"Il paese delle prugne verdi" di H Müller****
Nell’incipit di questo prologo credo vi sia già il succo dell’intero stile dell’autrice. Ve lo riporto, perché è veramente bello:
“SE stiamo in silenzio, mettiamo in imbarazzo, diceva Edgar, se parliamo diventiamo ridicoli. Sedevamo da troppo tempo davanti alle foto sul pavimento. A forza di sedere le mie gambe si erano addormentate.
Schiacciavamo tante cose con le parole in bocca quante coi piedi nel prato. Ma anche col silenzio.
Edgar taceva.
Non riesco a immaginarmi alcuna tomba, oggi. Solo una cintura, una finestra, una noce e una fune. Ogni morte per me è come un sacco.“
Credo che la particolarità non sia tanto nelle descrizioni dei trattamenti perpetrati dal regime rumeno. Sarebbe facile inquietare e far inorridire pensando agli interrogatori, alle perquisizioni, agli altoparlanti che trasmettono sempre gli stessi canti nazionalisti, al collegio dove bisona mangiare tutto col cucchiaio, carne compresa, e al successivo rumore di masticazione e strappamento del cibo. Certo, queste cose ci sono. Le potete leggere addirittura nel risvolto, che vi riporto, perché è perfetto per descrivere come i 4 protagonisti comunicavano:
«Scrivendo non dimenticare la data e metti sempre un capello nella lettera, disse Edgar. Se dentro non c’è vuol dire che la lettera è stata aperta.
Singoli capelli, pensai tra me, sui treni, attraverso il paese. Un capello scuro di Edgar, uno chiaro, mio. Uno rosso di Kurt e Georg. Entrambi venivano soprannominati dagli studenti ragazzi d’oro. Per l’interrogatorio una frase con forbici per unghie, disse Kurt, per la perquisizione una frase con scarpe, per il pedinamento una frase con raffreddato. Dopo il titolo sempre un punto esclamativo, per una minaccia di morte solo una virgola.»
Però l’aspetto migliore non lo trovate in queste parti, perché qui è la storia che parla, è il regime, certo, ben raccontato, ma è pur sempre il fatto, il protagonista, e non la penna.
Le parti migliori sono altrove, dove si coniuga la visione, quasi surreale, della narratrice, con la realtà. Vi cerco solo un pezzo, e poi basta, sennò vengono quelli della Keller e mi tagliano le dita con le forbici.
Ecco, trovato. Lola è la ragazza che si suicida e unisce, casualmente, con il suo quaderno-diario, i 4 amici. Lola esce la notte, sui tram che riportano a casa gli operai dal mattatoio o dalla fabbrica di detersivi. Lei sei fa scopare, per terra, sotto un ramo basso, accendendo un fuoco nella loro testa stanco, uomini fatti solo d’ombra. La protagonista la vede di sfuggita, nella doccia, una volta, ed ecco come lo racconta:
“Sulla schiena di Lola vedevo una corda coperta di croste e sopra la natica un cerchio coperto di croste.La corda e il cerchio assomigliavano a un pendolo.
Lola girò velocemente la schina e vidi il pendolo nello specchio. Avrebbe dovuto battere l’ora, perché Lola fece un salto, quando entrai nella doccia.“
Bello vero?
Se volete leggere queste pagine a scrocco sono dalla 21 alla 27.
Poi ci sono altri pezzi favolosi, come le pecore con le zampe rosse o le forbici o le stesse prugne verdi, di cui i soldati del regime si riempivano la bocca.
Attenzione però, che non è un libro facile. Anche se le frasi sono corte (mai più di 2-3 verbi fra due punti, credo) la lettura è lenta, vuoi perché spesso le immagini ti chiedono di rallentare, di fermarti a pensarle, vuoi perché se lo prendete con il piglio sbagliato, non c’è storia, questo libro diventa una palla colossale. Bellissima, ma colossale. Quindi ci vuole spirito, per leggerlo. Se siete abituati a thriller sparaspara o noir mazzammaza o vampiri trombatromba o maghetti agitabacchette e pensate che i libri con poca trama vadano cremati, beh, girate alla larga. Non voglio avere sulla coscienza lettori scontenti.
Se vi piace una scrittura lirica, densa e a trattu visionaria, intrisa di storia, di europa e forza d’animo e anche di rabbia. Beh, leggetelo.
Concludo dicendovi che il titolo originario era “La bestia del cuore” titolo che in tedesco era molto più icastico della traduzione italiana (Herztier), nonchè essere un filo rosso che appare e scompare nel corso delle pagine. Anche il titolo con le prugne verdi però stavolta non è proprio buttato lì, anche se mi paiono abbastanza visibili i tentativi di piacioneria insiti (lo stesso peso delle prugne verdi, tanto per dire, ce l’hanno i meloni di legno, o i sacchi, o le forbici, o la cintura, ma prugne verdi, ma avranno cercato di ricordare cose come i pomodori verdi fritti o valli a capire).
Basta. Vi ho tediato abbastanza.
Tornatevene pure a fun cool! finché siete in tempo 🙂
E non mangiatele verdi, le prugne, che si muore.
Matteo Poropat
Bell'articolo. Non ho letto il libro, ma siccome finisco per seguire spesso i consigli lo farò.
Non per niente oggi alla feltrinelli ho preso le lezioni americane di calvino.
gelostellato
beh, su quello non hai fatto bene
hai fatto benissimo!
già già…
Alex McNab
Sono notoriamente un buzzurro redneck dai gusti semplici, quasi animaleschi.
Non credo che sia il libro che fa per me. Odio i sofismi e le ricercatezze stilistiche mascherate da semplicità espositiva (abolizione di capitoli etc etc).
Comunque mi è piaciuto molto come lo hai descritto e recensito, senz'altro hai reso più l'idea tu di tanti altri critici che scrivono per noti quotidiani. Leggendo i loro articoli sul libro della Muller la prima cosa che mi veniva in mente era: questi non l'hanno nemmeno aperto…
Frank Spada
E pensare che sapevo già che lo avrebbe letto, che lo avrebbe commentato, che lo avrebbe recensito come sa fare solo uno scrittore che tiene gli occhi aperti su tutto, mai stanco di indagare, di cercare se stesso attraverso gli altri, sperimentando il proprio scrivere con curiosità, e l'immodestia di un "Animale del cuore".
E pensare che lo sapevo già che Gelostellato sarà presto uno scrittore da premiare.
gelostellato
A te mac credo proprio che non piacerebbe manco per un caz 🙂
e tu Frank se non la finisci ti mangio le orecchie 😀
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