"Favole" di R. L. Stevenson***
Sotto Natale, credo poco prima del libro dell’ultimo dell’anno, mi sono letto questo libro. Vi dico subito che non l’ho cercato, ma mi è capitato. Ho chiesto alla mia english teacher di darmi qualcosa che non avessi letto e che fosse comprensibile anche a un povero gnurant come me e alla fine ho avuto questo. Short stories, scritte da Stevenson, con testo italiano a fronte. Che volere di più?
Ovviamente lo scopo non era tanto quello di imparare l’inglese (sì, okay, anche, ma in fin dei conti me ne fotto) ma soprattutto quello di leggere qualcosa che mi interessasse, in inglese, che non avessi letto in italiano. Il libro non credo possiate trovarlo in giro per le libbrarie, per lo meno in questa edizione, (su e-bay sì), ma mi pare le favole di Roberto Luigi siano abbastanza ristampate o messe in appendice di altri suoi lavori o chissà in quali mescoloni fagocita parole della Newton e quindi chissà, se vi dovesse servire potete anche trovarlo.
A me non chiedetelo che questo lo devo restituire domani e l’ho pure macchiato di unto di pizza a pag. 82, ma voi state zitti che io sto zitto e dirò che era già così quando sono arrivato io. 🙂
Ma veniamo al libro, anche se vi avverto che non ho molto da dire, riguardo le favole di Stevenson, anche perché molte sono lavori giovanili che hanno più valore storico/interpretativo, piuttosto che letterario. Ve ne sono alcune, in ogni caso, che sono decisamente affascinanti, e altre che, pur rimanendo dei brevissimi frammenti di storie, portano con sè, in modo nitido, il bagaglio essenziale che ogni fiaba deve avere.
(morale, crudeltà, semplicità, rapidità, agilità…)
Vi lascio qualche suggestione, dando per scontato che non è un qualcosa che vi consiglio di andare a cercarvi o di leggere. E’ solo per raccontarvi qualcosa.
Interessante, per esempio, è il modo con cui Stevenson introduce le sue favole. Siamo al XXXII dell’Isola e Silver e il Capitano Smallet si prendono una pausa dal libro, filosofeggiando sul dovere dell’autore nello scrivere, prima che lo stesso li richiami dentro per continuare con il chapter XXXIII.
Lasciano di sasso, poi, alcune brevissime parentesi che danno la sensazione di vignetta morale. Ve ne racconto una tanto per farvi capire: “Il malato e il pompiere”. Un pompiere entra in una casa in fiamme e il malato gli consiglia di andare a salvare altri, i più forti. Il pompiere vuole capire perché e l’altro gli spiega che i più forti servono per aiutare i deboli. Il pompiere, persona molto ammodo, può perdonare la malattia, ma non la stupidità, e così solleva la sua accetta di pompiere e inchioda il malato al letto. Punto. Venti righe totali, per dire.
Più complesse due o tre storie, che oltre ad allungarsi chiamando in causa il meccanismo ricorsivo della favola e un numero maggiore di personaggi, si fondano su alcune morali che, cosa abbastanza strana, non sono sempre chiare e buoniste, ma a tratti paiono piuttosto criptiche, soprattutto filtrandole attraverso i finali spesso truci e poco lieti delle storie. Al esempio: “Si spezza il bastone, le pietre si sbriciolano/ Vacillano e crollano anche gli altari eterni/ Come nebbia si dissolvono le storie, i precetti/ Intorno allo sbigottito evangelista/ Incrollabile, egli resta, in vecchiaia o in gioventù/ aggrappato al suo briciolo di verità.“
La storia? Un evangelista a cui viene sputtanata davanti al naso tutta la sua fede, ma poi, visto che non ha di meglio da fare, lui non la perde, e a causa di ciò viene ricondotto a lieto fine pur rimanendo la sua fede sputtanata. Come dire… credi in qualcosa, anche se è sbagliato, che tanto non si sa mai che hai culo e ti va bene lo stesso.
La chiudo qui comunque. Anche perché è poco interessante lasciarvi delle indicazioni su queste fiabe quasi ortodosse.
Preferisco sottolineare un altro aspetto. Il leggere in inglese.
Posso fare anche un po’ la lagna, ma la lettura in english non era poi così disagevole e scorreva abbastanza bene. Il fatto è che, dopo avere accompagnato la prima lettura con quella in italiano, messa a fronte, mi riempivo di riflessioni.
Ve ne lascio solo due. Entrambe non sviluppate. Una peculiare e una generale.
Rispetto allo scrivere fiabe, è innegabile che l’inglese abbia una direzione completamente diversa, da seguire. Laddove regna la semplicità e la brevità, in italiano si è costretti a ricorrere a giri di parole, parafrasi, formule riconosciute e a volte sgrammaticate, che però ci portano nel nostro (italico) mondo fiabesco.
Attenzione, il mio “si è costretti”, non è da intendersi nel senso che non si possa fare diversamente, ma proprio nel senso che la nostra lingua pretende ciò, per rendere l’atmosfera fiabesca.
Attenzione, il mio “si è costretti”, non è da intendersi nel senso che non si possa fare diversamente, ma proprio nel senso che la nostra lingua pretende ciò, per rendere l’atmosfera fiabesca.
Insomma, scrivere fiabe in italiano e completamente diverso dal farlo in inglese. Non è un bene o un male; credo solo che le due lingue, per musicalità e conformazione, portino alla meraviglia bambinesca in due modi diversi, con costruzioni sintattiche diverse, che però, alla fine, paiono dare risultati molto simili, se non identici.
Il fatto è che la mia traduzione mentale (delle sensazioni) non era la stessa.
Il fatto è che la mia traduzione mentale (delle sensazioni) non era la stessa.
L’altra considerazione discende da questa e suona più o meno così: dei traduttori mi devo fidare. Inutile che io mi illuda di leggere in una lingua che non è la mia mother tongue. Posso avvicinarmi, comprendere tutto, ogni parola e ogni significato, ma il sapore non sarà mai lo stesso. Non è come quando fai la tesi, che se leggi issue, o inside, o supply o demand, in italiano la sensazione è la stessa. Non lo era qui, dove dovevo passare a frasette semplici a frasette meno semplici. Figuratevi allora se volessi leggere qualche autore che non scrive fiabe come queste… E’ inutile, dei traduttori mi devo fidare.
Certo, magari li posso scegliere e capire che tipo di lavoro svolgono, ma da lì a sostituirmi a essi no, non credo che arriverò mai, per quanto un’altra lingua possa penetrarmi.
Bene.
Questo era un post un po’ strano per una lettura strana.
Finisce qua. 🙂
Anonymous
a proposito dei traduttori, dovresti leggere "la malinconia del traduttore" di Franco Nasi. Spiega abbastanza bene le difficoltà e i sentimenti di un traduttore nei confronti di un libro. Mandi, Renzo
gelo
Ma… qua a forza di tradurre ita-fri e fri-ita mi toccherà leggerlo per davvero! 🙂
Mnadi!
V.P.
mo ti manca di leggere qualcosa col testo latino a fronte
una cosa a caso eh!
😉
Val.
gelostellato
e ci hai ragione, ci hai, ma appena arriva il caldo va
che adesso no 🙂