“I dispiaceri del re” di Dino Buzzati***

“I dispiaceri del re” di Dino Buzzati***

La fatica di leggere può diventare un valore, ho pensato mentre leggevo questo mio 1/3 di regalo, un paio di settimane fa. Ricordo che ero a Tolmezzo, parcheggiato, in attesa, e cercavo di ficcare l’occhio tra una pagina e l’altra di questi mini libro (pochi cm). Stavo anche scrivendo a Serena, in quel momento, che mi regala sempre belle cose. E molte di Buzzati. E questo è il secondo libro suo di questo tipo, che ha dentro la fatica di leggere. La collana si chiama Piccoli quaderni di prosa e di invenzione, e la caratteristica è quella di dare valore tanto all’oggetto quanto al contenuto. Mettendoci anche delle idee. Quindi, questi piccoli quaderni sono fatti con una carta di qualità maggiore, hanno impaginazioni che si prendono il loro spazio, e idee relative all’oggetto, come quella di renderlo impreciso, volutamente difettoso.

Il difetto è quello tagliare male i fogli, in modo che la rilegatura vada a lasciare le pagine attaccate a due a due in modo alternato. una volta giri pagina, una volta no, e le trovi attaccate nella parte alta. Se fosse un libro scuola, dopo mezza bestemmia prenderesti un taglia carte e risolveresti il problema, ma qui, l’imperfezione dell’oggetto diventa il suo maggior valore; diventa, appunto, la fatica di leggere.

Ti devi mettere di traverso, allargando le pagine senza romperle o strapparle e buttare l’occhio dentro. La fatica è poca, eh… la storiella morale di Buzzati è molto breve e non particolarmente originale, però questo modo di leggere le dà un valore in più. Insomma… l’hanno pensata giusta, questi della Henry Beyle. E le belle idee vanno premiate, quindi non mi metto qui a fare l’analisi di marketing (che se volete, il colpo di genio, è anche quello di abbattere quasi del tutto i costi del contenuto libro, andando a pescare materiale fuori diritti d’autore, di scarsa importanza nelle produzioni globali degli autori, puntando così anche all’accontentare gli appassionati dell’autore, che scoprono cose di cui non conoscevano l’esistenza, come questo Buzzati).

Ora che avete capito un po’ dell’idea generale, sapete anche che sono molto contento di possedere, questo storia. Possederla in senso materiale, come oggetto; oggetto, appunto, di un autore di cui vado ghiotto, Buzzati, e che, appunto, ha scritto parecchie cose minori, come questa favoletta morale di cui non vi dico niente.

Due vecchi amici si incontrano e uno è un Re, un re che ha tutto, comprese le nuvole, ma non è felice. Perché qualcosa manca, a quel tutto che ha. Siam fatti così... E niente. Ora direi di smettere di scrivere di questa cosa. Penso che già queste righe siano pari alla lunghezza della storia di Buzzati. Posso solo dirvi, che se siete amanti dei libri, dell’oggetto libro, oltre che del suo contenuto, e che amano regalarli a chi sapete che è come voi, un giretto sul sito fatelo, perché è sempre bello vedere chi si inventa qualcosa. Questi quaderni nascono – tra l’altro in limitatezza, io ho il 70 di 325 – per essere regalati. La gioia è chi riceve, soprattutto, perché possiederà la materialità.

Io vado avanti a fare altro, intanto, mentre ascolto i Big Red Machine, che non so se lo sapete, sono il chitarrista dei National e Justin Vernon, che prendono a prestito tante voci, spesso femminili (si, okay, anche la piatta e banale voce di Taylor Swift, ma non dà fastidio) e hanno uscito ‘sto disco. Tipo quella che sto ascoltando adesso, il ritornello pare un pezzo lasciato fuori da un disco di Bon Iver, in quanto meno bello, ma pur sempre bello. E il resto pare una canzone dei Fleet Foxes perché in effetti son proprio loro. Phoenix è proprio bella, dai. Guardatela in questo live.

Che poi, ‘sta cosa del rendere belle le cose con la fatica, è forse un po’ più vasta, come cosa, a volerci mettere la testa. Insomma… mica in generale dev’essere per forza vero. Bisognerebbe restringere il campo ed essere più precisi. Tipo: rendere belle con la fatica le cose che sono normali, o trasparenti. Come se la fatica fosse un colore. Ecco… questo volevo avevo in testa. Come se la fatica fosse un colore.

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