La Prima Storia – In cui Cifro crede…(1^ parte)

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La Prima Storia – In cui Cifro crede…(1^ parte)

La prima storia

In cui Cifro crede che l’arcobaleno sia un albero

e invece non lo è

Cifro corre sul 6 e sul 9,

tra gli alberi ventati

A Cifro prudeva il 2.

Gli succedeva sempre così quando qualcosa lo tormentava: ovunque l’avesse messo, il 2 gli pizzicava, come una Mosca Cicciona che si appoggia e balla e corre e zampetta qua e là, come fanno le Mosche Ciccione quando nessuno le vede.

Cifro schivò una pozzanghera e cominciò a pensare a cosa fosse, il pensiero che lo tormentava, e mentre pensava si guardò i piedi, per scoprire se il 2 fosse lì, e grattarselo.

Non c’era.

Stava correndo veloce sul 6 e sul 9, anche se li aveva rovesciati e ribaltati così tante volte che oramai non lo sapeva nemmeno quale fosse uno e quale l’altro. Erano di colori diversi, si ricordava, ma ciò non l’aiutava per nulla, così come non l’aiutava sapere dov’erano quei due numeri, visto che a lui prudeva il 2.

«Ah! I colori!» esclamò a voce alta, facendo spaventare una pianta di Uvagufa, appollaiata sull’albero sotto cui stava passando, che volò via con il suo tipico uuuf uuuf uuuf, di disappunto.

Cifro non se ne curò, e si ricordò che più dei colori, l’idea che lo tormentava aveva a che fare con l’arcobaleno, forse proprio quello che stava davanti a lui, affondando in mezzo agli alberi, nel folto del Bosco di Uf.

Un’Uvafuga, appena prima di fare
un uuuf, uuuf, uuuf di disappunto

Il 2 però continuava a pizzicare, e Cifro, sempre correndo, si guardò più in su del 9 e del 6 ma… niente! Vide il 4, il 7, il 5… persino lo 0, che quello, ovunque lo mettesse, non gli dava mai un fastidio, ma del suo prurito non c’era traccia.

Forse, pensò, ce l’ho sulla testa?

E mentre roteava le pupille dentro l’8, per guardare in su, si ricordò del pensiero che lo tormentava.

«Le radici!» disse di nuovo ad alta voce, «Le radici dell’arcobaleno!»

Eh sì, perché Cifro era fatto così: quando s’impuntava in un pensiero di quelli senza i numeri, era come se gli scivolasse continuamente di mano, anche se le mani non le aveva. I pensieri con i numeri gli rimanevano addosso, appiccicati, quasi come le mosche ciccione, però senza prurito. I pensieri senza numeri, invece, come quello lì, sulle radici dell’arcobaleno, gli sfuggivano e doveva riacchiapparli continuamente, perché non gli prudesse il 2, che a proposito, non era nemmeno sulla sua testa.

Eppure gli prudeva… pensò strofinandosi il mento con una coda fatta dal 5, che utilizzava sempre per strofinarsi il mento o grattarsi la schiena, quando il 5 era in quella posizione. Ma proprio in quell’istante il 2 smise di dargli fastidio e capì, abbassando gli occhi, che l’aveva messo proprio lì sotto, a fargli da faccia, il 2!

Una Mosca Cicciona che balla
quando nessuno la vede

Cifro se lo sfregò per bene, facendo volare via due o tre Mosche Ciccione, e si ricordò che aveva pensato che se l’arcobaleno esce dalla terra, e va verso l’alto, proprio come gli alberi, allora proprio come gli alberi doveva avere le radici, e lui – ecco perché stava correndo – voleva proprio andare là, dove quell’arcobaleno sbucava dal terreno, per scavare e trovarne le radici.

E bisognava fare presto, pensò accelerando, perché gli arcobaleni durano poco poco, e poi vanno via, veloci come… come… non lo sapeva come. Non certo come una Mosca Cicciona, che quando scappava la potevi vedere, e magari rincorrere, anche se di solito era lei che ritornava, senza mai offendersi per essere stata scacciata. No, l’arcobaleno scappava in modo diverso, lui fuggiva come… come… ecco: Il 2 aveva già ricominciato a prudergli!

Per fortuna, proprio mente allungava di nuovo la coda, sbucò in una radura e lo vide.

Era in mezzo agli alberi ventati, come al solito silenziosi e inclinati per conservare il vento raccolto durante il temporale di poco prima. L’arcobaleno, bello grosso e tondo tondo, sprofondava nel terreno soffice, con tutti i suoi sette colori, compreso l’indaco, che Cifro non aveva mai capito bene che tipo di colore fosse, ma che alla fine aveva pensato simile a quello delle Uvegufe mature, o delle violette di bosco.

Stette così, a guardarlo, spalancando l’8, meravigliato da come facesse presto a sollevarsi in aria, ad arco, andando a finire chissà dove… Certo, se era un albero doveva essere ben strano, pensò, e ben strane dovevano essere le sue radici.

Cifro avvista quelle che poi non saranno le radici dell’arcobaleno

Anzi, non appena cominciò a scavare, scoprì che l’arcobaleno di radici ne aveva solo una, che si faceva via via più sottile, ma nemmeno poi tanto più sottile, e anzi, praticamente non si assottigliava quasi mai e proseguiva, poco sotto terra, per metri e metri (avrebbe potuto contarli facilmente, se solo avesse voluto, perché sulle cose da contare era sempre bravissimo) fino a sbucare un bel po’ più in là, scodinzolando allegramente.

Cifro si avvicinò.

Quella radice scodinzolava così tanto, ma così tanto, che dopo poco pensò che non sembrava proprio per nulla una radice, ma sembrava… cosa sembrava? Non gli veniva proprio in mente. Che cosa può essere una cosa che scodinzola? Si chiedeva… «Ma certo! Una coda!» gridò, facendo fuggire le mosche ciccione di prima, pronte a tormentargli di nuovo il 2.

Cifro cerca di accarezzare
la coda all’arcobaleno

Flap, flip, flap, flip, faceva la coda dell’arcobaleno, agitandosi gioiosa e sbattendo qua e là.

A Cifro venne voglia di toccarla, ma appena la sfiorò, usando il 3 come se fosse una grossa tenaglia, la coda si agitò ancora di più e la terra vibrò, sotto di lui.

«Ah, ma se ti comporti così, come faccio a farti una carezza?» chiese Cifro, con l’aria imbronciata (o almeno quella che lui, attorcigliando tra loro un paio di numeri a caso, credeva fosse un’aria imbronciata).

La coda, però, non smetteva di agitarsi, e fu allora che a Cifro venne un’idea da almeno cento 0, di quelle che pesano poco ma valgono tanto. Se l’arcobaleno aveva una coda, lì da quella parte, significava che dall’altra doveva per forza avere una testa!

Cifro imbronciato

Guardò in alto, tra i rami del Bosco di Uf, zeppi di Uvegufe.

L’arcobaleno correva e attraversava il cielo, coloratissimo, con il rosso e il viola che racchiudevano gli altri cinque colori (Sì, perché i colori dell’arcobaleno erano sette, e quello sì che era un pensiero con i numeri, di quelli che non gli potevano sfuggire).

Non c’era tempo da perdere. Cifro infilò il 5 dentro lo 0, come fosse una ruota, e… VIA!

Schizzò prima tra gli alberi ventati, spaventando Uvegufe e terrorizzando i Palepik, così veloce da farli piegare tutti nell’altra direzione, e poi ancora tra quelli ventosi, che erano praticamente identici, solo che il vento lo soffiavano fuori dai rami, invece di trattenerlo, con degli whoooosh (o degli whuuuush) da far tremare il naso e le orecchie. Doveva fare presto, perché temeva che da un momento all’altro l’arcobaleno sarebbe scomparso, proprio come fanno gli… le… i… «Boh!?» esclamò Cifro fermandosi proprio dove, come era successo prima, l’iride scompariva nel terreno, ancora umido di pioggia.

Cifro che corre a tutta velocità, spaventando un Palepik,
prima di piegare gli alberi ventati

Stavolta non perse tempo a scavare, strizzò l’8, per vedere meglio, e si incamminò nel prato soffice, facendo cadere le goccioline dai fili d’erba su cui si erano rifugiate, spaventate, perché non avevano idea di che fine avessero fatto le loro sorelle, risucchiate dalla terra.

«Ahi! Uhi! Ooohi!», sentiva a ogni passo.

«Oh, quante storie!» esclamò Cifro, «Suvvia, non vi succederà niente di male!» e dicendo così cominciò a saltare, per farle cadere tutte. «Ahiahi! Uhiuhi! Ooohiohi!» continuava a sentire.

E allora saltò ancora di più: «Ma quante siete?!» disse, osservando però che l’erba era quasi asciutta.

Gocce di pioggia, che si aggrappano
spaventate ai fili d’erba

Eppure i lamenti continuavano: «Ahiaihà! Uhiuihù! Ooohioihò!»

Cifro si fermò, poggiò i gomiti (anche se, a dire il vero, posò il 3) su due enormi massi tondeggianti e scrutò tra i tronchi e il fogliame. Gli alberi non erano più ventosi, né ventati: se ne stavano lì, calmi e radi, a cullare le foglie, perché il temporale le aveva tenute sveglie per tutta la notte, e ora avevano bisogno di riposare. Non si vedeva alcuna testa d’arcobaleno. E nemmeno un’altra coda, a dirla tutta. E tanto più Cifro guardava, tanto meno comparivano teste o code di sette colori.

«Era ooora», disse una voce profonda profonda, come se fosse avvolta in una coperta, chiusa in una scatola e sepolta in una caverna, e Cifro sobbalzò.

Continua nella seconda parte

Comments

  • Noè
    1 Febbraio 2013

    E il pdf?
    :-/
    Nun lo trovo!

    reply
  • 1 Febbraio 2013

    arriverà quando pubblico la seconda parte, no? sennò fa spoiler 😛

    reply
  • Noè
    1 Febbraio 2013

    Vabbeeene!
    (con sospiro prolungato di rassegnazione e pazienza).
    ^_^

    reply
  • 1 Febbraio 2013

    La mosca cicciona che balla quando non la vede nessuno mi piace troppo 😀

    reply
  • Elisa
    2 Febbraio 2013

    Mi sono divertita, penso che possa piacere ai bambini, tu lo sai che le scrivo e le illustro anch'io e, prima di dare il via, prendo un pargolo interessato e gliela leggo. E' il mio termometro e, credimi,se vale l'interesse sale.
    Anch'io porto per la mosca cicciona.
    Splendidi i disegni, quelli te li invidio, per l'essenziale.
    Bravo

    reply
    • 2 Febbraio 2013

      oh! grazie! tu mi rendi felice! In effetti non è magari troppo per bambini, forse, ma almeno qualcuno che mi dà soddisfazione 🙂
      Grazie!
      Comunque per ora i test di lettura sono positivi:)

      reply
  • 2 Febbraio 2013

    Voglio una pianta di uvagufa!
    Adesso!

    reply

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