle ultime pagine si corre come bufali imbufaliti per arrivare a una fine che è oramai annunciata.
Io vi voglio salutare con una bella immagine di un libro per bambini, che poi per bambini tanto non è.
E adesso vediamo di fare la recensione normale.
All’autore, bene o male, un in bocca al lupo per il prossimo, che spero sia un po’ più magro e sfugga alla legge della piccola editoria priva di margini e di a capo. 🙂

Comments

  • 22 Dicembre 2013

    oggesù, nessun rientro a capo nei dialoghi? e come si fa a capire chi dice cosa?

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    • 22 Dicembre 2013

      eddai, le virgolette ci sono, ziobecco anche tu, però tutte di fila si fatica un po'. tra l'altro tu certi posti magari li conosci. Aspe…
      pieve di Cercina, Cava di Massigrossi, policlinico Martini… ti dicono qualcosa?

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    • 22 Dicembre 2013

      uhm, no. ma la mia trasferta media fuori casa è di 1.2 km (la distanza dal bar).

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    • 22 Dicembre 2013

      ah già,s tupido io a chiedere 🙂

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