Premio Richinvelda e i sassi

Premio Richinvelda e i sassi

Ma sì, dai. Torniamo al fatto che questo dovrebbe essere il sito di uno scrittore. E lo è, certo. Ma visto che non sono prolifico, direi di sforzarmi a raccontare di quel poco che scrivo. Racconti, ogni tanto, e quando c’è un motivo.

I concorsi sono sempre un buon motivo, soprattutto quando sono belli, seri e hanno un tema che mi piace. E questo, che l’anno scorso ho vinto, non potevo proprio mancarlo, visto il tema. Il Meduno lo conosco appena, ma il Tagliamento è da lunghi anni amico, e il paesaggi gravi della grava, con i tanti sassi e le loro meraviglie, sono altrettanto familiari. Ecco perché è uscita una storia di sassi. Come l’anno scorso, okay… ma qua era più per sfruttare un’altra storia di sassi, che mi è capitato di conoscere per Cryptofriûl. Parlo di Luigi Del Bianco, lo scalpellino del Rushmore. Ci volevo costruire una storia, su questo personaggio, e l’ho fatto. Una storia di bambini e di futuri, di sassi e pietre, che non sono la stessa cosa. Chi ama tenerli in mano, lanciarli o meno, lo sa.

Del resto, matematicamente parlando, sono l’entità che presenta il valore più elevato nel rapporto bellezza/costo. I sassi valgono infinito. E servono i limiti.

E insomma. Non ho vinto, questo no. E nemmeno lo avevo mai pensato. La storia era lievemente difettosa, sbilanciata nella prima parte e spremuta in un finale condensato, che aveva senso ma che avrebbe richiesto più righe. Una bella storia, mi piaceva. E l’ambientazione, il mercato di Spilimbergo del primo ‘900, con la meraviglia dei treni e la vita povera ma ricca dei friulani non ricchi, mi piaceva ed era ben riuscita. A riascoltarlo, durante la premiazione, mi sono accorto che quella differenza, tra sasso e pietra, era uscita bene. Anzi… direi che l’incipit ve lo lascio qui sotto, ché è venuto bene.

Sono arrivato due, pari merito, e meritatamente ha vinto Serena, con una storia molto simile. Due vite difettose, la mia di serie, la sua come risultato di una spaccatura. Ma insomma… non divaghiamo. I racconti sono finiti entrambi in questa piacevole pubblicazione, tanto semplice quanto efficace. Anche se non avessi vinto niente, sarei andato comunque alla premiazione per averla. 🙂

Qui trovate un resoconto più completo, in friulano. Ah, già, il racconto era in friulano. Pure quello di Serena. Gli unici due, mi sembra. Ma in effetti, a raccontare di un territorio parlando come si parla in quel territorio, si ha un po’ di vantaggio competitivo. Ma l’incipit ve lo traduco, dai. Non mi costa molto.

E’ tutto.

 

DI CLAP A PIERE

Al esist un moment precîs, dulà che un clap al devente piere.

Al sucêt cuant che al jemple la man, sute e vierte, e no je dome cuistion di dimensions. Il pês al cove su la palme, pindulant; la piel e cîr i zûcs de superficie, ju cjate, e tamese la porositât e i dispiets dai ôrs o des crevaduris. E tant il clap al stice al moviment, tant la piere ti straten, ti ferme, ti cidine. Il clap si tire, lontan, al pâr nassût par chel, svolâ vie cence lassâ intivâ dentri di se une forme diferente di chê che al à. Un clap al è un clap. La piere invezit e cuiete i dêts e ju sburte a strenzisi ator di jê; la piere e stice la cjalade, e cove un mudament, un avignî, une fantasie che e merete svoluçade. E di net che al sedi il confin tra clap e piere, nol è mai facil di viodi, ancje pal voli usât dal scultôr.

 

DA SASSO A PIETRA

C’è un preciso momento in cui un sasso si fa pietra.

Succede quando riempie la mano, aperta e asciutta, e non è solamente una questione di dimensioni. Il peso cova sul palmo, dondolando, la pelle cerca i giochi della superficie, li trova, setaccia la porosità e i dispetti dei contorni o delle spaccature. E tanto il sasso spinge al movimento, tanto la pietra trattiene, ferma, zittisce. Un sasso si tira, lontano, per questo è nato: volar via senza lasciare indovinare in sé una forma diversa di quella che mostra. Un sasso è un sasso. La pietra no, doma le dita e le spinge a stringersi attorno sé; la pietra stuzzica lo sguardo, cova un mutamento, un avvenire, una fantasia che merita esser dipanata. E per quanto netto sia il confine tra sasso e pietra, non si scorge facilmente, nemmeno l’occhio avvezzo dello scultore vi riesce.

 

 

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