"Il paese delle prugne verdi" di H Müller****

"Il paese delle prugne verdi" di H Müller****

Anche se siamo in pieno Fun cool! l’attività del blogghe prosegue e mi sembra giusto cominciare a parlarvi del primo libro dell’anno con il mio primo libro dell’anno. O meglio, con il libro del primo dell’anno.
Già sapete, forse, che ogni mattina del primo gennaio, da una decina d’anni in qua, da vero sfigato emo sono solito passeggiare in riva al mare leggendo un libro che comincio quel giorno stesso.
Di solito è un libro qualsiasi che mi compro il 30 o il 31 in una libreria qualsiasi, quest’anno però ho talmente tanti libri sullo scaffale che ho deciso per questo regalo di Frank, anche perché è un libro che da solo non mi sarei comprato ma aveva le caratteristiche tipiche da libro del primo dell’anno.
(che per la cronaca sono: essere piccolino, sia di formato che di pagine, stare nella tasca interna del mio giaccone matrix-style e soprattutto avere una componente poetico-riflessiva.).
Se per caso avete già visto questo libro che parla di prugne verdi e con in copertina quella che pare una mela (verde, of course, ma pur sempre una mela), dicevo, se l’avete già visto in bella mostra sugli scaffali delle librerie e vi state chiedendo chi cazzo sia ‘sta Herta Müller, beh, avrete sicuramente letto anche la fascetta che circondava il libro e che diceva qualcosa del tipo: “vincitrice del premio Nobel 2009“.
Abbiamo il brutto vizio, italioticamente parlando, ogni volta che esce il vincitore del Nobel, di lamentarci del fatto che premino degli sconosciuti prima ancora di andare a conoscere e giudicare; ed effettivamente, in lingua italiana, a parte questo libro e un altro racconto, non è che ci fosse molto di tradotto e circolante, prima del Nobel. (Leggevo tra l’altro non so dove che i diritti pare fossero stati acquistati, non mi ricordo da chi, per 1000euri, prima che arrivasse la notizia del Nobel).
Se poi magari, per vedere chi sia la scrittrice in persona, vi imbattete in qualche sua foto come questa, va che va che non vi leggete nemmeno l’articolo e pensate che a questa qui gli stanno sul cazzo tutti a prescindere, voi compresi, e pensate anche che è ora di finirla con queste menate da profugo di un regime (quello rumeno, in questo caso) che racconta la sua storia e bisogna dargli il Nobel. (Diciamo pure che io, almeno, potrei essere uno di quelli che la pensava così, ed è per questo che non l’avrei comprato, il libro). No, vi prego, non fate questo errore.
Intanto perché pare che la Müller, aldilà della faccia da cagacazzi, sia una persona squisita e disponibile, per di più molto riservata. In secondo luogo perché il libro può piacere o meno, ma ha uno stile e una integrità narrativa che è tutt’altro che raffazzonata o superficiale, e un Nobel, se accediamo al concetto che nulla abbia a che fare con fama, vendite e fruibilità delle opere, ci sta tutto, soprattutto se le altre opere sono di questo tenore.
Ma cos’ha di bello questo libro?
Due parole di contorno ci vogliono. Tanto per cominciare tenete presente che è nato e scritto in tedesco e che il tedesco di Herta era lingua proibita, o comunque di minoranza linguistica perseguitata nella Romania di Ceauşescu. Seconda cosa, che fa bello raccontare anche se letterariamente la trovo pura fuffa pro-marketing e pro-retorica, pare che la irta Herta agli irti sproni della securitate rumene, dopo la sua emigrazione in Germania, si rifiutò di collaborare, non ricevendo per questo di certo delle rassicuranti pacche sulle spalle e buffetti sulle guance.
Bene. Vi siete rotti, immagino, ma ora possiamo parlare del libro.
(non so se si è capito, ma io ho il brutto difetto di pensare che i contorni facciano parte della bistecca)
Il libro è un prima persona (autobiografica) femminile che partendo da un’mmagine della narratrice e di Edgar che guardano delle fotografie (un piccolo prologo) comincia la narrazione della storia della protagonista, di cui mai si dice il nome, e dei suoi tre amici, conosciuti per via del suicidio di una compagna di stanza, Lola, ai tempi del collegio.
Nell’incipit di questo prologo credo vi sia già il succo dell’intero stile dell’autrice. Ve lo riporto, perché è veramente bello:
SE stiamo in silenzio, mettiamo in imbarazzo, diceva Edgar, se parliamo diventiamo ridicoli. Sedevamo da troppo tempo davanti alle foto sul pavimento. A forza di sedere le mie gambe si erano addormentate.
Schiacciavamo tante cose con le parole in bocca quante coi piedi nel prato. Ma anche col silenzio.
Edgar taceva.
Non riesco a immaginarmi alcuna tomba, oggi. Solo una cintura, una finestra, una noce e una fune. Ogni morte per me è come un sacco.
Il libro è così. Ci sono tutte le caratteristiche. Tanti piccoli pezzi, non-paragrafi non sempre cronologicamente legati, niente capitoli, niente segni introduttivi dei dialoghi (ma il libro non ne soffre, forse la lettura sì) e in maiuscolo l’inizio di ogni non-paragrafo. Visioni e piccoli giochi con le parole e un senso di inquietudine e soffocamento che pervade ogni riga.
Credo che la particolarità non sia tanto nelle descrizioni dei trattamenti perpetrati dal regime rumeno. Sarebbe facile inquietare e far inorridire pensando agli interrogatori, alle perquisizioni, agli altoparlanti che trasmettono sempre gli stessi canti nazionalisti, al collegio dove bisona mangiare tutto col cucchiaio, carne compresa, e al successivo rumore di masticazione e strappamento del cibo. Certo, queste cose ci sono. Le potete leggere addirittura nel risvolto, che vi riporto, perché è perfetto per descrivere come i 4 protagonisti comunicavano:
«Scrivendo non dimenticare la data e metti sempre un capello nella lettera, disse Edgar. Se dentro non c’è vuol dire che la lettera è stata aperta. 
Singoli capelli, pensai tra me, sui treni, attraverso il paese. Un capello scuro di Edgar, uno chiaro, mio. Uno rosso di Kurt e Georg. Entrambi venivano soprannominati dagli studenti ragazzi d’oro. Per l’interrogatorio una frase con forbici per unghie, disse Kurt, per la perquisizione una frase con scarpe, per il pedinamento una frase con raffreddato. Dopo il titolo sempre un punto esclamativo, per una minaccia di morte solo una virgola.»

Però l’aspetto migliore non lo trovate in queste parti, perché qui è la storia che parla, è il regime, certo, ben raccontato, ma è pur sempre il fatto, il protagonista, e non la penna.
Le parti migliori sono altrove, dove si coniuga la visione, quasi surreale, della narratrice, con la realtà. Vi cerco solo un pezzo, e poi basta, sennò vengono quelli della Keller e mi tagliano le dita con le forbici.
Ecco, trovato. Lola è la ragazza che si suicida e unisce, casualmente, con il suo quaderno-diario, i 4 amici. Lola esce la notte, sui tram che riportano a casa gli operai dal mattatoio o dalla fabbrica di detersivi. Lei sei fa scopare, per terra, sotto un ramo basso, accendendo un fuoco nella loro testa stanco, uomini fatti solo d’ombra. La protagonista la vede di sfuggita, nella doccia, una volta, ed ecco come lo racconta:
Sulla schiena di Lola vedevo una corda coperta di croste e sopra la natica un cerchio coperto di croste.La corda e il cerchio assomigliavano a un pendolo.
Lola girò velocemente la schina e vidi il pendolo nello specchio. Avrebbe dovuto battere l’ora, perché Lola fece un salto, quando entrai nella doccia.

Bello vero?
Se volete leggere queste pagine a scrocco sono dalla 21 alla 27.
Poi ci sono altri pezzi favolosi, come le pecore con le zampe rosse o le forbici o le stesse prugne verdi, di cui i soldati del regime si riempivano la bocca.
Attenzione però, che non è un libro facile. Anche se le frasi sono corte (mai più di 2-3 verbi fra due punti, credo) la lettura è lenta, vuoi perché spesso le immagini ti chiedono di rallentare, di fermarti a pensarle, vuoi perché se lo prendete con il piglio sbagliato, non c’è storia, questo libro diventa una palla colossale. Bellissima, ma colossale. Quindi ci vuole spirito, per leggerlo. Se siete abituati a thriller sparaspara o noir mazzammaza o vampiri trombatromba o maghetti agitabacchette e pensate che i libri con poca trama vadano cremati, beh, girate alla larga. Non voglio avere sulla coscienza lettori scontenti.
Se vi piace una scrittura lirica, densa e a trattu visionaria, intrisa di storia, di europa e forza d’animo e anche  di rabbia. Beh, leggetelo.

Concludo dicendovi che il titolo originario era “La bestia del cuore” titolo che in tedesco era molto più icastico della traduzione italiana (Herztier), nonchè essere un filo rosso che appare e scompare nel corso delle pagine. Anche il titolo con le prugne verdi però stavolta non è proprio buttato lì, anche se mi paiono abbastanza visibili i tentativi di piacioneria insiti (lo stesso peso delle prugne verdi, tanto per dire, ce l’hanno i meloni di legno, o i sacchi, o le forbici, o la cintura, ma prugne verdi, ma avranno cercato di ricordare cose come i pomodori verdi fritti o valli a capire).

Basta. Vi ho tediato abbastanza.
Tornatevene pure a fun cool! finché siete in tempo 🙂
E non mangiatele verdi, le prugne, che si muore.

Comments

  • 10 Gennaio 2010

    Bell'articolo. Non ho letto il libro, ma siccome finisco per seguire spesso i consigli lo farò.
    Non per niente oggi alla feltrinelli ho preso le lezioni americane di calvino.

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  • gelostellato
    10 Gennaio 2010

    beh, su quello non hai fatto bene
    hai fatto benissimo!

    già già…

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  • 10 Gennaio 2010

    Sono notoriamente un buzzurro redneck dai gusti semplici, quasi animaleschi.
    Non credo che sia il libro che fa per me. Odio i sofismi e le ricercatezze stilistiche mascherate da semplicità espositiva (abolizione di capitoli etc etc).
    Comunque mi è piaciuto molto come lo hai descritto e recensito, senz'altro hai reso più l'idea tu di tanti altri critici che scrivono per noti quotidiani. Leggendo i loro articoli sul libro della Muller la prima cosa che mi veniva in mente era: questi non l'hanno nemmeno aperto…

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  • Frank Spada
    10 Gennaio 2010

    E pensare che sapevo già che lo avrebbe letto, che lo avrebbe commentato, che lo avrebbe recensito come sa fare solo uno scrittore che tiene gli occhi aperti su tutto, mai stanco di indagare, di cercare se stesso attraverso gli altri, sperimentando il proprio scrivere con curiosità, e l'immodestia di un "Animale del cuore".
    E pensare che lo sapevo già che Gelostellato sarà presto uno scrittore da premiare.

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  • 10 Gennaio 2010

    A te mac credo proprio che non piacerebbe manco per un caz 🙂

    e tu Frank se non la finisci ti mangio le orecchie 😀

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