“Il pigiama del gatto” di Ray Bradbury***
Scopro, googlando come faccio di solito, che Il pigiama del gatto è un modo di dire inglese per intendere “la cosa migliore” o almeno, così c’era scritto su un sito che ha rubato questo modo di dire per il nome. Mentre lo faccio guardo il libro e penso varie cose. La prima è che il libro è di Bradbury, e io quando penso a Ray penso che sono fortunato, come data di nascita. Non so voi, ma io sì. Intendo con le persone che sono nate nel vostro stesso giorno e che vi hanno lasciato cose che fanno parte di voi, in cui vi ritrovate, che sono un tassello della vostra vita. E’ una cosa particolare, non trovate?
Io ne ho tre, e Bradbury è, per ora, quello sul gradino più basso del podio. Il primo compleanno uguale al mio è Layne Staley. Sono sicuramente in grande compagnia, vuoi perché è una voce generazionale, vuoi perché certe canzoni, una certa rabbia triste, una certa rassegnazione forte come in Nutshell, be’… era sua, è mia, è di tanti altri. L’altra è Tori Amos. Anche con lei ho momenti di vita che senza le sue canzoni, le sue cose, sarebbero diversi. Anche con lei è stata sintonia inconscia. E il terzo è lui, Ray, di cui non mi innamorai dopo Farhenheit, ma lo feci con le Cronache Marziane, e del quale – come un cioccolatino prelibato che lasci per ultimo – non ho ancora letto Il popolo dell’autunno. Ma poi ci sono i racconti. Molti, suoi, che mi son piaciuti (e non piaciuti anche). E insomma… Questi tre sono importanti, per me. Se non avessero scritto, composto, cantato le cose che hanno scritto, composto e cantato io sarei una persona diversa. E’ bello compiere gli anni insieme.
E pensare ai compleanni mi fa pensare che oggi è quello di Margherita e avevo un racconto che le dovevo regalare ed è passato un anno ed ancora là, nei racconti incompleti, e prima o poi lo finirò, ma è passato un anno. Si intitolava “La muse” ed è fatto di poche righe che non ricordo. E poi, arriva questo libro, del quale mi sembrava di non ricordarmi i racconti, ma invece no. E’ bastato pensare al titolo, e mi è venuto in mente il racconto del gatto. Un bel racconto. Una storia. L’aspirazione di chi scrive, per lo meno la mia, è sempre quella di raccontare belle storie. E io me la ricordo la storia dei due che trovano un gatto e litigano per tenerselo e cominciano a raccontarsi le sfighe che hanno coi gatti e del perché sarebbe giusto che spettasse a loro. Una situazione surreale, che ha questa tendenza zuccherosa, e insomma… me lo ricordo bene. Mi ricordo che era una racconto di quelli non meravigliosi, ma di quelli che poi, alla fine, ti faceva piacere aver letto. E dà decisamente una idea diversa di Bradbury, come forse tutta questa raccolta di quasi scarti che poi invece non lo sono.
Anyway, farei fatica e ricordarmeli tutti, perché sono molti (une ventina) alcuni molto brevi, e non tutti hanno l’hook per appendersi alla memoria. Ho provato però a sfogliare a caso. A leggere qualche riga. E diciamo che mi ero aspettato davvero di peggio, da quest’ultima raccolta dell’autore (in vita). Lui, tra l’altro, lo dice, in una breve intro. In modo abbastanza schietto, non per mettere le mani avanti, anzi, mette in guardia sulla disomegeneità della raccolta e sulla sua genesi di “residuo dei cassetti” lungo 40 anni di carriera. Cioè… chi conosce il buon Ray dei marziani sa benissimo come lui voglia rendere la diversità e il cattivo modo di gestirla di noi umani. E il racconto sugli alieni c’è (Una questione di gusto) e sviluppa in modo piacevole un’idea non originale. Se invece volete il Bradbury di Fahrenheit c’è anche quello, perché un po’ di distopia, sopratutto legata ai viaggi nel tempo, c’è. E il Bradbury sociale? Altro che. Il tema del razzismo è tra i migliori. Il racconto di apertura “Crisalide” è un gioiellino, mette in scena un racconto di formazione con l’eterno desideria del diverso di uniformarsi e la possibilità di venire a patti con se stessi, se le parti si vengono incontro. Ed è molto bello anche il racconto legato al come è stata trattata la governante di colore. E molto violento il racconto legato a un crimine nei confronti di una ragazza di colore, al KKK e alla punizione. E uno che mi è piaciuto assai, ma proprio figo, era il racconto surreale, in cui un Presidente ubriaco e vizioso vende il proprio paese (gli USA) giocandoselo a poker e poi deve rivincerlo. Un delirio di surrealità (Ho pensato, leggendo, che era lansdaliana, ma poi ho pensato che forse è più corretto dire il contrario)
Insomma… se amate Bradbury, lo riuscirete a capire e non biasimerete questa scelta un po’ commercial e un po’ mappazzone di mettere insieme degli avanzi. Anzi… ce ne fossero di avanzi così. Certo, non sono paragonabili ad altri lavori più ragionati, ma per me, più della metà sono stato goduti e non ho nessun ricordo spiacevole, di qualche storia che non mi sia piaciuta. Certo, alcune scivolano via senza lasciare molto, ma finche uno scrittore intrattiene, va anche bene così.
Io sapete che faccio? Vi regalo un incipit. Incipit che insomma… sono incipit di uno bravo. Alcuni li ho letti e mi sono ricordato l’intera storia in tre secondi. Tipo questo, che è del racconto “I fantasmi” (1950-52)
E va bene, dai. Direi basta così. Lo posso riporre, questo libro. Che poi non è mio, l’ho regalato, e c’è ancora una mia dedica. In realtà l’ho regalato pensando poi di farmelo prestare per leggerlo. Regalare libri era una buona scusa per non comprarseli, un tempo che leggevo. Ora non più. Riesco solo a regalare libri per bambini, con i disegni belli. Alla fine siamo passati tutti a una vita così, che invece di leggerla, preferiamo guardare solo le figure e lasciarla scorrere veloce.