In curva
Percorro imprudente La curva. Presa male, Forse troppo veloce, Di sicuro troppo vicino ai contorni E al palpitare Dei muscoli. Spalanco gli occhi in faccia al timore dello schianto. Il palmo sfiora la pelle, appena; I muscoli tesi Il busto s'inclina
La mano che difende
Ti cercavo le labbra con l'indice, Non per sciogliere le catene al silenzio, Ma per disseppellire un gemito, Una brama confusa Che sferza e arrossa la pelle. E le mani cercavo, Disegnate dentro la bocca Capiente di un bacio, Paonazzo, Il viso Se mai ne hanno avuto uno Ha unghie per
La mano
Vestiamo la mano di una carezza, La mandiamo via, Vagabonda, A perdersi sulla schiena, Le abbiamo riempito le tassche di un fruscio, Che volevamo voluttuoso, Ma che il sollievo Ci ha restituito caldo E timoroso. E con la stessa mano, Abbiamo ingravidato le labbra Di un sorriso, Di un bacio, Di uno schiudersi
A cucire l’aria al vento
Con la punta delle dita. Ho disegnato riverberi - libellula o tramonto - Nel calice rovesciato Del tuo piacere Spalancato. Il fiume viscoso dei languori Si è preso gioco di noi, Lasciandoci vincere E dal ventre caldo degli umori, Si levano in volo Un graffio, Un morso, Una manciata di profumi, A cucire l'aria
Quei figli di puttana
Fermateli, quei figli di puttana. Si nascondono sugli alberi, In un cerchione infangato, Negli incroci inopportuni, Uragani minacciosi. E dietro uno piccolo Ne spunta uno grande. Fermateli, Perché hanno fame, Consumano, Stordiscono, Dilagano, Ricoprono del velo Della conquista. Hanno denti Da far rabbrividire, Conoscono lingue Che fanno inghiottire Il fiato, Vergano le parole Che aprono al conflitto. E allora fermateli, Quei
Dal dorso
Vivo in castelli di carte. Inchiodati con ferro Lucido I cuori alle picche; Bucati al centro I quadri; I fiori Colti dalle spine. E i jolly danzano Come fantasmi, A disagio, Agghindati di lenzuola E il tintinnio delle catene A legare le scale. Ma tu, Regina, Sei fuoco dalle lingue Dolci, Mano vincente, Un mazzo da mescolare E carezze Da disporre
Da cento e passa
Tenni un fiammifero Per illuminarti il volto, E mi bruciò il braccio, E mi bruciò il viso. Rapii un satellite, Una fata, Un'onda del mare E te li liberai nel cuore, Ma furon perduti: Mai sazi e mai stanchi. E per calpestarti L'ombra, Svanirono i piedi, Volarono le gambe, Par farmi strisciare, Per farmi carezza. E
Il pensiero di te
Mi ha sorpreso, Bussando, Con le mani timide di abbracci e sete; Nelle mie un cucchiaino di caffè. Indossava un sorriso, Presto mutato in labbra Morse e palpebre socchiuse. E una volta dentro si è spogliato Di piedi e tasche e imbarazzi E pronto, Vestito di fame e primavera, Ha messo
Lasciati entrare
Lasciami entrare, fatti trovare. Ché ti cerco in cerchi [del bacino Scivolato senza essere caduto, Dal petto profondissimo Degli sfioramenti. E dal petto Toglimi il fiato e gettalo Assieme al tuo. Lasciati entrare, fatti cercare. Ché difendo dalla frenesia [la voluttà Sprofondato senza appigli, Senza pretese di dominio O comprensione.
Malie
Dagli argini, Sgomenti e spezzati, Diramano lingue di terra e fiato, Un giocattolo abbandonato Si finge morto; La gretta, vaporosa voluttà Avvampa, Separata dalle vesti, Dalle meticolose cuciture Dei condizionali negati, Delle viscere rovesciate degli occhi Compresse tra labbra fradice. Non resta mai molto Dopo la fiamma. Solo una fiaba senza finale: L'orco e la