“Ferriera” di Pia Valentinis***

“Ferriera” di Pia Valentinis***

Eh… il lunedì. Già finito, certo. E oggi era un lunedì diverso. Dovevo pensare a sistemare dei pensieri, tipo cose serie, tipo cercare di capire che lavoro cercarmi. Ma invece mi sono messo a pulire. Si fa. Ho un bagno pulito, per dire. Potete venire a cagarci. E pure una camera degna. Okay, non è che ho tolto tutto i gatti di polvere, ma insomma… le lenzuola coi gatti (no, non quelli) e coi cuori sono pulite, gli armadi sono chiusi e non cè un cats sui comodini, come piace a me. Ma resta che ho buttato così mezza giornata. L’altra mezza l’ho dedicata a mettere cose su subito/vinted, un’altra mezza a fare un giro in bici. E un altra mezza ancora a fare una sedia vampiro. E poi a sistemare contecurte. Un’altra mezza sì. E dopo tutte queste giornata metto via questo graphic. Ci ripenso, me lo guardo. Mi è piaciuto, sì. Non ci metterò mezza giornata. Le mezze giornate prima o poi finiscono.

Eh, già, perché Serena mi ha regalato anche questo oltre a quell’altro figherrimo, di Sulla strada, di Larcenet. Ed era sempre della Coconino, ma Pia Valentinis è una di zona, una friulana di cui spesso ho letto i libri per bambini, quando stavo in biblio. E non sapevo manco che. E invece- Ha fatto questo graphic, opera prima, e ci ha messo la sua storia, la sua famiglia, il suo passato, che essendo di qua, è anche il passato di molti di noi, me compreso.

Ti ci ritrovi, se sei figlio di operai. Anzi… sei già li dentro la pagine ancora prima di leggerle.

E infatti io sapete cosa faccio, appena finisco ‘ste righe? Lo metto in macchina e lo porto alla vecchia. Non penso che riuscirà a leggerlo. Mia madre non legge. E non è in grado di affrontare un minimo di complessità nelle storie. E non è mica per i quasi ottanta eh. No, è proprio che non gliene ne frega un cats di prestare attenzione in modo denso e continuativo. Ecco perchè le porto questo qua. Perché non lo è. Ma per nulla. Ci sono tanti flash, tanti momenti, tanti passati spezzati e raccontati, ma senza cercare né una linea temporale chiara e forte, né una storia che leghi tutto. La storia è la memoria, e la memoria è così, slegata, disorganica, impregnante. Certo.. si chiama Ferriera. La fabbrica, il proletariato, la fatica, la vita dell’operaio medio del nord-est e tutto ciò che gira intorno… ecco cosa compone la storia, seguendo la memoria. Ma non è la storia. E’ una storia. Una storia di molti. Credo sia questo l’intento di una gestione così spezzettata (e all’inizio straniante, che induce in confusione) dei fatti e degli eventi.

A Serena non ha convinto, a me invece non è dispiaciuta. Certo, pure io l’ho trovata spiazzante, ma poi ho deciso che era come guardare una mano di carte per una scala quaranta o per un burraco prima di cominciare a sistemarle. E anzi… non le sistemiamo proprio. Le lasciamo così, sparse, vagamente allineate in scala, ma non sistemate. Slegate. Che arrivano a tratti. Insomma… Se vi piacciono i graphic con le storie, le avventure, i viaggi dell’eroe chiari e netti, no, qui non troverete questo. Diciamo pure che qui, mettendo memoria su tavole, si fa una bella descrione di almeno un paio di decenni e non ne esce una fotografia di colori pastello e allegrie. C’è molto grigio, nel bianco delle tavole. E qualche volta emerge letteralmente, come nero. Quindi okay, c’è nostalgia e ci sono ricordi, ma c’è anche un lato di quel “c’era una volta” che non vi piacerà. E ce lo vogliamo spesso dimenticare.

Poi… occhio che le tavole e lo stile lo potete vedere qui, sul post, e può anche non piacere. La Valentinis resta piuttosto fedele alle sue forme solite, molto semplificate, quasi bambinesche, ma non banali. Ed è un tratto funzionale a una storia che vuole dare volume alle parole, vuole essere persino poetico, in certi passaggi, sia come linguaggio sia come emotività. Insomma… c’è emotività, a riempire i tanti bianchi e i tanto pochi dettagli del disegno. A me, spesso, i disegni di questo genere non piacciono, ma qua no, li ho trovati calzanti e validi, per il messaggio che si voleva trasmettere. E poi… è un lavoro ben pesato, come lunghezza e come ha voluto diluire le parole nelle tavole, con molte pagine che sono fatte di una sola immagine e a volte pochissime, una o nessuna parola. Forse solo verso la fine scappa via qualche tavola un po’ retorica, anche se comunque realistica e vera. (Che ne so, il centro commerciale al posto di “qui una volta era tutta campagna” e cose così)

Se posso avere qualche dubbio, ecco, può essere sul dare l’idea, come titolo e distribuzione, che sia un gn sulla vita di un operaio in ferriera, quando invece è uno spaccato di un momento storico dove, familiarmente, il lavoro di operaio pesava parecchio, ma non era il centro di tutto. E infatti, a fine lettura, non è tanto il personaggio di Mario, che vi resta addosso, quanto il momento in cui lui e la sua famiglia vivono. Forse potrei anche dire che, per il mio gusto personale, i flash che mi sono piaciuti di più sono stati quelli familiari fuori dalla fabbrica. Ma forse era anche perché lì c’erano delle idee davvero pregevoli, nell’unire segno e parola.

La chiudo va, anche troppe parole, per un gn così minimale (però denso eh). Vado a metterlo in macchina assieme a un po’ di roba sporca e ai depliant della Lidl e basta aggiornare il sito, per oggi.

Concediamoci l’ultimo moscow prima del sonno.

Comments

  • Astrid
    13 Settembre 2024

    Se la ferriera si intende la Bertoli, mi interessa perché ci hanno lavorato due miei zii, uno di questi abitava a pochi metri di distanza sul viale Tricesimo e io da piccola andavo a trovarlo quasi tutte le domeniche.
    Se si intende la Safau, è uscito di recente un documentario con belle riprese dei ruderi dell’acciaieria fatte coi droni e filmati d’epoca girati dentro la fabbrica. Non so se è una coincidenza ma anche il documentario è in bianco e nero https://www.facebook.com/watch/?v=1140770410518622

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