La scuola dei desideri di J. Harris****
Ci sono due modi antitetici di interpretare questo lavoro della Harris (Sì, ok, la Harris è quella di Chocolat, ma io non l’ho letto e ne ho visto il film, né ho letto altri suoi lavori).
Seconda una prima visione, che potremo brevemente definire “chemmerda”, il libro è fastidioso a tal punto da portarne a termine con fatica la lettura e votarsi alla sua denigrazione comunque ci si arrivi.
La seconda visione, che potremmo brevemente definire “cheffigata”, veda una prima fase di “chemmerda” che poi si trasforma in una sorta di esaltazione ed entusiastica baldanza, una volta terminato il libro.
Perché tutto ciò?
Beh, è presto detto. La Harris opta per una buona metà di libro in cui deliberatamente crea confusione nel lettore. Una serie di personaggi “vivi” e descritti a piccoli passi da due voci narranti. Le due voci sono quelle dei due protagonisti del libro, che se all’inizio paiono contrapporsi in una logica di bene (il vecchio, integerrimo, eccentrico, amato professore di latino) e di male (il misterioso, perfido, subdolo assassino-distruttore), alla fine si mescolano, lasciandoci con due personaggi complessi, che emergono su tutti gli altri e non fanno altro che ridisegnare un terzo personaggio. Un personaggio che non è umano, ma si comporta come se. St. Hoswald, la scuola privata maschile dove si svolgono tutti i fatti.
Ebbe, in questa prima parte, il libro, vi sta sul cazzo.
Inutile tentennare, il libro infastidisce e irrita, per la sensazione di non capire niente e per l’eccesso di nomi simili che non riuscite a ricordare.
Poi il libro entra nel vivo, vuoi con la narrazione, vuoi con la comprensione degli eventi. Emerge il cattivo e i suoi intenti. Assistete alla partita a scacchi che lui sta giocando con St. Oswald attraverso i personaggi della scuola. Mr. Straitley, il Re, è un osservatore che pian piano entra in gioco e rimane l’ultimo pezzo sulla scacchiera. Scacco matto? Patta? Chi vince e chi perde?
Non si sa. Non si saprà. O comunque ogni lettore può farsi la propria idea.
Quel che è da dire è che la Harris, gioca piuttosto bene con una struttura così complessa come quella del doppio narratore e del colpevole narrante che è nascosto ma non è nascosto. E’ un libro che avrà il suo colpo di scena, e volendo ve lo potrei rovinare con una spoilerata da maestro.
Comunque, quando si arriva al colpo di scena, di solito il lettore della seconda categoria, che ha già cominciato a cambiare idea, esclama: “cheffigata!” e da lì in poi ama incondizionatamente il libro.
E io a che categoria appartengo?
A nessuna delle due.
Il libro è un buon libro ed è stata una lettura molto piacevole. Inoltre si merita tutte le quattro stelle, invece di tre, per i seguenti motivi:
- la Harris scrive bene, non ci sono se e ma. Scrive pulito e veloce. Semplice, ma non banale.
- l”ambiente scolastico è dipinto benissimo. Bella la caratterizzazione ambientale e dei personaggi. Se ci è stata, in una scuola privata, è comunque brava. Se non ci è mai stata, è bravissima.
- Per gestire un doppio narratore, con una trama così complessa, con tanto di flashback e colpi di scena e personaggi diversi e mutevoli e lasciare, alla fine del libro, tutti i fili annodati, ci vogliono cazzi. Se guardo il libro da un punto di vista strettamente tecnico dico: “sticazzi!”
- L’edizione economica costa solo 8.90€, che per un buon libro sono pochi.
Vi dicevo che sono a una visione che sta a metà tra le due citate per un motivo. Per me il colpo di scena non è stato un colpi di scena, non perché me lo avessero svelato, ma perché la Harris mette gli indizi al posto giusto e cerca, con sufficiente onesta, di non prendere in giro il lettore. Non lo fa con rivelazioni esagerate che erano troppo nascoste, non lo fa con rivelazioni che solo un cieco potrebbe non aver visto. Sceglie una via di mezzo. A metà libro capisci la situazione, a tre quarti hai capito il colpo di scena che sta preparando, anche se non nei dettagli, e alla fine dà il tempo di tirare i fili e, con calma, di non chiudere bruscamente o con fastidiosi lieti fini o non lieti fini.
Insomma, non posso dire “chemmerda” perché vorrebbe dire essere davvero molto superficiali nel giudizio (oppure molto supponenti, credendo di aver sgamato l’autrice prima della rivelazione, quando è lei che ti suggerisce le cose prima di dirle). Non posso dire “cheffigata” perché non sono così ingenuo (purtroppo per me). Però posso apprezzare, e io, ho apprezzata.
Mi aspettano altri libri della Harris, non ho dubbi.
occazzo. mi accorgo di non avervi detto nemmeno di cosa parla il libro.
C’è una scuola privata inglese. Collegio inglese vecchio stampo, maschile, con un prof vecchio stampo, con anni e anni di mestiere, di nome Mr Straitley. Poi c’è un antagonista, non di Straitley ma della scuola, di St. Oswald. Usando le moderne tecnologie il “cattivo” che mira a distruggere un mondo che non ha potuto avere, divora dall’interno la struttura, come un cancro, riempiendola di scandali. Il gigante con i piedi d’argilla, viene da pensare. La storia è qui. Ci saranno i morti, ci sanno vincitori, sconfitti e storie.
Poi, dentro questa lettura di un thriller (perché sia chiaro, è un thriller) ci potete leggere molte cose. Ci potete leggere la cecità e l’immobilismo di una istituzione, l’avanzamento del nuovo che supera a destra il vecchio ma in retromarcia, l’amore per l’insegnamento, l’odio per la suddivisione in classi sociali e l’eterno dissidio ricchi-poveri. Insomma, una di quelle letture a buccia di cipolla. Ah, consigliato a un insegnante, di qualunque tipo esso sia.