“I ragazzi venuti dal Brasile” di Ira Levin****

“I ragazzi venuti dal Brasile” di Ira Levin****

Ecco un altro libro che ho letto un anno fa o poco meno. Uno di quei libri che curano l’ignoranza, questo, perché da sempre, quando si bazzicava i forum al tempo in cui esistevano i forum, quando sentivi i vari consigli il titolo di Ira Levin tornava spesso. Più o meno il discorso era questo “Ah, sì, Rosemary’s baby fighissimo ma I ragazzi venuti dal Brasile anche meglio” e allora appena mi è capitato in mano, al Banco Libro, ecco che me lo sono pigliato. La cosa figa è che ho beccato una edizione vecchierrima, tipo 1977, anno del punk e soprattutto anno successivo, più o meno, all’uscita del libro. Si fa fatica anche a trovare questa orrenda sovracopertina inutile, a cui però mi sono affezionato. Ogni tanto mi faccio domande, sulle copertine, e mi chiedo se non si dovesse vietarle, o per lo meno regolamentarle. Del resto una storia, quando la racconti, una copertina non ce l’ha. Oppure la copertina dovrebbe sceglierla/disegnarla l’autore, ma ho imparato gli autori a volte non capiscono un cats o fanno spoiler o comunque hanno in testa la loro storia, e non la storia nella testa del lettore. Insomma… l’immagina ha poteri diversi.  Ma lasciamo perdere queste cose e veniamo al libro.

Anzi no. Parlo ancora delle copertina. Se googlate (non fatelo) immagini con il titolo + libro trovate una  vagonata di copertine orrende in cui si è pensato bene di sottolineare i baffetti hitleriani, così, in sfregio, tanto per dire al lettore “eh, ciccio, non pensarai mica che due baffetti vogliano dire che la storia ha un legame col nazismo eh”. Si punta il dito, insomma, sull’utilizzo dei rigurgiti nazisti ancora ben vivaci negli anni 70. Desideri di ritorno al passato che sono ben vivi in Brasile, dove molti dei criminali nazisti sono fuggiti. Del resto, in quei tempi confusi, cosa ne sappiamo noi di chi è veramente vivo e chi veramente morto. E poi non è morto ciò che in eterno… ah no, questa è un’altra storia. (Ma fra affrontare Chthulu e il neo-nazismo sceglierei mille volte il primo, per probabilità di vittoria). Insomma… veramente delle copertine di merla. (E pace se metà sono colpa del film dove Gregory Peck interpreta Mengele ma non è che le nuove si evolvano poi molto da ‘sto clichè dei baffetti). Comunque ora basta parlare di copertine dai.

Dicevo, il libro è famoso, ma come accade sempre, è più famoso il film, mi sa. Io non credo di averlo visto. Anzi no, proprio non l’ho visto. Se mi capito lo vedo. In ogni caso, il libro. Dunque. Bello. Molto. Soprattutto perché qui i residui dell’olocausto e la figura di Mengele e tutta la struttura del nazismo sono utilizzati come strumento, e non come cuore del libro. Il libro è un thriller, e anche se l’azione e i cadaveri sono tanti, io lo vedo come un thriller sociale. C’è un’idea di fondo nel progetto nazista che parte dal Brasile e che si basa sulla clonazione, l’idea che la genetica è solo una piccola parte di noi. Siamo altro, anzi, siamo molto altro. Siamo istruzione, educazione, esperienze, amici, rapporti umani. E forse siamo qualcosa che è fuori da questo ed è fuori dai cromosomi. E i nazisti partono da questo presupposto. Se vuoi clonare qualcuno i geni sono solo il passo iniziale. Per fare un albero ci vuole il seme ma è solo l’inizio. La forma dell’albero, l’altezza, dipende dal sole, dal vento, dalla posizione, dalle malattie e dai parassiti… Due alberi uguali sono impossibili ma a controllare tutti gli agenti esogeni, partendo da semi identici, insomma… ci si dovrebbe arrivare. Diciamo che è anche questione di probabilità… su un centinaio di tentativi, diciamo 94, ci si dovrebbe arrivare.

Quindi abbiamo la storia che comincia con un giornalista ficcanaso. Un narratore onniscente sorvola dall’alto tutte le vicende. L’indagine interrotta da un omicidio, il punto di vista del nostro eroe, Liebermann, vecchio ebreo ora USA che va a fondo e che, ovviamente rischiando di essere ammazzato, scopre e svelle il progetto, salvo poi trovarsi ad affrontare il buon nemico di sempre, Mengele, che insomma. ha i suoi motivi per l’esperimento, e dal punto di visto medico-sociale potrebbe davvero esserci davvero altro. Che ne so… se avesse provato a clonare Jeff Buckley, per dire, vuoi mettere che storiona.

Ah, a proposito di musica, stavo ascoltando le solite nuove uscite del venerdì, e come al solito è piedo di merdaviglie inutili, ma qualche buona canzone ogni tanto si becca. Tipo questa con dentro Albarn, che si sa, il tocco del Demon è sempre magico. Oppure questa cosa di Janelle Monaè per Ralph Lauren che ogni volta che la vedo, la Janelle, mi chiedo quanto è bella. Ah, per i nostalgici c’è il singolo nuovo di Vasco Brondi che pare farà un video con Germano, ma scusate, mi sono perso. Allora. Altre cose del libro.

“I ragazzi venuti dal Brasile” ha una trama gestita benissimo, anche se in modo classico. Sceneggiare questo lavoro non dev’essere stato difficile, anzi, il difficile è, forse, trovare qualcosa di diverso nel modo di gestire il plot che si allontani da quello di Levin. I tempi sono giusti. C’è suspance, c’è un finale in crescendo che alla fine stupisce e annichilisce e c’è un Mengele che finisce come doveva finire ma non per i motivi che lui pensava di finire. Diciamo che vince nella sconfitta. E Lieberman, invece, perde nella morale. Perché poi – ed è per questo che è molto “sociale” ed “etico” – si arriva al dubbio fondamentale che è proprio delle arance, E’ giusto fare il male a fin di bene? Lo stesso male, poi, anzi, forse peggiore, visto le persone più giovani da uccidere, che si è voluto evitare. Lieberman prende la sua decisione, ma ovviamente la risposta non c’è e anzi, è piuttosto chiara quella dell’autore, che apre la strada al lettore ma poi non è detto che sia quella giusta. Più che altro si torna al primo punto. Alla genetrica. Le colpe dei padri devono ricadere sui propri cloni? Non lo so. Ma resta che è un libro anni settanta e ci hanno costruito sopra un filone intero di film e romanzi e serie e soprattutto una delle grandi vie scientifiche di sviluppo umano ha preso e continua a spingere in questa direzione.

Vabbè. Basta dai. Vado a fare la spesa in questo venerdì di Pasqua agli arresti domiciliari. E metto via questo libro vicino all’altro di Ira Levin, che se siete scrittori di thriller noir o lettore di fantascienza sociale direi proprio che non può mancare, sui vostri scaffali mentali.

Vi lascio con una disegno pescato dalla rete di un disegnatore (Marco Mazzoni) che vidi a Vicenza un paio d’anni fa e che mi è venuto in mente scrivendo e parlando di gentetica. Scopritevelo voi, se vi va. A me piace moltissimo.

Comments

  • jorge alejandro
    21 Aprile 2021

    mi sono venuti in testa due romanzi clasici, in questo caso ucronie, che ano come centro il nazismo, anche racomandabili, Il Uomo Nel Castello di Philip Dick, e Il Sogno di Ferro di Norma Spinrad.

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  • Raffaele
    21 Aprile 2021

    the man in the high casle lu ai let e al jere une vore biel, chel altri no lu cognossevi. Grassie!

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