"Il viaggio dell'eroe" di Christopher Vogler (2)

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"Il viaggio dell'eroe" di Christopher Vogler (2)

E bisogna pur che porti avanti tutti questi fili che ho tratto, non trovate?
E cominciamo con il primo capitolo del Viaggio dell’Eroe, libro che ho cominciato a studiare per voi (qui per leggere introduzione e prefazione), che è un capitolo fondamentale e perciò arrendetevi all’idea che qui, in questo post, si parlerà solo di questo.
Anche perché, ma non dite che ve l’ho detto, a uno un po’ sgaio, e che ha una buona dimestichezza con le storie, siano esse libri o film, diciamo che pure che questo primo capitolo svela la maggior parte del contenuto teorico di base del Viaggio vogleriano.
E di cosa parla, questo capitolo, dal titolo “UNA GUIDA PRATICA“?
Prima mena un po’ il can per l’aia, panegiricando la tanto nominata opera di Campbell, L’eroe dai mille volti, e guardate… poco ci manca che voi molliate Voglerhttp://www.libreriauniversitaria.it/viaggio-eroe-struttura-mito-uso/libro/9788875271916?a=469911 per andarvi a leggere Campbell. Quindi, se mai vi troviate a parlare di qualche autore che vi ha ispirato e a cui siete debitori, nella vita, non fatelo con troppo entusiasmo, perché non si sa mai…
Vogler, comunque, lo fa, e ci dice di quanto il mito dell’eroe sia tanta roba. E’ un qualcosa, ci dice, diffuso in tutte le storie, orali o scritte, che taglia trasversalmente tempi e culture e che tutti adeguano.
L’idea di fondo prende le mosse dagli archetipi junghiani. Ve la esemplifico con un grafichino che faccio, vado a catturare e poi vi spiego:

Il VE viene estrapolato dall’inconscio collettivo umano, ovvero, da una base comune mentale propria degli esseri umani, che ha mille sfaccettature, certo, ma che ha una unitarietà di fondo. Questo genera immedesimazione, condivisione, appeal… una empatia verso le fondamenta del Viaggio che spinge il lettore/spettatore a riconoscersi alcune preoccupazioni universali.
Ecco perché il VE disegna delle

mappe della psiche psicologicamente valide ed emotivamente realistiche.

(anche quando si tratti storie di fantasia e completamente inventate).
E allora ecco che vediamo di fornirla, questa mappa di fondo.
In modo molto semplificato, mutuato (aridaje) da Campbell, Vogler ci offre questi 12 passi, suddivisi in tre atti:

PRIMO ATTO

  • Mondo Ordinario 
  • Chiamata all’avventura 
  • Rifiuto della chiamata 
  • Incontro con il Mentore 
  • Superamento della Prima Poglia 

SECONDO ATTO

  • Prove, alleati, nemici 
  • Avvicinamento alla caverna più profonda 
  • Prova Centrale 
  • Ricompensa 

TERZO ATTO

  • Via del Ritorno 
  • Resurrezione
  • Ritorno con l’Elisir 
Chiaramente, non dovete prenderli alla lettera, nel senso che bene o male, li trovate, ma non aspettatevi certo di trovarli in quest’ordine, così, belli confezionati. (Anche se, a dire il vero, ci sono davvero dei casi che riesce quasi impossibile non pensare  a questa costruzione).
Quello che è comunque da rilevare, ovvio ma meglio dirlo, è che il VE è un concetto che racchiude un’altra variabile: VIAGGIO = CAMBIAMENTO
Ecco che il denominatore comune porta a espandere l’idea di viaggio come mutamento che non si restringe all’avventura (fisica, per spostamento) ma si allarga a viaggi mentali, interiori, del cuore, spirituali, di adattamento, che vanno nei due sensi, tra l’altro.
Vogler fa alcuni esempi, io ve ne aggiungo altri:
Insomma… immagino vi sarà venuto in mente qualche film/libro che pare proprio adattarsi a questi esempi, sia in uno, sia nell’altro senso.
Per dire, non lo so, pensiamo a opere famose…
Vado un po’ a caso, pescando quel che mi passa per la testa. Karate Kid, piuttosto che Rocky, non sono forse film in cui c’è la crescita dalla debolezza alla forza? E ne La mosca, di Cronemberg, non vi è forse, accanto alla scoperta, il viaggio del protagonista verso la follia? E non è lo stesso per il protagonista di Uno, nessuno e centomila? In Tre millimetri al giorno, non c’è forse un cambiamento – fisico – dalla normalità all’anormalità, e un altro – psicologico – dal rifiuto all’accettazione e/o dall’accettazione alla speranza? Ma vogliamo parlare un po’ del viaggio dei protagonisti di Non lasciarmi di Ishiguro, poco fisico e molto psicologico? O di quello inverso, che padre e figlio affrontano ne La strada di McCarthy, dritti verso la disperazione.
Insomma… non ho voglia di continuare. E’ ovvio, come concetto.
Piuttosto, proprio per la mia incapacità di accettare l’ovvio, mi sono messo a pensare se ci sono narrazioni che raccontino di una negazione del cambiamento, ovvero una distruzione completa di questo postulato. Mi viene in mente qualche film di quelli che non consiglierei nemmeno ai nemici, fatta di campi lunghi, scene chilometriche, bianco e neri esasperanti e ore in cui non succede un beneamato cazzo. Ci sono, sì… chiamateli pure concettuali, okay, ma il loro appeal, temo, sta solo e unicamente nella negazione dell’appeal stesso.
Per i libri è già più difficile.
Ce ne sono, che non raccontano niente, ma solitamente la parola scritta ha l’intrinseca caratteristica di riuscire a esistere molto male, se priva di accadimenti (fisici o psicologici). Io, libri che per cento pagine mi descrivono un paesaggio o un contesto o un essere non li ho molto presenti. Voi?
No, no, quelle si chiamano enciclopedie…
Ecco che, dopo aver detto questo, ecco che il capitolo passa a spiegare qualcosetta di ognuna delle 12 tappe del viaggio. Una sorta di abstract per fare appunto da guida.
Io mi fermo qua e faccio un’altra cosa.
Le tappe del viaggio le svilupperemo insieme a partire dal capitolo tre in poi, io vi parlo solo di alcune e voglio prendere – come vi avevo anticipato – come esempio Lo Hobbit, sia il libro, sia il film, che dal punto di vista nostro sono molto simili. Siccome non voglio eccedere negli spoiler, diciamo che mi limito ai primi passi.
MONDO ORDINARIO
Qui è facile. Ne Lo Hobbit (ma anche nel SdA, o anche nella Alice carroliana, piuttosto che nel Mago di Oz, tanto per citare esempi ipercalzanti) il mondo ordinario viene sbattuto in faccia allo spettalettore senza preamboli e in modo linearissimo. Bilbo è lì, bello bello, che fuma la sua pipa, mangia come porco, si gode la vita della Contea in cui niente, pare, sta per succedere. La sua casa, mostrata con dovizia di particolari, è simbolo dell’ordinarietà. Tutto, in quella prima scena, è abitudine… Ecco… molte volte è così. Ma molte volte non lo è, intendiamoci. Avete presente Inception? Ecco, là, il mondo ordinario finisce che lo scopriamo alla fine del film, con un copioso flashback, altro che visione lineare. Lo stesso, pensando al Matheson di io sono leggenda, piuttosto o, ecco un altro ottimo esempio, il condominio ballardiano, dove i mondi ordinari sono i nostri, contemporanei, stravolti da eventi più o meno plausibili.
CHIAMATA ALL’AVVENTURA
Arriva Gandalf e dà il buongiorno a Bilbo e poi, con un toc-toc ripetuto, ecco arrivare, a casa di Bilbo, tutti i nani, uno via l’altro, fino a chiarire, in modo rocambolesco, la chiamata all’avventura. In questo caso è un contratto, che Bilbo deve scegliere se firmare o meno, ma a me piacerebbe sottolinerare un’altra matrice comune, della chiamata. Il concetto Chiamata = domanda.
Quante commedie rosa, o noir, o gialli, o thriller cominciano con una domanda? Tutti? Forse.
Caro detective, mi aiuterebbe? Ciao, bellezza, ma noi ci conosciamo? Ha ucciso tuo padre, non penserai mica di vendicarti? Nessuno è mai riuscito a sconfiggere il mostro sparacaccole, non crederai mica di riuscirci? Nessuno è mai evaso da questo carcere… insomma… io penso, e mi sembra, di faticare davvero a trovare la mancanza di questa domanda, esplicita o implicita. Penso anche a tutte le domande che l’eroe si fa da solo, sotto forma di esclamazione/lamento (non ce la farò mai ad abituarmi a questo nuovo quartiere! povero me, non posso sopravvivere in questo mondo di corrotti…). E tornando a Bilbo e a Lo hobbit, ecco che dopo una cagnara della madonna e un bla bla bla (che altro non è se non una descrizione di viaggi di altri eroi) ecco che la domanda viene posta a Bilbo: ci aiuterai? E l’eroe deve rispondere.
RIFIUTO DELLA CHIAMATA
E direi che, se volete che la storia sia credibile, l’eroe non può rispondere con un “Ecchime! Arrivo! sono pronterrimo!” ma risponderà piuttosto con un “Ma siete scemi? Cosa ci guadagno? Perché dovrei farlo?” e via di questo passo. Perché? Ma è ovvio! Anzi… è archetipico! L’uomo ha paura di ciò che non conosce, dell’ignoto, e questo è normale. Io narratore devo rendere credibile l’accettazione alla chiamata. Bilbo, e questo è un difetto del film, ma non del libro, non sembra non aver motivi validi per accettare. Nel film se ne fornisce uno solo, il denaro, una parte del tesoro, ma non è sufficiente, perché a) Bilbo non pareva essere povero, nel suo mondo ordinario b) il prezzo da pagare è quasi sicuramente la morte, quindi il denaro non serve c) ci sono troppe probabilità che il denaro non ci sia o non sia disponibile. Nel libro, oltre a questo, però, si aggiunge una storia, un background de lo hobbit che ce lo presenta come “propenso all’avventura” per motivi storici-familiari e quasi di DNA. C’è un desiderio latente, in lui, che deve essere risvegliato, e lo sarà.
Lascio a voi pensare ad altri rifiuti iniziali, anche se io vi lascio quelli famosi di Luke Skywalker o di Frodo Baggins del SdA.
Eddai che l’avevate già capito… Gandalf non è un mentore, ma è il mentore per eccellenza, un vecchio saggio che sprona l’Eroe, gli dà forza, consigli, strumenti, armi magiche, alleati, e arriva a salvarlo, in certi frangenti. Gandalf è anche un eroe, compie un suo viaggio, ma ne Lo Hobbit (e anche nel SdA) raramente supera la barriera che invece spetta all’eroe. Perché? Romperebbe il viaggio, il mutamento, la trasformazione che sta compiendo e che deve compiere da solo. Impossibile non pensare ad altri mentori come Silente, per Harry Potter, stessa pasta plagiata da Tolkien, ma non ditemi che non vi sono venuti in mente il maestro cinese di Karate Kid, o il vecchio allenatore di Rocky Balboa, o il sergente cattiverrimo di Ufficiale e gentiluomo, piuttosto che la strega Glinda per Dorothy, o il cappellaio matto filmico per Alice...Insomma… Questa è una figura chiave, e dov’è, direte voi, l’archetipo? Ve lo dico io: nell’insegnare fino a superare la soglia del distacco. E’ chiaramente un fatto umano, il figlio che si stacca dal genitore, l’allievo dal maestro, ecc… Lì va ricercato l’archetipo del vostro, o dei vostri mentori. Un buon mentore, secondo me, è una variabile fondamentale per una buona storia, anche quando ci sono ribaltamenti di ruolo (pensate a Kill Bill, dove il mentore, che ha insegnato tutto alla nostra eroina, è anche quello che genererà la sua vendetta feroce).
LA PRIMA SOGLIA
Poi? Poi c’è quello che mi piacerebbe chiamare Punto di non ritorno, nel senso che c’è una soglia in cui, una volta varcata, l’eroe non può più retrocedere. Per Bilbo è il momento in cui escono dalla Contea e affrontano i primi orchi (lo stesso fu per Frodo, affrontando i primi Nazgul) ma le soglie sono le più disparate. A volte può essere un treno che parte, una porta che si chiude, un pugno dato, un sì o un no… Insomma… C’è questa impossibilità di ritornare al mondo ordinario, direi, che segna non solo il passaggio tra il primo e il secondo atto, ma anche il superamento della paura dell’ignoto in favore dell’azione e della prosecuzione del viaggio che diventa, da qui in poi, irretroattivo.
Si potrebbe esemplificare la soglia come punto dopo il quale le regole mutano, diventando quelle del mondo straordinario.
Io mi fermo qui… non è nelle mie intenzione riassumervi l’intero capitolo, né massacrare di spoiler il lavoro Tolkieniano, anche se ci torneremo. Il capitolo spiega con vari esempi anche gli altri passaggi, ovviamente, ma avremo tempo di tornarci sopra.
Per non lasciarvi del tutto digiuni del resto, vi dico che:
Le prove, gli alleati, i nemici si riferisce alla fare più copiosa del viaggio, preparatoria, in cui l’eroe compie due attività: supera o non supera prove, conosce amici e nemici. Questa fase mostra sempre un cambiamento di stato, ma non del contesto, stavolta, ma dei personaggi: permetti di capire come essi agiscono sotto pressione.
L’Avvicinamento alla caverna più profonda, ve la spiego tornando alla nostra partita di calcio: siamo negli spogliatoi, dove si dà la formazione e si studiano le tattiche di gioco.
La prova centrale è la paura più grande dell’eroe, che egli affronta nel momento più basso della sua vicenda. Elemento comune è la morte. La morte non solo è l’archetipo più antico e che unisce tutti gli eroi, ma è anche il suo superamento che garantisce all’eroe di riuscire.
La ricompensa (la riconquista della spada) può riguardare un oggetto (un tesoro, una terra, un premio…) ma può essere anche un riconoscimento (gloria, amore ricambiato) o il raggiungimento di uno stato (libertà, giustizia fatta).
La via del ritorno è una fuga, in qualche modo, dal mondo straordinario.
La Resurrezione è una seconda prova, l’eroe che rinasce, che torna nel mondo ordinario (a volte diverso) e rinasce attraverso un esame conclusivo che lo mette definitivamente alla prova.
Il ritorno con l’elisir è un qualcosa che viene portato nel mondo ordinario, e fosse soltanto l’esperienza, ci dev’essere, altrimenti tutto il viaggio sarebbe stato inutile. E io lo confludo proprio con le parole di Vogler, questa nostra seconda puntata:

Qualche volta l’elisir è un tesoro conquistato dopo una lunga ricerca, ma può essere amore, libertà, saggezza, o la consapevolezza che il Mondo straordinario esiste e si può sopravvivere a esso. Altre volte significa soltanto avere una bella storia da raccontare.

Comments

  • 6 Aprile 2013

    Sarebbe da capire se un romanzo (non parlo di racconti perché le storie brevi è più facile che sfuggano a questo schema) senza questa struttura sarebbe originale, o solo una schifezza. Nel "vecchio e il mare" non ci sono né alleati né mentore, il vecchio è solo e così deve essere: però gli altri elementi ci sono tutti, abbastanza canonici. Forse la mancanza di un elemento importante ha senso solo se la storia serve a risolvere esattamente quella mancanza.

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    • 7 Aprile 2013

      me lo chiedo anche io, per altri casi, anche se mi sono risposto che
      a) basta girarla e rigirarla, puoi trovare quel che ti serve con delle forzature e far diventare valido lo schema (magari nel vecchio e il mare, il mentore, è il mare, :), ma non lho letto e non so)
      b) che non c'è niente di strano se manca qualche elemento, poi, in fin dei conti, è uno schema di base.

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