“Passare l’inverno” di Olivier Adam***(*)
Sono le dieci, è domenica sera, domani è l’8 marzo, le lezioni saranno in dad ma non avrò lo smart work e dovrò andare al lavoro lo stesso, stupidamente, in un’aula vuota. La gente è chiusa in casa. Avevano messo il coprifuoco quando i posti erano aperti, perché la gente non si fermasse a bere e mangiare nei posti. Ora i posti, da secoli, sono chiusi. A cosa serve il coprifuoco? I ragazzi che ho a scuola si vedono, hanno preso a fare le mini feste che iniziano prima delle dieci e finisco alle cinque. Chiusi dentro, ovvio, a casa uno dell’altro. E fanno bene, hanno ragione. Si sono adeguati. Ho un parente 83 che non si vaccina. Non si sa perché. Ho gente intorno che fa discorsi strani. Ma no so, vedrò, chissà, ma poi. Tutto ha l’aria di essere surreale. Ora ascolto questa canzone. Ascoltatela. Questa e altre di Anna B. Savage. Più volte. Vado a comprare il cinese per asporto, per festeggiare un compleanno, e il sorriso del ragazzo cinese che parla friulano ed è lì da trentanni e avremo, forse, la stessa età, sembra oramai carta da parati. Sembra che il prezzo di tutto sia sulla sua schiena. Sulla loro schiena. Chi fa da mangiare, da bere, chi diverte, intrattiene, chi taglia i capelli. Ci cerca di renderci più belli o più felici. Sembrano che sia tutta colpa loro, o così, almeno, ci si comporta. E si continua a puntare il dito sulle mascherine e sulle mani pulite, ma si vaccina poco, pochissimo. Pensavo che bisognerebbe fare i turni, vaccinare 24h, turni. Tutti. Chi è vaccinato vaccina altri. E via… veloci. Chi è vaccinato poi è libero. Ma non sembra funzionare così. Sembra che il problema sia la gente. La gente che si muove. Chi si muove è perduto.
Ecco. Non è proprio così, ma il clima che si respira dentro i nove racconti di Olivier Adam che lessi oramai più di un anno fa è più o meno questo. Situazioni normali, ma non belle, ma nemmeno brutte. Malinconiche. Fredde. Tratteggiate come un dito nella neve. Non voglio dilungarmi… ma ricordo parecchie cose, di questo libro. Ve le dico. Esercitare la memoria è sempre un bene, comunque vada.
Ho raccolto questo libro dal Banco lib(e)ro, in quel tempo in cui tutto questo esisteva. Me lo ricordo, dove l’ho preso. Lo scaffale del magazzino. E cerco di prendere sempre meno libri possibili. Cercavo, anzi. Perché non ho il tempo e la testa per leggerli. E più ne possiedo, più non riesco a leggerli, e più male sto. Ma alcuni mi tentano, ci casco. E le cose che spingono la mia mano a portarmeli via sono tante, si mescolano. La prima è la lunghezza. Devono essere piccoli. Brevi. Magri. Porto con me solo loro, perché loro hanno speranza. Questo libro ha 92 pagine. Una parte mezze bianche. Pagine piccole. Poi meglio se sono racconti. I racconti mi permettono di chiuderlo senza dimenticarlo. Di fermare una storia. Poi ricominciare con un’altra. Questo libro contiene 9 racconti. Poi ci sono cose che arrivano. Che chi legge conosce. Una è la casa editrice. Minimum Fax. Arriva una associazione mentale: racconti brevi + minimum fax = carver. E carver è un semidio, per chi scrive narrativa breve. Anche quando non piace. Anche quando non fa per noi. Non si crede a tutti gli dei. Alcuni dei sono più dei di altri. Ma restano dei anche quando non fanno per noi. Carver no. Lui faceva per me. E allora ho pensato che forse, da un libro del 2006 di racconti così brevi, con un titolo così malinconico, ci si poteva aspettare cose belle.
E’ stato così.
E poi ricordo quando ho cominciato a leggerlo. Era inverno. Da ottobre a dicembre, circa. Ci si era imbarcati in una serie infinita di analisi e visite per mia madre. Ha una gammopatia che dovrebbe sfociare in leucemia, prima o poi, e sembrava fosse arrivato il tempo, e i valori blablabla, ma poi lei stava bene, e cosa sarà mai. Ma lei sta bene? Certo. Ha appetito. Certo. Perde peso? No, sono salita a un quintale e passa. Ah. Eh. Facciamo altre analisi. Facciamole. Ha dei gatti? Cani? Pitoni? Lemming? Colombri? è stata morsa da uno di questi? Sì, no, si, no, forse chissà. Okay senta, facciamo che non ha niente, ma se non si sente bene lei ci chiama. Okay? Va bene dottore. E tutto insomma… era molto invernale. E io stavo spesso nelle sale d’aspetto, quando ancora si poteva, e leggevo qualche pagina, anzi, qualche riga. Perché mia madre parla parla parla… ma la logorrea quella non si cura. Questo ricordo. Sono ricordi strani, quasi annoiati. Il libro è stato sullo scaffale, in attesa che io aprissi questo sito, per oltre un anno. Incredibile. Domani lo ripongo. Ho tolto la polvere.
Adam è francese, ma i racconti sembrano americani anche se sono ambientati negli inverni di Francia. Se dicessi che sono minimali sarei bugiardo, perché userei il termine a sproposito, però renderei l’idea. Quindi ve lo dico. Sono minimali. O meglio, non hanno parole fuori posto, inutili. Sono racconti dove non succede niente, ma poi alla fine qualcosa è successo. Leggiamo insieme i titoli. Pialat è morto. Per sfinimento. Ceneri. A bocca chiusa. Anno nuovo. Di ritorno. Lacanan. Di nascosto. Sotto la neve. Alcune storie me le ricordo. L’insegnante che si ubriaca, a casa da solo, per la morte del cineasta. E la giapponese col tassista. E la tipa che fuma, e fuma, e pensa alla vita di merda che ha, col lavoro che succhia tutto quello che potrebbe essere ma non sarà mai. E via così, gente così, normale. Gente con una vita normale, e quindi brutta.
Questo libro ha vinto il premio Gouncourt, tipo nel 2004 o giù di lì. L’autore è del 74 e sembra vagamente Ed Sheeran. Non so che altro abbia scritto. Però questi racconti sono belli. Certo… se fossero un disco direi un po’ derivativi. Carver, si è detto, ma in generale quest’idea dell’essere minimalisti, che traspare. Ma non ha difetti. Come a dire: voglio raccontarti di vite inutili, e quindi sappilo che qui si legge di gente sfigata ma normale, che ha una vita invernale, malinconica, brutta, avvilente. Ma normale. Di quelle che potresti avere anche tu. Anzi, che probabilmente hai.
Insomma… non è magari un libro che comprerei. Ma se lo trovate su un mercatino, su uno scaffale a pochi soldi, se amate Carver e la letteratura su cui ha avuto influenza, be’ questi racconti fanno per voi. Sono invernali, come le nostre vite di adesso e dell’ultimo anno.