“Il pellegrinaggio in Oriente” di Hermann Hesse***
“Il pellegrinaggio in Oriente” di Hermann Hesse è il numero 18, certo, e adesso sono arrivato a una lettura recente, visto che siamo a metà del mese scorso.
Però prima le cose da dire sono altre.
Credevate che la raccolta “Racconti d’Autore” terminasse con il numero 20, in edicole ieri? E invece no!
Ecco che per l’enorme gradimento bla bla bla, il successo bla bla bla, il riscontro bla bla bla il buon Sole 24 Ore annuncia che ci saranno ben altri 20 numeri di Racconti d’Autore.
Anzi, ci dice già che domenica prossima ci sarà “La bestia nella Jungla” di H. James (libro che è nella mia lista dei libri da leggere, per altro) e poi altri nomi come Fitzgerald (due racconti), Guy de Maupassant, Nadine Gordimer, John Cheever, Checov e Manuel Vasquez Montalban. Ah, e poi anche Andrea Vitali, autore in auge oggi, con un racconto scritto apposta per.
E’ una bella notizia?
Sinceramente sì, per vari motivi. Ho scoperto un sacco di roba nuova, e riletto roba che non mi è dispiaciuto, tanto per cominciare, e poi l’inserto della cultura del Sole è decisamente interessante e qualcosa da leggere c’è sempre. Inoltre ho visto in parecchi a leggere questi librettini, la domenica in spiaggia, ed è una cosa bella.
Anzi, mi ha fatto venire in mente quasi una lettura condivisa.
Per dire, ieri, dopo aver letto Vargas Llosa, scambiare due chiacchiere con la vicina di ombrellone settantenne sul quale racconto preferiva e perché, è stato decisamente corroborante e piacevole. In fin dei conti, è così che vorrei il mondo.
Ma torniamo a Hesse.
Beh… le avete già viste le tre stelline. Non mi è piaciuto “alla grande” e come potrebbe essere, visto il gradimento che pare avere nella scala dei lavori di HH.
Temevo fosse così, lo confesso. Temevo perché Hermann è stato una delle mie infatuazioni giovanili. Di quelle che leggi e dimentichi, perché ancora sei troppo giovane, ma le cui sensazioni ricordi per l’eterno. Che periodo sarà stato? Inizio superiori? Boh. Non è importante.
Fatto sta che è abbastanza comune, in fase adolescenziale, partire in fissa per Hesse. L’idea di vagabondare, di essere cittadino del mondo, la sua bucolicità naturopeica intrisa di trascendenza predoorsiana… insomma. Non dico il must Siddharta, che anche io ho trovato stucchevole e dolciastro, a tratti, ma per libri come il solipsista lupo nella steppa e il gaio Narciso e Boccadoro, diciamo che è facile infatuarsi.
Solo che io ero peggio. Lessi un po’ tutto il leggibile, temo. Peter Camezind, Sotto la ruota, Knulp, Rosshalde, Demian, Klein und Wagner, Klingsor… lessi tutta quella roba. Tutta di fila, credo. Eppure, ricordo, ero talmente consapevole che dopo un po’ era la stessa minestra, che anche io mi chiedevo perché mai continuare. Poi trovavo una frase, magari, che mi piaceva, che mi pareva, ingenuamente, riassumere la vita, ed ero soddisfatto. Insomma, la sto facendo lunga per evitare che mi veniate a rompere il pallume dicendomi una delle seguenti cose:
a) non capisci un’amazzone! Hesse è un grande e la sua semplicità bla bla bla…
b) Non capisci un arazzo! Hesse è un autore sopravvalutatissimo e inutile e bla bla bla…
Sarò anche stato ingenuo, insomma, ma rileggere Hesse, seppur con questo unico breve racconto, è comunque una prosecuzione che viene da una conoscenza vasta.
Anzi, vi dirò di più. Già all’epoca, se mi chiedevate il mio HH preferito – e ora come allora – vi rispondo senza dubbio “Il giuoco delle perle di vetro” e so già che tra voi c’è qualcuno che la pensa come me. Difficile e impegnativo, quel libro, ma mi aprì dei mondi che a tutt’oggi non si sono chiusi.
Bene, ma io dovevo parlarvi del racconto! Scusate, ho divagato, ma erano notizie interessanti e volevo dirvele.
Dunque, il racconto… o romanzo breve, che dir si voglia.
E’ strano, non posso negarlo. Ed è interessante, anche questo è innegabile. Inoltre, contiene il tema fondamentale della poetica hessiana (no, che avete capito, non è roba di matematica!) ovvero il tema del viaggio. Non è importante dove vai, ma l’importante è sentire che vai, direbbe Ligabue. E un po’ è questo, il pellegrinaggio che il protagonista ci racconta, animato da fervore religioso, proprio perché di grande prova di fede si tratta. E ce lo narra in una retrospettiva, dopo che il pellegrinaggio e la “Lega” si è dissolta, diluita da crisi interne, deteriorata da perdite della fede e quanto può danneggiare i fervori religiosi.
Di che Lega stiamo parlando?
Non ce lo dice, l’io narrante, perché non può, ha giurato, ha fatto voto, non si tradisce nemmeno dopo esserne usciti, ma ugualmente cercherà di raccontarci tutto.
E c’è decisamente del gradevole, in certe cose, anche dal punto di vista narrativo. La prima persona, ovvero lo stesso H.H., musicista, rivive la sua missione, il suo fallimento, ci vuole narrare della Lega con dovizia di particolari. Riuscirà?
No, ovvio. Può solo introdurci a questa misteriosa setta pregna di spiritualità che ha attraversato i secoli, partendo da Pitagora e arrivando, nei tempi di chi narra, a suoi amici come il pittore Klee, o Klingsor, o altri personaggi, più o meno reali. Come dite? Non esiste una cosa simile? Ovvio che no, visto che è segretissima! Però, è talmente segreta che eccola ricomparire, nell’istante in cui H.H., che ha completamente smarrito la fede, decide di cercarla o – se non altro – fissare in parole il suo smarrimento, parlandocene.
La Lega lo punirà? Sì, diciamo. Ma non come crede il lettore…
E soprattutto, ed è la cosa che salvo di questo racconto e che mi permette di dargli la terza stellina, è ben gestito il simbolismo legato alla colpa, al modo in cui il narratore si scopre colpevole (quasi assieme al lettore) e la gravità delle sue colpe. La parte finale, benché a tratti un po’ appesantita da una sensazione di “inconcludenza verbale”, riesce comunque a dare alcune risposte alle domande spirituali che il narratore si è posto. Al di là di questo, però, comprendo come questa narrazione così legata al simbolismo, se presa nel verso sbagliato, potrebbe infastidire.
Mettiamola così: se uno comincia a leggere una prima persona al passato remoto che ti dice che “ora vi racconterà la storia particolareggiata della Lega e del pellegrinaggio in Oriente” e poi arrivi a metà libro che della Lega non sai quasi nulla e la comitiva è ancora in Svizzera… beh, potrebbe essere che storci il naso.
E io, lo devo confessare, pur conoscendo l’alta simbolicità del racconto, pur comprendendo benissimo che il viaggio è metafora spirituale (siamo nel ’30, qui, teniamolo presente), alla fine sono rimasto insoddisfatto, per lo meno dal punto di vista narrativo.
Forse, ma sottolineo forse, non è Hesse, ma sono proprio la poetica del viaggio, il concetto di spiritualità, l’idea di pellegrinare senza meta inteso come meta stessa, che hanno molta meno forza, ora, sia per il mio tempo (leggi: età) sia per i nostri tempi (leggi: epoca).
Non lo so. So solo che pur non essendomi pesato leggere questo breve romanzo simbolmetaforico, non mi è venuta nessuna voglia di riaffrontare o rileggere “(questo tipo di) Hesse. E’ stata un’infatuazione giovanile, e tale resterà.
marco
la sua bucolicità naturopeica intrisa di trascendenza predoorsiana
Fucilatelo all'istante!
Narciso e Boccadoro è gaio?
C'era un bell'articolo di John Crowley sul Gioco delle Perle di Vetro. Te lo linkerei, ma tu non leggi in inglese e non sai chi è John Crowley, per cui è sprecato 🙂
Ma insomma, tu 1) vai ancora al mare 2) usi Vargas Llosa per attaccar bottone con donne mature e navigate, bravo sono impressionato
Secondo me ad occhio La bestia nella giungla non ti piace, dimostrati prevedibile!
gelostellato
dici così solo perché non ti sei sciroppato tutte quelle storie di vagabondi integrandole con le poesie di hesse. sennò bucolicità naturopeica ecc non ti parrebbe così strana :))
la bestia, vedremo… non so. 🙂