Un Poe de copioni! – Racconti, regolamento, chiacchiere

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Un Poe de copioni! – Racconti, regolamento, chiacchiere

Ed eccovi i partecipanti, alla fine, a questo concorso che mi ha dato molta soddisfazione, facendomi leggere ben 10 plagi, tutti godibili. Li volete leggere anche voi? Vi interessano? Qui sotto, tanto per cominciare, avete i relativi incipit. Se li volete, o mi chiedete direttamente il file di word via mail (soluzione per pigri: scrive nell’oggetto manda un Poe, e io capirò) oppure lo downloadate direttamente da divshare.

Per le valutazioni? Si farà così: i concorrenti in gara (9) leggeranno i racconti dei loro colleghi e forniranno la propria personale classifica, i due fuori gara, più altri giurati che dispongono delle credenziali e vogliono proporsi, faranno la stessa cosa.
Tra una settimana, su questi schermi, la classifica finale.

I COPIONI

  1. Matteo Bigarella con La caduta della casa dei Pusher
  2. Malosmannja con La maschera della Morte Rossa
  3. Riccardo Sartori con Volevo solo dormire un po’ (Storia del presunto cuore rivelatore, che finì nel pozzo assieme al pendolo, e del gatto nero a cui successivamente feci compagnia)
  4. Diego Cocco con La casa del coraggio
  5. Cily con Il pozzo e il pendolo
  6. Massimo Mazzoni con La mascherata della Morte Rossa
  7. Vlad Sandrini con Il vagone
  8. Maria Todesco con Paure nere
  9. Fithz Hood con Parole in prestito
  10. Noemi Turino con I racconti del Terrone di  (fuori concorso, in quanto lungo)
  11. Raffaele Serafini con Un’ascesa nel Maelstrom di  (fuori concorso, in quanto mio) 

HANNO PARLATO DEI COPIONI

HANNO POTENZIATO I COPIONI

    I RACCONTI! – gli incipit

    1) LA CADUTA DELLA CASA DEI PUSHER di Matteo Bigarella
    Era una merdosa sera d’autunno e non avevamo visto nemmeno un cliente.
    Ce ne stavamo nella nostra catapecchia a guardare un film d’azione con Nicolas Cage, riuscendo pure a trovarlo divertente.
    Quando sei strafatto d’erba, tutto ti sembra migliore, persino Nicolas Cage.
    Il Lurido era seduto su una vecchia sedia da campeggio. Io e Tre Palle occupavamo il divano che avevamo trovato il giorno prima nella discarica comunale. Non ci si stava neanche troppo male, a parte la puzza d’immondizia. E del Lurido, ovviamente.
    Una pioggerellina insistente tamburellava sulle finestre e filtrava da un buco sul soffitto che avevamo tentato di tappare senza molta fortuna con un pezzo di lamiera.
    “Certo che Nicolas Cage è proprio un attore del cazzo,” disse il Lurido.
    Nessuno ebbe niente da ribattere.
    […]

    2) La maschera della Morte Rossa di Malosmannaja
    La Morte Rossa devastava da tempo il paese. L’odore di plastica bruciata stagnava per le strade dove per scaldarsi si bruciavano mobili, libri, immondizie e alberi dei parchi cittadini. La gente piangeva lacrime di sangue e i volti rigati di rosso erano maschere confacenti per la nuova carne da macello.
    – Guardate – disse un anziano – tirano dai camion buste di frutta e verdura, come ai tempi dell’ultima guerra contro i nazisti.
    Poi tossì e sputò in terra un grumo catarro amaranto. Chi non s’accalcava attorno ai camion era già in coda davanti alle mense della Caritas, con le facce grigie e i nervi tirati. Una donna di mezza età salì in cima all’impalcatura di un edificio costruito a metà e abbandonato all’incuria.
    – Tutto questo non ha senso! – gridò appesa a un filo di voce – “hanno portato via mio figlio il mese scorso. Ho una pensione di 600 euro con cui viviamo io e tre figli disoccupati. Dicono… d-dicono che mio figlio ha scritto in internet, ma non abbiamo più il computer da un anno! Non abbiamo più neanche la luce… e l’hanno portato via…
    […]

    3) Volevo solo dormire un po’ (Storia del presunto cuore rivelatore, che finì nel pozzo assieme al pendolo, e del gatto nero a cui successivamente feci compagnia) di Riccardo Sartori
    Quel rumore mi teneva sveglio la notte. Era un rumore cupo, profondo, regolare. Era il battito del cuore di mia moglie. O almeno, così mi sembrava. Non so, era notte, non avevo voglia di indagare. Era così e basta, mondo cane!

    Insomma, dato il suo sonno pesante, non mi fu difficile escogitare un piano: la camera da letto si affacciava sul giardino della casa, dove a poca distanza si trovava un pozzo in disuso, chiuso con una lastra di metallo.
    So a che cosa state pensando, ma avevo bisogno di dormire, stavo impazzendo, nel buio insonne dell’intimità coniugale.
    […]

    4) LA CASA DEL CORAGGIO di Diego Cocco
    Amo gli animali e non sono un pazzo violento. Il mio scopo è solo quello di esporre al mondo una serie di avvenimenti, senza commentarli. Yup.
    Avevo un gatto. Era un animale molto bello, tutto nero, grandi labbra carnose e un’intelligenza che spesso faceva a gara con quella di mia moglie. Si chiamava Stromboli, ed era il mio cucciolo preferito. Solo io gli davo da mangiare, mi aspettava quando tornavo a casa e a fatica potevo impedire che mi seguisse in bagno.
    La nostra amicizia durò così per molti anni, finché le mie origine vicentine iniziarono a prendere il sopravvento. Divenivo ogni giorno più strambo, irritabile, meno rispettoso dei sentimenti altrui.
    Una notte, dopo essere tornato a casa un po’ più sobrio, lo afferrai brutalmente, e quello, impaurito dalla mia violenza, mi fece con i denti una piccola ferita sulla mano. Quel suo ghigno malefico, però, si tramutò in terrore puro quando mi avvicinai al piano cottura. Ricetta semplice, la mia: due spicchi d’aglio e un po’ di rosmarino. Lo stavo per trasformare in un delizioso manicaretto, ma la ragione mi tornò di colpo quando, tra le lacrime, lo sentii intonare quella bella canzoncina irlandese che fa: “Bon-Bon-Padrone… non mi mettere in pentola, l’acqua bolle… le patate non sono buone con me!” Stronzo sentimentale.
    […]

    5) Il pozzo e il pendolo di Cily
    Appena rinvenni mi sforzai di immaginare dove fossi.
    Sentii la fronte bagnata da un vapore viscido.
    L’odore di funghi marci mi saliva alle narici. Un chiarore sulfureo mi consentiva di vedere l’estensione e la forma della mia prigione.
    Era quadrata. Il pavimento era di pietra mentre le pareti erano di ferro.
    Nel centro si apriva un pozzo circolare.
    Giacevo supino su una struttura di legno, cui ero saldamente legato con una lunga fascia che mi passava più volte intorno agli arti e al corpo, lasciando libera solo la testa.
    Guardando in alto, esaminai il soffitto. Era alto una dozzina di metri ed era costruito in modo molto simile alle pareti. Dall’alto pendeva un enorme pendolo come se ne vedono negli orologi antichi.
    […]

    6) LA MASCHERATA DELLA MORTE ROSSA di Massimo Mazzoni
    Da lungo tempo la Morte Rossa devastava il paese.
    I telegiornali all’inizio ne avevano parlato come uno dei tanti virus nati in Asia, che uccidevano un po’ di uomini, donne e bambini con gli occhi a mandorla. In seguito avrebbero annunciato qualche caso in Europa e America, si sarebbe diffuso un po’ di panico e quindi sarebbero giunte, a reti unificate, le rassicurazioni da parte dei politici e tutto sarebbe tornato come prima.
    Ma non stavolta.
    La Morte Rossa continuò la sua corsa inarrestabile: era virulenta, contagiosa e molto rapida nel dare la morte.
    Rapida ma non indolore.
    […]

    7) IL VAGONE di Vlad Sandrini
    Il mio fiato scappava da me in nuvolette bianche mentre i militari che mi accompagnavano andavano a controllare che i sovversivi pacifisti fossero proprio nella cantina indicata da me. Aspettai ansioso tutti i minuti necessari, fino a sentire un singolo tonfo, delle grida e poche raffiche. Un’altra manciata di minuti e gli uomini in divisa furono di ritorno.
    — Ha detto di abitare al numero diciannove? — mi chiese il sottufficiale dal finestrino della berlina nera.
    Sbuffai un’altra nuvoletta: — Diciassette.
    Lui mi fissò impassibile, e dopo poco marciò alla sua berlina senza pronunciare altre parole. Ci muovemmo, ma non verso i loro uffici. Appena due svolte ed eravamo in campagna.
    — Ci sono problemi? — chiesi al sottufficiale quando mi permisero di scendere. Di fianco a noi c’erano un capanno di legno e dei binari in un nulla coperto di brina.
    — La cantina appartiene al numero diciassette.
    Devo aver tenuto la bocca aperta per un buon mezzo minuto con un’espressione ebete. Avrei dovuto trovare delle parole per spiegare che mica ci entravo io, in quell’interrato. Mica avevo io le chiavi. Mi afferrarono per le braccia, sempre coi loro musi lunghi impassibili.
    […]

    8) Paure nere di Maria Tedesco
    Sin da quando ero piccolo, mi è stato letto molte volte Il gatto nero di E. A. Poe. È un racconto che mi ha da sempre colpito, nel bene e nel male. Non mi sono mai spiegato perché me lo leggessero, talvolta credo lo facessero per un’ipotetica affinità tra me e la storia e in altri momenti come monito. In qualsiasi caso, il risultato è stato procurarmi un’enorme sfiducia negli uomini e un’intensa ammirazione reverenziale per i gatti neri, particolarmente con una macchia bianca.
    Ammettiamolo, non serviva poi quel racconto per arrivare a provare tali sentimenti, quantomeno verso l’essere umano: ogni giorno vedo attorno a me uomini che picchiano le proprie ragazze, che si ubriacano, che maltrattano senza ritegno gli animali. Gente frustrata che non è capace di affrontare la vita e la rende un inferno anche a quelli attorno a sé. Pure i migliori, com’era all’inizio il protagonista di quel racconto, non ne scampano!
    […]

    9) PAROLE IN PRESTITO di Fithz Hood
    Non mi sorprende che i rumors trapelati sulla mia vicenda abbiano sollevato grandi discussioni nei forum che si occupano di elettronica e mistero; date le circostanze sarebbe strano non lo avessero fatto.
    Voglio quindi raccontare i fatti, almeno come li ho capiti. Eccoli in succinto.
    Il mio interesse negli ultimi anni si era diretto verso gli effetti rovinosi che l’elettromagnetismo esercita sugli apparecchi elettronici e, indagando su vari libri trattanti tale argomento, avevo rilevato un’inspiegabile omissione, una lacuna che mi premeva colmare: nessuno aveva mai condotto esperimenti di magnetizzazione su un dispositivo già rotto.
    Restava da stabilire quale device malfunzionante sottoporre all’influenza magnetica e se essa ne peggiorava o migliorava le prestazioni.
    Da tempo il mio Kindle mostrava un schermata bianca macchiata da aloni neri di qualche centimetro di diametro, condizione dovuta a una caduta a terra e ritenuta irreversibile da D. e F., due tecnici a cui mi rivolsi nella vana speranza di una riparazione.
    […]

    10) I racconti del terrone di Noemi Turino
    Una discesa nel mezzogiorno, pensò il ragazzo, seduto sul treno che l’avrebbe condotto in Sicilia.
    Quando l’aveva registrato all’anagrafe, sua madre aveva urlato «Enzo, come il nonno!».
    Poi, aveva indicato il cagnone che aveva al guinzaglio «E poi Alan, come lui!».
    «Quindi Alano?» aveva domandato l’impiegato.
    «Mannò, alano è la razza!» aveva detto lei «Alan! Al-lan!».
    «Certo» aveva scritto l’uomo «Enzo Al-lan!».
    Aveva sollevato gli occhi «E il cognome?».
    La donna, nove mesi prima, aveva applicato la teoria dello zapping alla propria vita sentimentale, così aveva scrollato le spalle «Boh!».
    E il piccolo era diventano Enzo Allan Boh.
    Un Boh così difficile, da superare, che vent’anni dopo stava ritornando nella sua terra.
    Per cercare suo padre.
    […]

    11) Un’ascesa nel Maelström di Raffaele Serafini
    Scendendo a fatica i viottoli scoscesi che portavano al mare, raggiungemmo la sabbia fredda e irregolare che vestiva la riva. Il vecchio fissò l’orizzonte e apparve stanco.
    «Fino a pochi anni fa» sospirò, «avrei potuto scendere questo monte con l’agilità di un capretto, ma mi è accaduto qualcosa che mi ha spezzato i nervi e incanutito i capelli nel corso di una notte… e nessun uomo, che io sappia, è sopravvissuto per raccontarla».
    La mia guida mi dava le spalle, appariva fiaccato più nello spirito, che nel corpo. Continuò a parlare senza voltarsi.
    «Lo vede? Non posso nemmeno guardare la montagna, dietro di lei. Quando ritorneremo terrò la testa bassa, fissando a malapena la mulattiera, poco oltre i miei piedi. Lei però può osservarla, può immaginare… Sa perché l’ho portata qui? Volevo che le vedesse la scena dell’evento di cui le narrerò».
    Mi girai per osservare l’altura: colava a picco, quasi tuffandosi tra le onde.
    […]

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