"Lo stato di grazia e altri racconti" di Harold Brodkey****

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"Lo stato di grazia e altri racconti" di Harold Brodkey****

Domenica era bel tempo. Molto bel tempo. E io andai al mare, a passeggiarlo, e mi portai dietro due sole cose, nelle tasche, la macchina fotografica e l’ipod. 
Poi mi son detto, e vabbè, m’infastidirà, non mi sta nella tasca delli jeans, magari pure non è una lettura agevole mentre si cammina sulla spiaggia, ma tuttavia mi sono portato pure la solita edizione domenicale soleventiquattrorica, dedicata a un per me sconosciuto Harold Brodkey
Oh, certo, non è che pensavo di leggerlo tutto, nemmeno metà.
Ma tra un pausa e l’altra, mi alternavo tra la lettura del primo racconto ascoltando lana del rey, e la danza sfrenata sul bagnasciuga, con buona pace dei passanti, e l’ascolto di 4 canzoni in repeat. Sad statue e kill rock’roll dei Soad, little black submarine dei black keys e satellite dei rise against. 
Alla fine, non so perché, le due attività, invece di entrare in conflitto, si sono mescolate, e ho preso a pensare, mentre danzavo, a qualche passaggio di questo primo racconto, che non mi è dispiaciuto. Davvero no.
Ve ne riporto un paio, per darvi un’idea di questa lettura e dei miei pensieri in proposito.
Tanto per cominciare, Brodkey fa un uso massivo, ma non fastidioso, della parentesi, nel primo brano narrato in prima persona come una lunga analessi da un fu-quattordicenne (potete leggere il racconto, se vi interessa, scaricando da qui).
C’è molta tenerezza, a tratti, ma molto poca ingenuità, perché per l’appunto, il narrante, è cresciuto e si quarda indietro non senza celare il rimorso, anzi, quasi per raccontarcelo. 
E questo anche se non c’è poi molto da rimpiangere, se non un modo di essere, di amare, di vivere la vita da quattordicenne che si lascia andare piuttosto che da adolescente semiproblematico.
E in questi fra parentesi, di cui vi dicevo, ci sono delle cose belle, quasi para-pensieri che potrebbero essere evitati, ma che sono teneri e densi, incisivi, e a me, alcuni, sono piaciuti.
Sentite questo, per esempio, dove il protagonista parla della vicina di casa, da cui fa il babysitter:

La signora Leinberg era molto graziosa; bruna come mia madre ma non così bella. Anzitutto, era troppo piccola; era alta sì e no un metro e mezzo e io torreggiavo letteralmente sopra di lei. In secondo luogo, non era per niente regale. Ma non aveva mai i denti macchiati di rossetto e i suoi vestiti erano quasi sempre nuovi e i suoi occhi, dolci. (Gli occhi di mia madre erano incomprensibili: un palcoscenico buio sul quale venivano rappresentate indistinte scene di folla, e tutto, quello che uno poteva percepire era tumulto e dramma, né aveva importanza quanto durasse l’attesa; le luci non si accendevano mai e la scena non veniva mai spiegata.)

Ed è proprio su questa lunga similitudine che mi sono soffermato, pensando che comunque ci vuole del bello, per descrivere così gli occhi di una madre che, nel racconto, è vista esternamente dal ragazzo, ma per il lettore è comunque persona che soffre, in difficoltà, che se fa un errore è quello di volere troppo il bene del figlio, con la conseguente semicecità, quasi richiamata da questa descrizione.
Poi, nel secondo racconto, ho trovato un altro bel passaggio, tra i tanti, che vi voglio riportare, ma prima finiamo con questo.
Premessa: non sapevo, né so ora, chi sia Brodkey e cosa abbia scritto. Certo, sul retro si dice che ha scritto questoeqquello, e su wiki molto poco, e questo, per una volta, non mi dispiace, perché non è che bisogna sempre cercare quelli che han vinto nobel/pulitzer vari.
Poi però sono arrivato a una certa riga, del primo racconto, e mi son cadute, per un attimo, le palle. Vi dico subito che è stato un falso allarme, per fortuna, però il pensiero io l’ho fatto, e ve lo dico.
Dunque, sono passate 5 pagine in cui ci si focalizza sul malvivere di un preadolescente non-ricco con situazione familiare imperfetta e carattere chiuso ma cervello molto aperto. Bene. Ed ecco arrivare questa frase:

Anche il fatto di essere ebreo mi dava fastidio, perché significava non poter essere mai uno degli eletti – i biondi atleti dal fascino disinvolto.

Ebbene… non per essere cattivo, ma il mio pensiero è stato: “Eh no cazzo! ma non mi dire che anche questo qui l’hanno scelto e pubblicato perché sta qui a frignare di ebreitudine?! perché qua sembra che se non scrivi di ebreitudine, negritudine, gaytudine, e soprusivaritudine non ti considera nessuno…” E mi sono perso un po’ in questi pensieri…
Falso allarme, vi dicevo, perché questi tre racconti, tutti di buon livello e molto godibili, parlano di adolescentitudine, e solo in questa parte c’è l’accenno alla situazione degli ebrei del Ghetto negli Usa, prima che possano migliorare la loro vita sociale.

Per essere precisi, anzi, vi dico che il secondo racconto parla di amicizia, il terzo di amore. Un po’ come un taglio trasversale dei tre fronti adolescenziali: lo star bene con se stessi, con l’amico del cuore, con la donna dei propri sogni.
E a proposito del secondo racconto, che forse forse potrebbe essere quello che per stile ho preferito, vi volevo lasciare un pezzettino, per mostrarvi come Brodkey descrive l’Europa vista dagli occhi di due yankee fuggiti in cerca di cultura, con un’amicizia che è una lama a doppio taglio.

Quando sbarcammo a Dieppe, la mia gioia, lasciatemelo dire, la mia gioia si alzò come uno stormo di uccelli sorpresi. Tutto ciò che vedevo o udivo, l’intera città color pastello, le case serene e placide come le verdi acque del porto, ogni cosa eccitava un nuovo battito delle bianche ali. A uno dei moli, un gruppo di battelli da pesca si affollava in una confusione di alberi, gli scafi verdi e neri e rossi, ricurvi come fette di melone. Lungo tutto il porto c’era una fila di case, con qua e là un vuoto o un mucchio di macerie o un pezzo di muro. Ma questi erano i colori delle case: verde pallido e rosso malva, giallo chiaro come un tenue raggio di sole, rosa sbiadito e un grigio lievemente azzurregnolo. E poi, appollaiate sul fianco di una collina, le immemori rovine di un castello.
Lo sguardo di Duncan percorse amorosamente tutto il quadro. “Ogni città dovrebbe avere un castello”, d
isse.

Ecco, al di là che la descrizione è proprio bella, ma soprattutto quella frase, mollata da Duncan, che poi si rivelerà essere comunque il più superficiale dei due, è quasi come un tuffo nelle riflessioni. Mi ha lasciato fluttuare, lì in riva al mare, con le ombre oramai lunghissime, a come sia vero, auspicabile, simbolico, che ogni città debba avere un castello.
Terzo racconto, il più lungo, Educazione sentimentale, dove si segue le fasi un innamoramento strano, forte, denso, perduto eppure non felice, tra due diciannovenni alla loro prima esperienza con tutto ciò che è sesso amore e infatuazione. Coglie i sentimenti in punta di piedi, l’autore, e anche se in qualche passaggio non si riesce a scorgere i giovani d’oggi, tutti burrasca e superficialità, non stona leggere di Elgin e Caroline e del loro modo di educarsi al sentimento.
Okay, chiudiamola qui.
Mi sono dilungato troppissimo, e sapete che vi dico? Che scrivendo questo post mi sono accorto che alla fine, questi tre racconti, si meritano non tre, bensì quattro stelline. Belli.
Li si trova nella raccolta di racconti della Fandango libri, o comunque – se lo beccate – dai giornalai che se lo son tenuto, dopo domenica.
La prossima settimana è l’ora di un autore che adoro: Bulgakov.
Ne godrò, comunque sia il racconto “Morfina“.
Ciao cicciopuzzoli!

Comments

  • 13 Marzo 2012

    Da quel poco che hai lasciato trasparire questo scrittore ha una buona capcità di descrivere le cose, le persone e gli stati d'animo con poche pennellate-
    E' una qualità rara al giorno d'oggi.
    Ciao.

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  • 14 Marzo 2012

    E questo, tra i 20 che mi mancano, lo metto in alta priorità!

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  • 14 Marzo 2012

    Grande autore, nonostante ne parli bene persino la Pivano.
    È morto già negli anni '90, ed è davvero un peccato, anche se Brodkey è sempre stato un autore più fantastico – nel senso di letterariamente esistente nel mondo degli scrittori americani – che reale.
    Godibile fino all'urlo. Consigliabilissimo «Storie in modo quasi classico».
    Quanto al siluro alla Pivano posso, eventualmente, spiegare, se proprio qualcuno insiste.

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    • 14 Marzo 2012

      grazie per il consiglio! Tra l'altro è uno di quelli che mi ha fatto pensare, ogni tanto, che la letteratura americana è veramente valida, in un certo tipo di cose. Tipo questa.
      Sulla Pivano… naaaa, non ce lo dire 😉

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  • 14 Marzo 2012

    Sembra interessante. Ciauuuuuuu!!!!! 😉

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