“Siamo spiacenti di” di Dino Buzzati****
Dunque… mi sto mettendo a scrivere questo post che è come quando mi pigliava bene di raccontare i cazzi miei mentre parlavo del libro perché non avevo fretta e avevo la notte davanti. Non che adesso non abbia le notti davanti, ma fatico a ritrovare lo stato d’animo del “vi racconto i cazzi miei senza alcuna fretta”. Anche perché il problema è che ho talmente tanti cazzi miei accumulati che altro che una notte… settimane, servirebbero. Che poi voi direte, vabbè, dopo un po’ i cazzi tuoi svaniscono, e avete ragione. Cioè, se ti spacchi un’unghia a metà, poi il tempo passa e l’unghia s’aggiusta e tu quella cosa lì non la devi raccontare più. E avete ragione. Ma io dico cazzi miei di quelli che non svaniscono.e sono ancora in corso, proprio, oppure di quelli che sono freschi di giornata.
Ma insomma… vediamo di lasciare un po’ le cose a metà e aggiornare il sito come si faceva una volta… ma anche con la voglia di tagliare corto. Buzzati, si diceva. L’ho finito tipo una settimana fa, dopo averlo iniziato – credo – a inizio 2023. E sticazzi, che ritmo, starete pensando. E avete ragione, ma non avete ragione. Nel senso…
Questo Siamo spiacenti di è un regalo di Serena. Era già il momento in cui non scrivevo più da un po’ di mesi. E ricordo bene che la sua dedica non era tanto sua quando del Buzzati, in buona parte. Mi aveva ricopiato il racconto/scritto di pagina 136, che si intitola La salvezza. Sono tipo una decina di righe, e okay, all’epoca era a tema, e io ho collegato queste righe alla dedica solamente quando ci sono arrivato. E vi dirò, erano adatte. Lo sono ancora. Ve le ricopio, ma dopo, alla fine.
Vi stavo dicendo del libro e del fatto che aver impiegato nove mesi per leggerlo, pur essendo composto da 234 pagine suddivise in un centinaio di scritti, quindi intorno alle 2-3 pagine cadauno, non è un tempo lungo, per i miei ritmi recenti e soprattutto la mia testa. E non è poco anche sapendo che Serena mi ha regalato almeno un altro paio di Buzzati, negli ultimi anni, e temo questo sia il primo che finisco. Uno era quello natalizio, che ho iniziato, e uno non lo ricordo, anche se forse era una cosa di bellezza, di quelli con dentro anche i disegni, non so. Potrei alzarmi e andare a guardare ma no. Non è importante. Importante è che ho letto questo.
Tra l’altro, oggi sto per finire un altro libro del mio pantheon personale. Un Calvino, che insomma, in coppia col Dino già lo sapete che stanno là, in alto, divinità intoccabili. Ma di quello next time. Adesso parliamo di questo. Questo che credo sia uno di quei libri postumi dove si raccoglie un po’ la cose interrotte, abbozzate, lasciate a metà o scartate. Dico credo perché ho bypassato l’intro e non l’ho voluto sapere.Alla fine mi interessava leggere gli scritti, piuttosto che interpretare l’autore, come invece, alla fine, si finisce per fare.
E vi dico anche perché, si finisce per conoscere Buzzati più qui che altrove, come autore e persona. Prendetevi questo esempio, che mi ci ha fatto pensare. Oggi sono andato sul Tagliamento in bicicletta. (benefici della mia vita da disoccupato, invidiatemi) e anche ieri ero stato sul Tagliamento. Ma oggi sono andato su quello dove ho passato infanzia e adolescenza, che conosco meglio, mentre ieri su un altro tratto, molto più a nord. Ecco… io credo che solo uno che prova le stesse sensazioni, mi capirà alla perfezione, ma ci provo lo stesso. Insomma… oggi, appena arrivato, ma già arrivando, ecco, ho avuto la sensazione di essere a casa. I sassi sono i miei sassi, quando mi ci stendo, mi sembra di riconoscerli. E così il fondale, la densità della sabbia, l’odore dell’acqua, persino l’atteggiamento dei tafani, che arrivano appena esci dal bagno e fanno un male diverso, mentre ti succhiano il sangue. Insomma… non ho detto che sia migliare, la grava, ma è dove io sono io. Non ho bisogno di essere un po’ diverso per godermi del mondo intorno. E quello che penso e il come sto in grave è quello che sono, che mi rilassa, che non mi costringe a cercare una posizione su sassi appuntiti o a godere di un’acqua più fredda e meno puzzolente. Ecco… questi scritti qua, che spesso sono racconti poco elaborati, poco pensati, oppure scritti riflessivi, o ancora slanci di parole senza un contorno… ecco, questi scritti qua rendono davvero bene l’idea di Buzzati come uomo, e forse, dico forse, a fianco di molta profondità c’è anche qualche aspetto sgradevole.
Intendo che il Buzzati che parla, qua, libero dal sentirsi incastrato in una trama, o da doverla elaborare, è una persona abbastanza cinica e disillusa, quasi nichilista, in certi momenti. Non so… tipo come se dicesse: Tanto è tutto una merda, che ve lo racconto a fare, che già lo sapete che è tutto una merda. Oppure è uno che si confessa e confessando sè confessa noi. C’è un racconto emblematico, su questo secondo aspetto, che è pure bellissimo. Quello in cui l’ospite dell’albergo A deve usare un bagno comune ma incrocia B, si vergogna, e cammina dritto e infantilmente si nasconde in un andito aspettando che B vada. Peccato che B fa la stessa cosa e parte un non-sense che li porta a un overthinking che li tiene prigionieri in quel rifugio per tutta notte. E come loro tutti, tutti gli ospiti dell’albergo. Geniale, ma anche crudo. E vero, perché siamo fatti così quando si tratta di cagare. Ecco… ce n’è un pochi, di questo tipo.
Ah, non c’entra un cats, adesso, ma sapete che mi ero perso un disco dei Daughter? Cioè, è uscito un loro disco, nel 2023 e io me ne sono ricordato-accorto stasera. Lo sto ascoltando, ovvio. Nulla di nuovo, ma nulla di nuovo, nel loro caso, a me va benissimo. Così, era per dirvi questa cosa. Che non c’entra con Buzzati e i suoi piccoli episodi, lo so. E so che ne volete sapere di più. Ma vi dico le cose importanti, dai.
Tipo vi dico che è vero che io ho messo 4 stelle, al libro, ma dovete tenere presente che è un’opera estremamente disomogenea, nella sua omogenità, e se volete sentirvi coinvolti dalla trama, come nei romanzi, oppure da piccole trame, come nei racconti, ecco… scordatevelo. E’ un collage, questa pubblicazione, e come tale dovete prenderlo. Anche per questo non succede niente se, come me, lo mette da parte per un po’ e lo riprendete. Anzi… è fatto apposta. Sarebbe anche un libro da bagno. Quand’ero giovane e avido lettore avevo sempre un libro da bagno, che di solito era una roba così: raccontini da una cagata (tetteralmente) e via. E qua son tutti così, corti corti, da stronzo, insomma.
Vi dico quindi che uno dev’essere un po’ appassionato di Buzzati, per affrontarlo. Non che gli scritti siano scarsi, intendiamoci. Ma si apprezzano di più se si conosce i temi buzzatiani e quel suo senso del fantastico, sul crinale del grigio. Comunque ho ascoltato un paio di volte i Daughter e ogni volta che finisce il disco parte quella canzonona galattica dei National con Sufjan Stevens che è un gioiello e allora mi ascolto i National, va. (tra l’altro sono arrivati dei dischi belli, di questo tipo qua, che puoi mettere mentre scrivi o crei. Pj Harvei, i Blur, Grian Chatten e i National, appunto. Ma sto divagando di nuovo. Devo finire il post. Anche perché con oggi, che forse è la mia prima vera settimana di ferie da disoccupato, sto smaltendo le cose con una lavagna magnetica, dove scrivo tutte le decine che mi vengono in mente, poi a fine giornata le cancellerò e aggiungerò altre nei buchi per il giorno dopo. Oggi per esempio, ho fatto queste qua: sistemato due borse di cianfrusaglie post grandinata-amianto, scritto il nome sulla cassetta posta, fatto barba e tagliato le unghie, raccolto i lamponi, sistemato le fotografie del desktop (2012-22-23!!!)tolto la polvere dalla camera e poi altre che non erano scritte… mentre mi resta da fare questo post di Buzzati, cambiare la CI sul sito poste, scrivere al gian per la copertina, rispondere a due mail dell’assicurazione, vedere di scrivere un verso al poema con le zampe. Insomma… abbastanza bene per un giorno solo. Ma mi sono perso di nuovo… torniamo a Buzzati.
Vi dico qualche sketch dei pezzi, aprendo il libro a caso.
L’uomo che stava bene. un tale ci prova in tutti i modi a divenare qualcuno in azienda e sembra non riuscirci ma poi sì, e da lì diventa uno stakanovista senza malattia. Poi succede, ma lui dice di stare bene, e tutti vedono che sta peggio, ma lui no, continua, non molla, non deve. Vuole morire così, senza dare la soddisfazione di mollare. E così finirà. Tristissimo e cinico. Schiavi non tanto del lavoro, ma di quel che significa. Fino a morirne.
Il cavallino, un giovanotto risponde alle denigrazioni degli altri con una vanteria, la racconta grossa ma ci crede, e ci crede così tanto che Lucifero, il suo cavallo, esiste davvero e diventa felice (il ragazzo, non il cavallo). Credere in se stessi e dare spazio alla fantasia, insomma, ogni tanto paga.
Un uomo importante. Luigi Ivanero, 44 anni, si ammala, ma di malattia rara, e tutti a cercare di capire cos’ha, e diventa importante, famoso, lo trattano come und io, malato ma dio, ma poi si ammalano tutti come lui, il morbo dilaga, e lui non vale più un cats, è di nuovo come tutti gli altri.
La paura del re. Come nel Colombre, ma di una paginetta, un re ha paura di morire e passa la vita a escogitare stratagemmi per chiamare il suo servo nella stanza accanto che gli scacci la morte. La spreca, la vita, per accorgersi che bastava un chiamo, anche con voce flebile, ma è tardi, quando lo scopre. Favoletta morale, insomma. Ma hanno sempre il loro perché.
E’ morto Birillo. Un uomo parla col proprio cane, dicendogli che questo cane, il più vecchio del mondo è morrto, e il cane comincia a preoccuparsi e si fa le ansie. Ma poi non è vero niente. Solo gli uomini, miseri, se le fanno. I cani no. Indipendentemente da come li tratti la vita, la vivono.
Okay… dai, avete capito. Robe brevissime, ma in stile buzzati, quello giornalistico, dove lui comincia spesso come se fosse un articolo di cronaca e altrettanto spesso va avanti così.
E io dico basta. E’ abbastanza tardi, e magari provo a fare un’altra roba, tipo che ne so, quella della posta. O faccio un disegno. O accordo la chitarra. O insomma… ho la notte davanti, o forse dietro. Chi lo sa. Ma vi devo scrivere quelle dieci righe là. Eccole:
La salvezza
Scrivi, ti prego. Due righe sole, almeno, anche se l’animo è sconvolto e i nervi non tengono più. Ma ogni giorno. A denti stretti, magari delle cretinate senza senso, ma scrivi. Lo scrivere è una delle più ridicole e patetiche nostre illusioni. Crediamo di fare cosa importante tracciando delle contorte linee nere sopra la carta bianca. Comunque, questo è il tuo mestiere, che non ti sei scelto tu ma ti è venuto dalla sorte, solo questa è la porta da cui, se mai, potrai trovare scampo. Scrivi, scrivi. Alla fine, fra tonnellate di carta da buttare via, una riga si potrà salvare. (Forse).
E ho scritto. La scorsa settimana, lunedì martedì giovedì e anche venerdì ho scritto. Queste righe hanno molto senso. Poi per me sarà “scrivi”, il verbo, per voi sarà un altro, ma qualcosa c’è per tutti, che va in quel posto, dopo il Ti prego.